Niente fronzoli
all'Ambasciata
di Quistello
All'Ambasciata valgono i prodotti e la loro forza
Dimenticate la cucina moderna con il suo percorso di piccoli, colorati
e saporiti piatti. Dimenticate concetti quali leggerezza o innovazione. Al ristorante L’Ambasciata di Quistello, nella Bassa Mantovana, la cucina fa rima con opulenza, tradizione e ricchezza delle materie prime. Se arrivate in anticipo rispetto all’orario di prenotazione, non fatevi distrarre da una sala che trabocca di libri, di stoviglie preziose, di argenterie e di tappeti persiani. Andate dritti verso l’apertura che dà sulla cucina. Seduto al tavolo vicino, quasi certamente ci sarà un signore con una stazza importante e con una divisa bianca. “Lei è il cuoco?”, domanderete voi. “No, sono solo il lavapiatti. Un lavapiatti di campagna”. Al di là della gag che potrebbe ripetersi infinite volte e sempre in modo uguale, davanti avrete Romano Tamani, classe 1943, lombardo, uno degli innovatori, negli anni Settanta, della cucina italiana che invece oggi critica e in cui si riconosce a fatica. Oggi, dice lui, c’è poco da innovare nella cucina. Non si riconosce nei cuochi moderni che rovinano le cozze con salsa di caffè a favore delle telecamere di “Porta a porta”, si allontana dai colleghi che con la chimica arricchiscono (“o impoveriscono, piuttosto…”) i piatti. Per lui la cucina rispetto a trent’anni fa si è innovata e rinnovata. “Non ditemi che la carne che mangiamo oggi è la stessa degli anni Ottanta? Oggi c’è più attenzione per la materia prima. Questo è il mio concetto di innovazione. Per il resto, resto ancorato alla mia tradizione”.
e saporiti piatti. Dimenticate concetti quali leggerezza o innovazione. Al ristorante L’Ambasciata di Quistello, nella Bassa Mantovana, la cucina fa rima con opulenza, tradizione e ricchezza delle materie prime. Se arrivate in anticipo rispetto all’orario di prenotazione, non fatevi distrarre da una sala che trabocca di libri, di stoviglie preziose, di argenterie e di tappeti persiani. Andate dritti verso l’apertura che dà sulla cucina. Seduto al tavolo vicino, quasi certamente ci sarà un signore con una stazza importante e con una divisa bianca. “Lei è il cuoco?”, domanderete voi. “No, sono solo il lavapiatti. Un lavapiatti di campagna”. Al di là della gag che potrebbe ripetersi infinite volte e sempre in modo uguale, davanti avrete Romano Tamani, classe 1943, lombardo, uno degli innovatori, negli anni Settanta, della cucina italiana che invece oggi critica e in cui si riconosce a fatica. Oggi, dice lui, c’è poco da innovare nella cucina. Non si riconosce nei cuochi moderni che rovinano le cozze con salsa di caffè a favore delle telecamere di “Porta a porta”, si allontana dai colleghi che con la chimica arricchiscono (“o impoveriscono, piuttosto…”) i piatti. Per lui la cucina rispetto a trent’anni fa si è innovata e rinnovata. “Non ditemi che la carne che mangiamo oggi è la stessa degli anni Ottanta? Oggi c’è più attenzione per la materia prima. Questo è il mio concetto di innovazione. Per il resto, resto ancorato alla mia tradizione”.
Il successo di un lavapiatti di campagna
Romano Tamani ha aperto il ristorante L’Ambasciata a Quistello nel 1978, sulla curva che porta al paese sulla Secchia gravemente danneggiato dal sisma del 2012. Ancora oggi in centro si vedono edifici con impalcature, puntelli e cartelli affissi che parlano di ristrutturazioni e di messa in sicurezza. Nella sua prima vita, Tamani ha viaggiato molto. “Ho abitato nelle migliori cucine del mondo, da Londra a New York a Kuala Lumpur”, ama ricordare oggi prendendo in mano il libro che racconta la sua vita, “Romano Tamani. Diario di un lavapiatti di campagna”, prefazione di Vittorio Sgarbi. Negli anni Sessanta Tamani, nel suo lungo viaggio nelle migliori cucine del mondo, incontra un suo compaesano, Adolfo Alessandrini, un nome che ha segnato la diplomazia italiana prima durante il regno di Vittorio Emanuele III poi nell’epoca repubblicana. Quando lo conosce, è ambasciatore in Canada e, alla fine della sua carriera, rappresentante permanente dell'Italia al Consiglio atlantico, con sede a Parigi. Fra i due nascerà un’amicizia destinata a durare fino alla morte di Alessandrini, nel 1987. “Quando tornerò in Italia – promette negli anni Settanta Tamani – aprirò un ristorante nella tua Quistello e lo chiamerò L’Ambasciata”.
Nel 1978 c'erano anche le pizze
Il locale apre nel 1978. All’inizio era un ristorante-pizzeria. “Col ristorante cucinavo i miei piatti, con la pizzeria facevo un po’ di margine”. Ma gli ambienti avevano poca luce ed ecco che Tamani ha un’intuizione, quella di aprire in cucina una finestra che dà sulla corte. Oggi la corte è diventata la sala da pranzo di un locale che da più di trent’anni non propone più pizze. E quell’idea della cucina a vista, nata all’inizio solo per esigenze logistiche, è stata imitata e copiata da tutti i grandi chef. Le grandi guide enogastronomiche hanno inserito da subito L’Ambasciata tra i ristoranti per i quali vale la pena fare una deviazione. La Michelin ha dato a Tamani e all’Ambasciata le due stelle. “Oggi ne abbiamo una sola – sottolinea lo chef – perché dicono che facciamo una cucina troppo vecchia, ma è quella che piace agli italiani”. Si tratta di una cucina che piace anche a Expo, perché Tamani e L’Ambasciata sono stati scelti come ambasciatori gastronomici del sito Unesco Mantova-Sabbioneta: “La cucina dell’Ambasciata – si legge nella motivazione – è solidamente ancorata ai prodotti del territorio, alle preparazioni che solo l’impegno, la dedizione e lo scrupolo hanno saputo traghettare sino ai giorni nostri. Romano Tamani e il suo staff raccontano la storia di questo territorio attraverso sapori e gusti unici, ricollegandosi proprio ai fasti rinascimentali e alle più schiette esperienze della cucina mantovana”.
Alla guida i fratelli Tamani, Romano e Carlo detto Francesco e Giampietro Crescini
Alla guida i fratelli Tamani, Romano e Carlo detto Francesco e Giampietro Crescini
Chi prenota all’Ambasciata di Quistello deve pensare che per assaporare i piatti principali della cucina di Tamani non basta un pranzo o una cena. Ma la prima volta (e forse anche la seconda o la terza) non può mancare nella scelta del menu, che va dettato al cuoco che arriva al tavolo con il blocchetto degli appunti, è la Faraona del Vicariato di Quistello con uva, arancia mostarda di mele Campanine e melograno. Si tratta di un piatto dove la carne della faraona si sposa al punto giusto con gli altri elementi che ne fanno un piatto coloratissimo e ricco, apprezzato anche da San Giovanni Paolo II, che lo degustò al vicariato di Quistello in occasione di una visita pastorale. Tra i primi c’è molta scelta, noi consigliamo i tortelli di zucca con crema di zucca, un piatto che lega due prodotti d’eccellenza della Bassa Mantovana. E fra i dolci, per chi riesce ad arrivarci senza difficoltà, va provato lo Zabaglione caldo al Moscato e Marsala, servito al tavolo con un paiolo in rame da polenta.
L’Ambasciata è guidata, oltre che da Romano Tamani, dal fratello Carlo detto Francesco, responsabile di una sala che lascia impressionati, e dal manager Gianpietro Crescini, imprenditore gourmet che dal 2013 è coinvolto nell’avventura gastronomica. Scontrino medio 150 euro. Carta dei vini curata da Francesco Tamani con attenzione al territorio e ai prodotti della cantina sociale.
Info: www.ristoranteambasciata.com e tel. 0376618255. Chiuso il lunedì e la domenica a cena.
Antonino Padovese
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