Amarone della Valpolicella
Poliedrica sublimazione del gusto
L’Amarone è l’esaltazione dei sensi. Nel calice le sue intense note
rosso rubino ricordano la morbidezza del velluto e la sensualità della seta. Al naso la seduzione si fa più intensa: le note di testa ricordano frutta rossa violacea matura, amarene, prugne, lamponi supportate da un cuore di confettura di frutta e uva passa. Suadenti le note speziate che rievocano cannella, chiodi di garofano, pepe e talora radice di liquirizia. Avvolgente e potente al palato, morbidi i tannini e calda la componente alcolica.
Già al tempo dei romani la Valpolicella era rinomata per un suo particolare vino probabile antenato dell’attuale Amarone.
All’epoca si richiedeva a un vino alto grado alcolico in modo da sopportare lunghi viaggi ed escursioni termiche e un buon residuo zuccherino e aromi intensi che sostenessero una cucina molto speziata e piccante. In particolare il garum, papetta fatta con interiora di pesce fermentate al sole e all’epoca condimento molto amato e diffuso, necessitava di un vino robusto. Se nelle province meridionali dell’impero romano erano il sole e i venti a favorire una maturale sur-maturazione e un parziale se non totale appassimento delle uve sulle piante, le province dell’Italia settentrionale presentavano un clima più umido e incostante, con la presenza di nebbie autunnali.
Da qui l’idea di ricorrere a un appassimento nei solai, dove i grappoli intrecciati venivano appesi al soffitto, e successivamente deposti ai graticci. La zona della Valpolicella ben si prestava per questo tipo di procedura: l’altitudine media varia dai 70 ai 400 metri su livello del mare e il clima si presenta mite e temperato grazie alla presenza dell’Altipiano della Lessinia e delle Dolomiti a nord e alla brezza proveniente dal vicino lago di Garda.
Geologicamente ci troviamo di fronte a un terreno ricco di minerali. La bassa valle è di calcare eocenico, con sacche di tufo basaltico, mentre le colline sono spesso di calcare eocenico a sud e di calcare cretaceo o calcare marna a nord. Grazie alla favorevole disposizione delle valli il 50% dei vigneti risulta esposto a sud, il 30% a est e il restante 20% a ovest.
Al tempo dell’Impero, i vini ottenuti per appassimento nella Valpolicella venivano chiamati Reticum, da Retia, regione romana che comprendeva le Prealpi e si estendeva da Verona al lago di Como.
Per alcuni il passaggio da reticum a Recioto è quasi intuitivo, anche se la tradizione vuole derivi da recie, orecchie nel dialetto locale, termine che indicava la parte superiore del grappolo, la più esposta al sole e di conseguenza la più adatta per l’appassimento.
E Recioto era inizialmente il vino classico per la Valpolicella. Non era semplicemente un vino, era il simbolo dell’intera zona. Vino nobile, da compagnia o da meditazione… “un liquido carnoso o una bevanda commestibile” come lo definì Cassiodoro, ministro di quattro sovrani Goti, tra i quali Teodorico. Un vino che non necessitava tante manipolazioni o arricchimenti di spezie per mantenersi integro e corposo.
Passato il medioevo e il rinascimento, nel settecento il marchese Scipione Maffei lo cita quale Vin Santo che “si trova dolce e non dolce e ha la proprietà di non guastarsi mai in qualunque luogo si tenga”. Ma è solo a fine ‘800 che troviamo la dizione Recioto per definire tale tipologia; cinquant’anni dopo lo troviamo in quattro categorie. Il vino dolce cioè Recioto, il mezzo Recioto, un po’ meno dolce, il vino con vena, leggermente più secco del precedente e il vino amaro, decisamente secco. Ed è quest’ultimo, scherzosamente chiamato dai veronesi "Recioto scampà", che dagli anni Ottanta si è imposto sul mercato internazionale quale vino portabandiera della Valpolicella. Il Recioto Amarone, o più semplicemente l’Amarone, rappresenta lo stadio finale di un lungo processo evolutivo fatto di storia e cultura. Alle mutate abitudini alimentari, che non richiedono più vini dolci a tutto pasto, si è affiancata l’idea di non vedere nel vino un alimento apportatore di calorie, ma un bene di lusso quotidiano, un sinonimo di cultura gastronomica. Data storica per l’ascesa dell’Amarone nel gotha dei grandi italiani è stata l’irripetibile vendemmia 1990 quando, accanto ai prestigiosi Brunello e Barolo, riuscì a imporsi quale terzo vino italiano sul mercato internazionale d’elite.
A rendere singolare questo vino concorrono tre aspetti: l’uvaggio, l’appassimento delle uve e il metodo di vinificazione.
VITIGNI
La corvina conferisce colore, corpo e profumi invitanti e delicati, la molinara dona una vena di acidità e profumi notevolmente aromatici, la rondinella ampie note floreali e tannini. Le tre varietà autoctone del veronese sono il risultato di una secolare tradizione e selezione naturale e il carattere delle uve era già noto a Plinio il Vecchio che nel primo secolo a.C. affermò che tali vitigni “avevano un tale amore per la propria terra che, trapiantate in altre zone, perdevano tutta la loro fama e la loro qualità.”
La corvina in purezza presenta un colore rubino intenso, è un vino corposo e ricco, con profumi fragranti e delicati. Il vitigno è di natura vigorosa e a fioritura tardiva, la maturazione delle uve avviene fine settembre primi di ottobre. Il grappolo è compatto e come tale soggetto agli attacchi di
botrytis cinerea durante l’appassimento.
Più delicato nelle sfumature un vino ottenuto da molinara in purezza, con un tenue rosa e al naso un’invitante nota di lampone. Discreta la componente alcolica con una buona acidità.
Pianta anch’essa vigorosa, fiorisce ad aprile e raggiunge la maturazione ai primi di ottobre. Vitigno sensibile ai freddi invernali e a umidità eccessiva, si dimostra alquanto resistente agli attacchi di peronospera e alle muffe.
Di color rosso rubino, con delicati sentori floreali e di corpo debole il vino ottenuto dalla rondinella, un vitigno resistente al freddo e alla siccità come pure alle principali malattie della vite. In appassimento rivela una buona resistenza alle infezioni da muffe e da funghi.
L’uvaggio dell’Amarone, secondo il disciplinare del 1968 e modificato nel 1990, prevede il 40-70% di corvina veronese, il 20-40% di rondinella e il 5-25% di molinara. Possono concorrere alla produzione anche uve provenienti da vitigni barbera, rossignola e sangiovese fino a un massimo del 15% e vitigni a bacca rossa, non aromatici, autorizzati e raccomandati per la provincia di Verona. Risulta evidente che le diverse etichette sul mercato presentano quindi caratteristiche diverse, anche se i migliori risultati si ottengono valorizzando le tre uve principali, filosofia seguita ad esempio da Villa Girardi.
Sono le moderne tecniche di vinificazione che consentono di estrarre da questi autoctoni l’essenza migliore conferendo al vino sentori tipici ma delicati.
LE “ARELE” E L’AMARONE
Le uve destinate alla produzione di Recioto e Amarone vengono preferibilmente vendemmiate una decina di giorni prima di quelle per il Valpolicella, quando l’acidità è leggermente più alta. Sarà proprio questa caratteristica a mantenere l’equilibrio del prodotto finale e garantirne la longevità.
I grappoli selezionati devono presentarsi radi e perfettamente sani, le bucce vanno mantenute integre e i grappoli asciutti. In genere le uve destinate alla produzione rappresentano una percentuale compresa tra il 7 e il 15% della produzione totale, a seconda dell’azienda e dell’annata.
Le uve così raccolte vengono messe a riposo in casse di legno che contengono fino a sette chili. La disposizione deve avvenire in un solo strato per garantirne l’uniforme appassimento in particolare nel primo mese.
Il periodo di appassimento dura 60-100 giorni, e i controlli giornalieri consentono di eliminare eventuali grappoli o acini danneggiati. Il rischio di muffe in questo periodo è altissimo.
Durante l’appassimento l’uva perde circa il 40% del peso iniziale, con sensibile aumento della concentrazione zuccherina. L’acidità rimane pressoché costante mentre aumenta pure la componente glicerica.
Dopo la diraspatura segue una macerazione prolungata (dai 20 ai 60 giorni). La fermentazione inizia in pieno periodo invernale e grazie alle basse temperature può prolungarsi fino a due mesi. Trasferito in botti, l’Amarone termina la fermentazione e svolge la malolattica e – dopo l’ultimo travaso per separarlo dalla feccia- matura da uno a sei anni in legno.
L’AMARONE IN CUCINA
Questo vino morbido e corposo, dai tannini equilibrati e una buona acidità, ben si sposa con i piatti di selvaggina, la carne alla brace e i classici brasati e formaggi stagionati.
Ma i mutamenti che subisce durante l’invecchiamento, in particolare gli aromi terziari che derivano dal processo di appassimento delle uve, fanno dell’Amarone un vino poliedrico e capace di sposarsi ai piatti più singolari: dagli agrodolci ai piatti della cucina asiatica, in particolare quella sud-orientale, dall’America latina con le sue note piccanti alla gastronomia dell’india, ricca di profumi e spezie.
Nicoletta Brustolon
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