INCONTRI LETTERARI
QUELLE CENTO SERATE
(A TAVOLA) CON L'AUTORE
L'iniziativa nacque nel 1983 all'<Amelia> di Mestre grazie ad una intuizione di Bepi Maffioli
e Gian Antonio Cibotto con la benedizione del patron Dino Boscarato.
Dietro ad ogni consistenza materiale c’è una forma di pensiero o di anima. Giova ricordarlo proprio qui, all’interno di uno spazio nel quale si celebra il piacere dei sensi in una delle sue più evidenti manifestazioni, quella del cibo, perché tra materia e Spirito esiste un reciproco e continuo scambio. Lo si capisce anche leggendo le affascinanti storie protagoniste del presente volume, che raccontano di cibo, profumi, aromi, colori, ma che dicono soprattutto di una memoria nostalgica ed appassionata, di una esperienza di vita. Dietro ad ogni racconto c’è il ricordo, ma anzitutto l’emozione del ricordo. Del resto, anche dietro ad una semplice ricetta è evidente la presenza di un pensiero e di un’emozione. In cucina diventa facile scoprire quanto il pensiero influenzi la materia. Quante volte, se siamo di cattivo umore, le nostre preparazioni non riescono come dovrebbero! Gli ingredienti di una ricetta sono materia viva e plasmabile, rispondono allo stato d’animo di chi si presta a trasformarli per organizzarli in un tutto armonico, e il risultato finale dipende anche da quella disposizione. Lo stesso si può dire forse anche per un qualsiasi ingrediente del proprio piatto: coltivato magari con amore, come ad esempio in un orto senza aggiunta di chimica industriale, piuttosto che prodotto anonimamente in serie, come un povero pollo in gabbia con i ritmi vitali dettati dalla luce artificiale. La qualità è probabilmente diversa, sia per il pollo e le verdure, che per la vita nella sua complessità.
In questo pensiero comune che nutre cucina e scrittura è quindi facile trovare parallelismi: realizzare un piatto è un po’ come scrivere un racconto. Si parte con un’idea e una traccia definite, poi ci si nutre di apporti casuali e intuitivi che derivano dall’assaggio, ossia dal confronto con la realtà materiale fino a quel momento realizzata (scegliendo di aggiungere un pizzico di sale in più, ancora un po’ di farina per dare consistenza, un’erba dolce o un tono piccante…), proseguendo talvolta come non avremmo immaginato all’inizio per giungere ad una conclusione che sarà comunque, se seguiamo la preparazione con amore e attenzione, un lieto fine.
Nell’approccio qui proposto si è cercato di tener presente questo percorso, che unisce realtà realizzata al pensiero che l’ha concepita, interpretando i racconti dei 35 autori per dargli una forma gastronomica adeguata, spesso direttamente suggerita dallo stesso autore. Così sono nate le ricette di questo libro: sono tutte ricette tradizionali, ma ogni volta sono state riscritte realizzandole, sperimentandole e integrandole, offrendo loro l’attenzione che meritavano.
Certamente, il reciproco influenzarsi di cucina e racconto è una consuetudine che ha una lunghissima storia, ben precedente a quella epica dei sontuosi banchetti rinascimentali. Io ho avuto la fortuna di vivere da vicino un esperimento molto ben riuscito di questo connubio, quello di “A tavola con l’autore”: il 29 gennaio 1983 il vate della gastronomia veneta Bepi Maffioli presentava alla trattoria dall’Amelia di Mestre il suo libro dal titolo “La cucina veneziana”. Il menu, preparato da Dino Boscarato, mio padre, consisteva in una serie di ricette estratte da quel volume, che partivano dal secolo XIV e arrivavano ai nostri giorni. Il successo della serata impose di proseguire l’iniziativa con l’amico di sempre Gian Antonio Cibotto che, non essendo autore di un libro di ricette, fu omaggiato con un menu di fantasia ispirato alle sue origini polesane: gli si costruirono addosso una serie di ricette e preparazioni così come un sarto gli avrebbe tagliato un vestito. Un menu da sartoria!
Da quei tempi, gli appuntamenti di <A tavola con l’Autore> sono stati oltre cento, tutti con grandi scrittori e personaggi dello spettacolo e della letteratura. Oggi, che seguo con mia moglie una attività in cui abbiamo scelto di coltivarci i nostri ingredienti con metodo biologico, proponendo in cucina prevalentemente i nostri prodotti, sono ancora più convinto di questo: i cibi e l’esistenza materiale sono un’apparenza di quanto sta dietro, che tutti ci unisce, ma sono anche lo strumento che abbiamo disponibile per entrare in contatto tra uomini, tra cuori: la cucina e la scelta alimentare, ne sono profondamente convinto, sono principalmente una questione relazionale. A tutti gli autori, che spero apprezzeranno questo lavoro, e a voi che leggerete (e mi auguro, altrettanto, apprezzerete), buon appetito e buona vita.
MARCO BOSCARATO
dalla rivista Papageno
Spaghetti con scampi alla busara
È un classico della cucina della Venezia Giulia: da gustare anche senza spaghetti, solo gli scampi, grossi, addensando la salsa con del pan grattato.
Ingredienti per 4 persone
• 16 scampi medi
• cipolla 1
• aglio 1 spicchio
• olio extravergine di oliva q.b
• vino bianco secco 1/ bicchiere
• Quattro-cinque pomodori tipo grappolo
• sale qb
• pepe qb
• prezzemolo tritato
La ricetta è di origini fiumane, ma è ormai diventata triestina per estensione. Si prepara così: portate a ebollizione dell’acqua in una pentola e scottatevi i pomodori per 1 minuto dopo aver fatto loro una “croce” con il coltello alla base. Passateli in acqua fredda, togliete loro la pelle (che con la scottatura dovrebbe venire via facilmente), puliteli dai semi e tagliateli a dadini. Pulite e tritate la cipolla e l’aglio e rosolateli in padella con olio extravergine per qualche minuto, fino a doratura. Lavate gli scampi, asciugateli, adagiateli nella padella, salateli leggermente, copriteli con un coperchio e fateli cuocere per tre-quattro minuti (a seconda della dimensione) a fuoco basso. Togliete gli scampi, aggiungete al liquido di cottura il vino, lasciate evaporare e aggiungete il pomodoro, proseguendo la cottura per circa un quarto d’ora. Aggiustate il gusto con sale e pepe. A parte cuocete gli spaghetti in acqua salata, levandoli al dente e padellandoli poi con il sugo che avrete preparato. Aggiungete in finale gli scampi, coprite il tutto con il coperchio e servite caldo cospargendo di prezzemolo.
LA RICETTA DELLO <SPEO>
Per un tradizionale “speo”, ricetta che è tipica e si identifica con la zona dell’Alto Trevigiano (per questo si abbina sovente al prosecco, che non sarebbe il suo sposo naturale in termini strettamente organolettici) servono, per 8-10 persone: 1 kg di cosce di poll, 1 kg di coniglio, 1 kg di coppa di maial, 4-5 fette spesse di pancetta arrotolata, sale, pepe, olio extravergine di oliva, vino bianco secco, salvia, pepe in grani (meglio quello misto), aceto e sale.
Il procedimento è il seguente: si taglia la carne a pezzi regolari, per assicurare uniformità di cottura. Alcuni, provvedendo a questo il giorno prima, mettono a marinare i pezzi tagliati con aromi. Si preparano gli spiedi alternando carne a lardo e foglie di salvia. La cottura dello “speo” è molto lunga, oltre 5 ore, quindi si parte presto con la preparazione, se si vuole mangiarne la sera. Si accende il fuoco al mattino e subito dopopranzo si inizia la cottura, mettendo le spiedine sul girarrosto e lasciando rosolare lentamente al caldo della brace. Se non avete un girarrosto elettrico dovete procurarvi qualcuno disposto a fare il …menarrosto! La salatura e l’aggiunta di pepe avviene durante la cottura, facendo attenzione, perché avete tempo di aggiungerne successivamente. Si controlla la cottura e l’umidità della carne tastando i pezzi e separandoli con un forchettone. Circa il grasso colato dalla carne nella leccarda, due sono le scuole di pensiero. O si usa per ingrassare i pezzi di carne o, per i puristi, si getta. In finale il colpo da maestro sarebbe il ”precot”: un pezzo intero di lardo che viene scaldato per un’ora vicino al fuoco, avvolto in carta e “acceso” in modo che possa colare gocce di lardo fumante sulle carni rendendole croccanti. Tant’è. Dopo tanto lavoro e tanta “poesia” dei gesti (in onore al maestro…), si mangia, togliendo i pezzi di carne e conservandoli al caldo, in pirofila aperta: accompagnando con polenta, radicchio ai ferri, fagioli con cipolle. E vino a volontà, e allegria.
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Marco Boscarato gestisce con la moglie Alessia “Casa la Buona Stella”, una residenza rurale sul Montello trevigiano, in cui propone nel fine settimana una cucina prevalentemente vegetariana, utilizzando le produzioni degli orti dietro casa. A Casa la Buona Stella si organizzano corsi di cucina, conferenze, cene a tema, e si propongono incontri e consulenze dedicate alla cucina naturale.
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