Turismo, polemiche
per la “Venere”.
Ma perché
non cedere in affitto
i beni culturali?
Il progetto presentato dal ministero del Turismo ed Enit ha creato tanti dubbi. Ma la scarsa valorizzazione del turismo e dei reperti storici italiani è, da sempre, un tasto dolente della politica del nostro paese. Non si scopre oggi. Ora, però, servono investimenti seri, e pesanti, per migliorare la situazione. E non slogan pubblicitari senza senso
Ha fatto scalpore negli ultimi giorni il progetto presentato dal ministero del Turismo e da Enit per la valorizzazione della cultura e della storia in Italia. Una scelta che non è stata apprezzata sia dagli addetti ai lavori sia dall’opinione pubblica. Con la Venere di Sandro Botticelli, una delle opere maestre del rinascimento italiano e della scuola fiorentina, che si è letteralmente travestita da influencer, ricordando a qualcuno - facendo nome e cognome, Vittorio Sgarbi - l’influencer per eccellenza del nostro paese ossia Chiara Ferragni. Ma la scarsa valorizzazione del turismo e dei reperti storici italiani - come musei, pinacoteche, statue e chiese - è, da sempre, un tasto dolente della politica del nostro paese, e dei numerosissimi governi che si sono succeduti nel corso degli anni. Ma una delle (tante) soluzioni che potrebbe essere applicata per il miglioramento del made in Italy nel mondo non è ancora stata presa in considerazione da parte delle istituzioni, nonostante all’estero stia portando grossi introiti nelle casse degli stati (e anche dei privati che investono). Stiamo parlando della cessione in affitto dei beni culturali.
Cessione in affitto di infrastrutture
e monumenti, l'esempio nello sport
In diversi paesi, in particolare negli Stati Uniti - superpotenza mondiale a livello imprenditoriale - e in alcune nazioni europee, la cessione temporanea e non a titolo definitivo di infrastrutture e beni storici ad aziende private, con un contratto che può variare da uno a cento anni, contribuiscono alla tutela, alla valorizzazione e all’immagine della locazione affittata. Un esempio "banale" è quello legato agli stadi sportivi (dal baseball al calcio passando per pallacanestro, hockey sul ghiaccio e football americano) che vede, in cambio di un corrispettivo economico importante per un numero di anni decisi durante la stipulazione del contratto, dell’appropriazione del nome dell’impianto con quello del brand (un esempio, il City of Manchester Stadium dell’omonima città inglese che oggi porta il nome di Etihad - nota compagnia aerea emiratini - Stadium). Un’azione di brandizzazione che permette ai club di mettere in saccoccia soldi importanti (in questo caso, con i naming rights, di circa 400 milioni di euro per dieci anni) per il mantenimento della stessa società, e che permette all’azienda acquirente di ottenere i diritti d’immagine sulla struttura (cedibili poi a terzi, con il permesso della proprietà, per altri eventi).
L'Etihad Stadium di Manchester
Cessione in affitto di beni culturali,
accordi tra pubblico e privato
Ovviamente, nel caso del turismo si parla di accordi tra pubblico (governo) e privato (società), con la redazione di clausole che vanno a vincolare “fino al midollo” le aziende interessate all’acquisto di beni culturali - per esempi lampanti, la Fontana di Trevi, il Colosseo o la Galleria degli Uffizi. Ma questo può valere anche per opere decisamente più piccole, come lo stesso quadro della “Nascita di Venere” che tanto ha fatto storcere il naso a qualche italiano dopo l’autentica buffonata pensata da Armando Testa. E noi di Italia a Tavola, quasi dieci anni fa, vi avevamo parlato di questa ipotesi. Ma i governi hanno sempre preferito puntare su slogan a dir poco imbarazzanti (come lo stesso “Open to Meraviglia” deciso dal Ministero e da Enit, costato circa 9 milioni di euro) e che hanno una valenza temporanea. Certo, un senso ce l’ha, ma le campagne pubblicitarie - in questo caso verranno utilizzati sì in grandi spazi come aeroporti, stazioni ferroviarie e strade delle capitali mondiali - hanno obbligatoriamente delle scadenze. E la promozione, di per sé, è già breve e limitata.
L'Italia dietro a Spagna e Francia nelle visite turistiche nonostante i siti Unesco
Ma noi italiani preferiamo pagare gli altri e non viceversa (visto che i beni appartengono esclusivamente allo stato), quando la promozione di eventi, mostre e visite potrebbe essere affidata a chi lo fa per mestiere, facendo detenere esclusivamente l’immagine a un privato ai soli fini commerciali. Ed è incredibile come l’Italia, con migliaia di siti patrimoni dell’Unesco (e moltissimi altri, che nonostante la non riconoscenza da parte dell’ente, farebbero il baffo alla stragrande maggioranza di luoghi chiave stranieri), non sia, almeno, la prima destinazione turistica d’Europa. Ed è incredibile come davanti a lei ci siano due stati come Francia e Spagna, che - con permesso - hanno tutto da invidiare al nostro paese.
Spagna e Francia superano l'Italia nelle visite turisticheTurismo in Italia, servono investimenti
pesanti per la valorizzazione
Insomma, l’ennesima “italianata” è andata in porto e i soldi spesi ormai non possono fare ritorno nelle casse dello stato. Un altro investimento senza senso che ha cercato di inchinarsi alla richiesta social delle nuove generazioni - totalmente disinteressate a questa scelta di marketing. E no, qui non si parla solamente di critica verso un format onestamente poco innovativo (per quanto contemporaneo), ma di un progetto che non cambierà le sorti a lungo termine del turismo in Italia. “Open to Meraviglia” non migliorerà la visibilità dei musei minori (né tantomeno di quelli più importanti) e del resto dei beni culturali. Serve ben altro oggi. Servono, come già detto, investimenti (pesanti) da parte di fondi o aziende con parecchia grana da mettere sul piatto per richiamare i turisti a visitare il paese più bello del mondo, ormai abbandonato a sé stesso e alla Venere che poco potrà fare per cambiare il nostro futuro a livello turistico e culturale. iat
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