Perché il dolce
è il sapore del piacere?
La ricerca della felicità coincide con la ricerca del piacere e in presenza di zuccheri semplici si generano neurotrasmettitori del benessere passando dalla promessa dello stimolo allo stato psicofisico.Per questo l’inganno della percezione attraverso i dolcificanti ha vita breve
Se l’olfatto rappresenta un primo punto di controllo per verificare la salubrità dei cibi che stiamo per ingerire sulla base di informazioni accumulate nel corso di esperienze precedenti, il cavo orale può essere rappresentato come un laboratorio chimico altamente specializzato per la valutazione non solo della composizione degli alimenti che, superato lo sbarramento olfattivo, stiamo per ingerire, ma anche del loro potere nutrizionale.
Tra i gusti principali, se il gusto amaro mette in allerta i nostri sensi scatenando diffidenza per ridurre il rischio di ingerire sostanze tossiche o nocive, il gusto dolce, al contrario, viene associato alla presenza di zuccheri semplici che sono fonti energetiche facilmente assimilabili e quindi necessarie per la nostra sopravvivenza.
Di conseguenza, non solo nel corso dell’evoluzione non si sono sviluppati meccanismi di difesa strutturati contro i cibi dolci, ma, al contrario, nell’ottica della conservazione della specie, l’assunzione di zuccheri semplici è fisiologicamente collegata alla produzione di ormoni del benessere costituendo una sorta di droga naturale che induce i singoli individui a cercare cibi dolci e/o ad alto potenziale calorico, che diventano “comfort foods” per antonomasia.
Le scelte alimentari rispetto al dolce e all’amaro sembrano già definite a partire dalla ventiquattresima settimana di gestazione quando la quantità di liquido amniotico ingerito quotidianamente dal feto raddoppia in presenza di molecole dolci, mentre la deglutizione viene interrotta a seguito dell’introduzione di molecole amare. Da sottolineare come il diverso comportamento del feto è accompagnato da espressioni di piacere nel primo caso e di disgusto nel secondo. Per un innegabile vantaggio evoluzionistico i bambini fino ai 5 anni di età tendono a categorizzare i cibi in base alla familiarità o alla dolcezza e a scegliere cibi ad alta densità energetica.
Questi comportamenti sono facilitati dal fatto che fino agli 8 anni circa è possibile rilevare una differenza fisiologica significativa tra i bambini e gli adulti nella capacità di percepire le molecole dolci: per effetti della non completa formazione delle papille gustative, i bambini hanno una soglia di percezione del dolce di circa il 30% più alta rispetto agli adulti e non mostrano un limite massimo di accettabilità rispetto al saccarosio. Le conseguenze più evidenti di questo spettro fisiologico sono tre: a) i cibi dolci vengono scelti dai bambini anche se non sono a loro familiari, sottolineando come il rifiuto di cibi non conosciuti dovuto alla neofobia che caratterizza la prima infanzia non sembri essere applicato in presenza di zuccheri semplici; b) se gli adulti percepiscono il gusto dolce a partire dai 100 g/L di saccarosio in su, i bambini hanno bisogno di una concentrazione superiore ai 130 g/L; c) tra varie opzioni i bambini scelgono sistematicamente il cibo con la concentrazione zuccherina più elevata. L’organizzazione e la distribuzione dei recettori gustativi nel cavo orale è tale da permettere all’organismo di individuare alcune informazioni fondamentali per guidare le scelte alimentari: • le cellule gustative non sono neuroni ma la loro interazione con lo stimolo genera una differenza di potenziale che induce la liberazione di neurotrasmettitori verso le fibre nervose che innervano i calici gustativi. Ogni fibra gustativa è in contatto con molte cellule sia all’interno di uno stesso calice sia tra calici diversi. Questo meccanismo consente di utilizzare le informazioni derivanti dai diversi recettori gustativi specifici per l’individuazione di diversi gusti fondamentali per prendere decisioni a livello cerebrale, laddove verranno integrate tra di loro e con le informazioni derivanti dagli altri organi di senso.
• I recettori del gusto dolce sono completamente differenti da quelli per il gusto amaro, mentre hanno una subunità in comune con i recettori dell’umami (la sensazione di saporito che si rileva in presenza di glutammato di sodio e che più in generale è vista come un indicatore di amminoacidi nei cibi). Questo permette di distinguere le molecole dolci a valenza energetica (glucosio, fruttosio, saccarosio, ecc.) dai dolcificanti artificiali riducendone di fatto l’efficacia organolettica. Questi ultimi, infatti, spesso contengono nella loro molecola gruppi funzionali in grado di interagire con i recettori dell’umami e con altri recettori tattili inducendo la comparsa ritardata di sensazioni più o meno spiccate di amaro/acido/ astringente dopo che si è esaurita la sensazione di dolce.
• In presenza di un mix di molecole dolci e amare si assiste a una soppressione delle sensazioni dolci. Questa soppressione è mediata da neurotrasmettitori per garantire che in caso di esposizione prolungata tra il meccanismo di accettazione del cibo (indotto dal gusto dolce) e quello di rifiuto (indotto dal gusto amaro) prevalga il secondo. In questo senso è esperienza comune quanto sia inutile aggiungere zuccheri a medicine di per sé amare: se nelle primissime fasi il sapore amaro viene in qualche modo coperto dal dolce, in un secondo momento l’amaro diventa decisamente dominante.
Il mondo vegetale e il mondo animale rispecchiano appieno il ruolo attribuito universalmente in natura alle diverse classi di molecole gustative: fintanto che un seme non è maturo da poter garantire la riproduzione della pianta di origine viene custodito gelosamente in un frutto acerbo poco appetibile a causa della dominanza nello spettro gustativo della polpa di sensazioni acide, amare e astringenti; nel momento in cui il seme è pronto per essere disperso nel terreno la composizione della polpa del frutto cambia completamente fino a diventare decisamente dolce in modo da attirare animali di varie specie che mangiando i frutti disperderanno i semi nell’ambiente circostante. Da un punto di vista sociale queste evidenze rendono assolutamente necessario aumentare la consapevolezza negli adulti e nella società civile nel suo insieme, rispetto al fatto che nei bambini e nelle persone fragili le difese fisiologiche che permettano di limitare l’assunzione di cibi dolci sono molto basse o addirittura nulle.
La grande disponibilità di cibi dolci nella società moderna insieme a elevate fonti di stress che inducono una parte della popolazione a rifugiarsi nei comfort foods, possono creare la tempesta perfetta che si manifesta con il dilagare di alterazioni dei comportamenti alimentari fino all’obesità già diffusa nella prima infanzia. A questi meccanismi istintivi di per sé conservativi, e quindi difficilmente aggirabili, nel corso dello sviluppo dell’individuo si affiancano meccanismi interpretativi del mondo che ci circonda che permettono una certa modulazione delle scelte alimentari anche su base più razionale, mediata a livello cerebrale da informazioni di carattere salutistico, sociale, culturale ecc.
In questo contesto c’è però un elefante nella stanza che non possiamo assolutamente trascurare: se la ricerca della felicità coincide con la ricerca del piacere e se è vero che in presenza di zuccheri semplici si generano neurotrasmettitori del benessere non si può pensare una vita senza zuccheri per rispondere semplicemente a input socioculturali o per allinearsi a modelli esterni che alla lunga non induca una frustrazione profonda nell’individuo vanificando a un certo punto tutti gli sforzi fatti in precedenza. Per limitare la diffusione di disturbi alimentari è sicuramente necessario e più efficace un ripensamento complessivo dello stile di vita di ciascuno per ridurre le fonti di stress esterni da una parte e suggerire combinazioni di cibi equilibrate in termini sia nutrizionali che edonistici dall’altra, tenendo sempre presenti le diverse risposte fisiologiche specifiche per le diverse fasce di età.
FRANCESCA VENTURI
Università di Pisa
L’ASSAGGIO estate 2022
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