Peak vegetarian. Una delle caratteristiche più interessanti degli ultimi decenni “politico-sociali” in Occidente è stata l’estrema attenzione alle istanze avanzate da gruppetti numericamente molto modesti: a volte in aperto contrasto con gli interessi della maggioranza della popolazione, percepita come troppo “normale”, troppo “noiosa” per una società fortemente orientata alle novità di costume, di gender, dietetiche e così via.
E i marchi abbandonano scelte “progressiste”
Cominciano a emergere indicazioni, per quanto a ora più suggestive che concrete, che anche questa tendenza abbia ormai stufato. In Gran Bretagna un ufficiale della Royal Air Force ha recentemente vinto una causa di lavoro riuscendo a dimostrare alla Corte di essere stato discriminato in quanto “scozzese, cristiano e maschio”. Un’importante catena americana di negozi di intimo femminile “sexy” - Victoria’s Secret - ha, con imbarazzo, deciso di abbandonare il rifacimento del brand in senso “radical-femminista” dopo che il cambiamento avrebbe scatenato un disastroso crollo delle vendite.
È il declino del vegetarianismo?
Questione anche di politica
Questi, ovviamente, sono dei casi marginali. Molto più importante, specialmente dal punto di vista economico, è la netta indicazione che sia stato raggiunto, e forse superato, il “peak vegetarian”, cioè che il tendenziale abbandono della carne a favore delle “più ecologiche” verdure stia ormai facendo marcia indietro, specialmente - ma non solo - nei paesi anglosassoni.
Negli Usa, i sondaggi della Gallup hanno registrato il declino nel tempo del vegetarianismo. Dal 2001 al 2023 la parte della popolazione americana che si dichiara “vegetariana” è scesa di un terzo, dal 6% al 4%. Il rifiuto della carne è risultato strettamente associato all’orientamento politico. Sempre secondo la Gallup, il 9% dei “liberals” - i “progressisti” nel gergo politico americano - si dichiara vegetariano; il triplo rispetto alla percentuale tra i moderati e i conservatori. Il crollo dei “vegani” è particolarmente drammatico: sono scesi da un picco del 3% della popolazione nel 2018 fino all’1% nel 2023 e rischiano di scomparire del tutto, almeno dalle statistiche…
In Usa si stima una crescita del consumo della carne
Intanto, coerentemente con i dati appena citati, si stima ora che il consumo della carne negli Usa continuerà a crescere per arrivare a poco più di 107 kg pro capite nel 2032. Quello che cambia non è il volume ma la tipologia delle carni consumate, con un modesto incremento del pollo rispetto alla carne rossa. La Commissione Europea invece prevede per il 2031 una limitata riduzione nel consumo della carne di manzo - oggi a circa 70 kg a testa nell'Ue - compensata da un incremento nel consumo di pollame - che dovrebbe arrivare ai 24,8 kg pro capite - nonché della carne di pecora e di capra, la cui produzione europea è prevista aumentare annualmente dello 0,3%.
Se la gente insiste ancora a “votare con la forchetta”, forse la vecchia formula democratica del maggior bene al maggior numero di persone - pur presentando il rischio contrastante della “tirannia della maggioranza” non potrà ancora essere del tutto abbandonata.
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