lunedì 11 luglio 2022

La sinestesia. Che cos’è la sinestesia? Come si evidenzia?

La sinestesia. Che cos’è la sinestesia? 

Come si evidenzia? 

Quali implicazioni ha nella descrizione 

e misurazione della percezione? 

Chi sono i sinesteti? L’etimo deriva dalla crasi di due termini del greco antico: σύν (sin, insieme), e αἴσθησις (aisthēsis, sensazione): nella sua accezione generale indica una interazione crociata di due sensazioni, spesso, ma non necessariamente, generate da organi di senso distinti. 

Semplificando molto, possiamo considerare la sinestesia una sorta di corto-circuito: percezioni e sensazioni che dovrebbero viaggiare su canali strettamente indipendenti vengono invece mescolate, al punto tale che se un canale riceve un segnale, ne viene evocato uno “correlato” anche nell’altro canale, anche quando questo non ha ricevuto stimoli. In un contesto più tecnico, il termine sinestesia è stato originariamente usato per descrivere una condizione neurologica particolare, non patologica, nella quale il soggetto che visualizza un grafema (una lettera, un numero, un “segno” utilizzato per indicare qualcosa) lo vede intrinsecamente colorato. In altre parole, il sinestetico mostra un’associazione involontaria, inconscia e costante nel tempo, tra segno e colore: per esempio, percepisce la lettera A come colorata di rosso, a prescindere dal reale colore di stampa, che viene comunque percepito correttamente [1]. 



Questa sinestesia è detta “grafemagcolore”: oggi sono noti oltre 80 tipi di sinestesie diverse [1], per indicare le quali si usa, come sopra, una notazione a freccia, ponendo a sinistra della freccia lo stimolo “induttore” e a destra la percezione “reclutata”. Abbiamo così, per esempio, sinestesie “suonogcolore”, quando lo stimolo sonoro evoca sensazioni cromatiche, e così via per praticamente tutte le combinazioni di sensi e stimoli che è possibile immaginare. A dispetto di questa grande varietà di sinestesie, la “grafemagcolore” è comunque quella che è stata descritta per prima in modo rigorosamente medico, ed è tutt’ora la più studiata. Viene caratterizzata in un articolo del 1821 [2]: precedentemente, descrizioni di sinestesia erano apparse anche in pubblicazioni importanti (ne parla anche John Locke, il massimo filosofo empirista inglese) ma in contesti aneddotici, non veri soggetti di studio. Dal 1821 a oggi gli studi sulla sinestesia sono esplosi, tanto che Google Scholar trova oltre 38.900 pubblicazioni totali su questo soggetto, di cui 2.490 che datano a dopo il 2021 e oltre 300 prodotte soltanto in questi primi 4 mesi del 2022. 

Se le pubblicazioni più antiche sono   per lo più legate alla sinestesia “grafemagcolore”, gli articoli più recenti esplorano un ricchissimo universo sinestetico. Riguardo alla sinestesia “grafemagcolore”, oggi sembra acclarato che interessi circa il 4% della popolazione, che sia in buona misura indipendente dal linguaggio parlato dal sinestetico [3] e che sia maggiormente frequente negli artisti, musicisti e persone in generale molto creative e dotate di profonda memoria [4], come pure che sia fortemente associata ai disturbi dello spettro autistico e ad alcune neuropatologie come l’epilessia [5, 6]. Dal punto di vista neuroanatomico, alcune misure di brain imaging suggeriscono che le sinestesie coinvolgano aree cerebrali contigue, come se ci fosse una diffusione di segnale per contiguità, mentre nei soggetti non sinestetici le aree siano “a tenuta stagna” e i segnali distinti non si mescolino [7]. 

Questo è avvalorato anche da studi whole-exome (quelli dove si misura il profilo di espressione di tutti i geni attivi nelle cellule), che mostrano una associazione tra condizione sinestetica e presenza di alcune mutazioni rare nei geni dell’assonegenesi [8], ovvero quei geni che guidano la crescita degli assoni dei neuroni, durante lo sviluppo cerebrale. Nella pratica, tutti siamo soggetti a vari tipi di sinestesia, con vari livelli di intensità. Esperimenti sociali tipici della psicologia comportamentale mostrano comportamenti sinestetici ampiamente riproducibili in tutte le popolazioni indagate. 

Un esperimento classico, dovuto a Köhler nel 1929 [9] e studiatissimo in seguito [10, per un riferimento recente], è quello di mostrare le due forme in Fig. 1 chiedendo al soggetto di assegnare i nomi “kiki” e “bouba” alle forme che considera più probabile abbiano quel nome. Gli esperimenti indicano che anche popolazioni con linguaggi diversi, tendono ad associare il nome “kiki” alla forma più spigolosa e il nome “bouba” a quella più tondeggiante. Molto interessanti perché potenzialmente molto più diffuse della sinestesia “grafemagcolore”, sono le sinestesie “ggustolfattive”, ovvero tutte quelle sinestesie in cui un qualche stimolo visivo, uditivo ecc. è in grado di suscitare o modificare una sensazione gusto-olfattiva. 

Uno dei principali studiosi in questo campo è lo psicologo sperimentale Charles Spence dell’Università di Oxford, che ha studiato come esistano tante sinestesie che influenzano il nostro gusto. Riprendendo l’esperimento kiki/bouba sopra citato, ha dimostrato che un cibo servito in un piatto “spigoloso”, con punte o uncini, appare di sapore più pungente, spigoloso e induce disagio: è uno dei motivi per i quali difficilmente un ristorante servirà pietanze in un piatto triangolare o comunque dotato di punte [11]. 

A volte, però, questa sensazione di pungenza è ricercata: per esempio nelle bevande gassate in cui lo spumeggiare delle bollicine dà una sensazione simile ed è considerata positiva. Non è un caso, quindi, che i loghi di molte bevande gassate riprendano temi di stelle stilizzate con punte ben acuminate (diciamo un logo decisamente “tipo-kiki”). Analogamente, hanno un’influenza molto importante i colori dei piatti in cui serviamo il cibo: il colore può alterare il sapore del cibo stesso. Sembra incredibile, ma un celebre esperimento di Spence mostrò come patatine servite in contenitori di colore blu venissero percepite come il 50% più salate delle stesse patatine servite in contenitori di colore bianco [12]. Questi fenomeni sono esaltati in soggetti con condizioni patologiche neurodegenerative: per esempio, pazienti Alzheimer sono invogliati a mangiare di più (fino al 70% rispetto alla norma) quando il cibo viene servito su piatti intensamente colorati, rispetto ai piatti bianchi standard. Il piatto colorato fa sembrare il cibo nettamente più appetitoso [13]. Ma le sinestesie che hanno reso celebre il lavoro di Spence sono quelle “suonoggusto”, a cominciare dal celebre esperimento della “sonic chip”, la “patatina sonora”, che gli ha valso il conferimento dell’irriverente (ma prestigioso) premio IgNobel nel 2008. I soggetti partecipanti all’esperimento mangiavano una patatina standard, dentro una cabina acusticamente isolata e indossando delle cuffie che, a seconda dei casi, attutivano il rumore esterno, oppure al contrario amplificavano fortemente il rumore della patatina mentre viene spezzata dal primo morso. 

 I risultati sono decisamente suggestivi: i soggetti col rumore del “crock” amplificato assegnano alla patatina un punteggio di qualità del 50% più alto rispetto a quelli che hanno assaggiato la patatina col suono attutito [13]. La ragione di questo fenomeno è chiara: noi associamo al croccante il concetto di “preparazione fresca”, “cottura adeguata” e tante altre valutazioni positive, per cui quando sentiamo un rumore più intenso, tendiamo a giudicare più alta la qualità del cibo. È una reazione cross-culturale, che vale per gli occidentali quanto per gli orientali, a dispetto di tradizioni culinarie molto diverse. In effetti, il croccante è forse un caso di gusto intrinsecamente sinestesico: perché si realizzi devono concorrere più sensi e debbono avere un preciso accordo tra loro. Le sinestesie “suonoggustolfatto” sono state studiate, dal gruppo di Spence ma anche da altri, esaminando un contesto estremamente particolare: la relazione tra vino e musica. 

           


  A dispetto del fatto che sia una relazione descritta in tanti contesti artistici e letterari, la sua investigazione scientifica è relativamente recente. Spence è riuscito a dimostrare che alcune caratteristiche sensoriali del vino trovano esaltazione sinestesica in alcune caratteristiche musicali: per esempio, l’acidità del vino viene esaltata dagli strumenti a fiato, soprattutto nei registri alti; analogamente, il corpo di un vino trova rispondenza nel ritmo del brano musicale, e così via per altre associazioni [14-16]. Un recente esperimento condotto su 700 professionisti (enologi, sommelier, e simili) ha mostrato come questi subiscano le stesse alterazioni percettive di soggetti comuni [17], avvalorando la presenza di un fenomeno neurologico basilare, svincolato dalla competenza tecnica. 

 A Pisa, da 21 anni, è attivo un progetto culturale multisensoriale, chiamato CantinaJazz  che si occupa di scovare sinestesie tra vino e musica e usarle per esaltare suoni e sapori negli eventi aperti al pubblico. Il progetto si avvale della partecipazione dei docenti di Analisi Sensoriale dell’Ateneo pisano: pur avendo un impianto principalmente artistico, i contenuti scientifici sono in continua crescita e sono stati oggetto di una comunicazione al convegno IASA del 2019. Sintetizzando al massimo, mentre l’approccio di Spence consiste nell’indagare delle corrispondenze “termine-a-termine” tra caratteristiche gustative e musicali, l’approccio di CantinaJazz tende a costruire associazioni articolate tra le sensazioni scatenate dal vino e dai brani musicali, una sorta di traduzione “del significato”. dei messaggi sensoriali  (l'ASSAGGIO ESTATE 22)

ROBERTO MARANGONI

 Dipartimento di Biologia, Università di Pisa 

Direttore Centro Interdipartimentale 

per lo Studio dei Sistemi Complessi (CISSC) 

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