giovedì 29 maggio 2025

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare

 

Formaggi a latte crudo, un patrimonio 

da tutelare evitando facili allarmismi

Il formaggio ha una sua carta d’identità: territorio (paternità), specie animale (maternità) e stagionatura (età). Tuttavia, in quelli a latte crudo entra in gioco anche la sicurezza alimentare. Tradizione e tipicità si confrontano con il rischio microbiologico: una sfida tra eccellenza artigianale e rigore igienicoFormaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi


Onde provare a parlare di formaggio in chiave divulgativa, stando fuori da gergalità ignote ai più ed efficaci solo per gli addetti ai lavori, si è pensato di identificare il formaggio, così addivenendo ad una sorta di carta d’identità, individuando alcuni dati salienti la cui conoscenza è irrinunciabile.

Formaggi, non basta una carta di identità

Ci si esprime così:

  • Paternità
  • Maternità
  • Età

Per paternità vuole intendersi il territorio (ampio o piccolo che sia) in cui vivono gli animali dal cui latte si ricava il formaggio. Per maternità, eccoci al latte, vuole intendersi da quale animale proviene il latte da cui si ricava il formaggio. Nei fatti, parliamo di latte bufalino, caprino, ovino, vaccino e quindi parliamo rispettivamente di mamma bufala, mamma capra, mamma pecora, mamma vacca (mucca).  Per età vuole intendersi dopo quando tempo dal suo essere diventato formaggio, esso raggiunge il periodo migliore, se non obbligatorio de facto, per essere degustato. Potremmo denominare ciò anche con il termine stagionatura.

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi

Anche la stagionatura fa parte della carta di identità dei formaggi

Sembrava che questa “carta d’identità” potesse essere bastevole dacché atta sia ad essere sufficientemente rigorosa sia, dal versante opposto, a non entrare in tecnicismi eccessivi. E invece, per quanto riguarda la maternità, diviene doveroso aggiungere informazione suppletiva: il latte è lavorato a crudo oppure no? L’abbiamo presa da lontano, ma la questione, anche perché sospinta da sortite che stanno inducendo a legiferare per rendere obbligatoria l’indicazione in etichetta dei potenziali rischi di questi output della lavorazione a latte crudo, è necessario che sia conosciuta e poi affrontata con cognizione di causa.

Formaggi a latte crudo, espressione di luoghi e tradizioni

Innanzitutto, diciamo in poche parole cosa si intende per latte crudo. Il latte crudo è il latte che non subisce alcun trattamento termico prima di essere lavorato per diventare formaggio. Il latte crudo, pertanto, è quello appena munto, e che esce perfettamente sterile dalla mammella dell’animale a una temperatura di 37°. L’utilizzo del latte crudo nella pratica casearia origina da diverse motivazioni, principale tra le quali garantire l’autentica tipicità del prodotto. La flora microbica autoctona del latte, la cui composizione è strettamente legata ad una specifica tipologia di produzione e territorio, con la lavorazione del latte a crudo, non viene eliminata attraverso il trattamento termico, che subiscono  i formaggi a latte pastorizzato.

Mentre per questi ultimi è necessaria l’aggiunta di fermenti microbici esterni per consentire una corretta acidificazione, e quindi successiva caseificazione del latte, i formaggi al latte crudo contengono flore batteriche tipiche che si sono selezionate nel corso del tempo in un certo ambiente di produzione. In questo modo il prodotto acquisisce prelibate caratteristiche di aroma e sapore che lo distinguono dai prodotti a latte pastorizzato. I formaggi a latte crudo sono molto spesso l’espressione delle tradizioni, dei luoghi e delle tecniche di produzione, del nostro Bel Paese e rappresentano un valore irrinunciabile della nostra cultura gastronomica.

Formaggi a latte crudo, i rischi

Due gli acronimi con i quali prendere confidenza: Stec e Seu. Ricorriamo alla competenza dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, così testualmente riportando: “Stec è l'acronimo di "produttori di Shiga-Tossina" o "verocitotossici". Si tratta di alcuni ceppi di E. coli che sono agenti zoonosici in grado di produrre tossine pericolose per la salute umana, inducendo una grave forma di diarrea emorragica. Le tossine prodotte da questi ceppi possono provocare la diarrea emorragica e la sindrome emolitico-uremica (Seu), una grave complicazione che può condurre a insufficienza renale acuta ed essere mortale”. Insomma, si è capito che con Stec e Seu non si scherza! La Stec, va precisato, non riguarda solo i formaggi a latte crudo; possono essere contaminati anche le carni poco cotte, i salumi, le verdure, i germogli e i cereali. La responsabilità del rischio Stec risiede nella scarsa igiene nella stalla, nelle fasi di mungitura e nella lavorazione. La Seu colpisce soprattutto i bambini e le donne incinte. I casi di Seu sono rarissimi.

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi

Il Gbejna Dop maltese

Il Parmigiano Reggiano Dop, il Grana Padano Dop, la Fontina Dop, il Caciocavallo Silano Dop, la Mozzarella di Bufala Campana Dop, il Pecorino Siciliano Dop, il Ragusano Dop, lo Strachitunt Dop, il Fiore Sardo Dop sono formaggi a latte crudo, e molti altri ancora lo sono. Ci sia consentita una breve digressione con una bella notizia provienente da Malta. Viene prodotto interamente con latte crudo di pecore di razza maltese nate e allevate nelle isole maltesi il formaggio Gbejna Dop. Il primo prodotto maltese ad ottenere il riconoscimento Dop è un formaggio fatto con latte crudo! Come sovente accade, il problema della lavorazione a latte crudo, quasi cesserebbe di essere tale se solo si fosse in grado e si avesse ferrea volontà di fare informazione nei confronti dei consumatori e formazione ai produttori.

Formaggi a latte crudo, un case study: il Puzzone di Moena Dop

Ai fini della comprensione circa la lavorazione del latte a crudo, prendiamo come case study il Puzzone di Moena Dop, tra le Dop più caratteristiche della caseificazione alpina. Eppure, almeno per un anno, qualcosa cambierà nel suo processo produttivo. E non è un dettaglio da poco. Tutt’altro: il latte utilizzato non sarà più crudo, ma termizzato. Ciò significa che il latte dovrà essere riscaldato fino a 64°C per un massimo di 40 secondi, prima della trasformazione in formaggio. Perché questa modifica? Non si tratta di un capriccio normativo né di una svolta industriale. A motivare la richiesta del Consorzio di Tutela, sono ragioni sanitarie ben documentate. L’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia autonoma di Trento ha certificato la presenza di Stec in circa 5 forme ogni 100 prodotte. Un rischio troppo elevato per la salute dei consumatori.

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi

Il Puzzone di Moena Dop cambierà il suo processo produttivo

Dopo analisi e confronti, la soluzione ritenuta più efficace per ridurre significativamente tale rischio è stata appunto la termizzazione del latte: un trattamento che, pur non raggiungendo i livelli di pastorizzazione, abbatte sensibilmente la carica microbica preservando, secondo gli esperti, le caratteristiche organolettiche del prodotto. Perché case study? Perché quanto sta accadendo al Puzzone di Moena Dop induce a riflettere su quanto sia delicato l’equilibrio tra sicurezza alimentare, tradizione casearia e intensa e godibile pregevolezza organolettica. Insomma, il latte crudo preserva sapori unici, ma sembra che comporti rischi sanitari.

Formaggi a latte crudo, gli obblighi normativi

Giova sapere che tutti gli allevamenti da latte e tutte le aziende di trasformazione casearia, presenti sul territorio italiano sono considerati Operatori del Settore Alimentare (O.S.A.) e quindi devono essere registrati e/o riconosciuti sulla base della normativa europea vigente. Questo implica che la loro capacità di produrre è vincolata al rispetto dei requisiti igienico-sanitari che derivano a loro volta dall’utilizzo di ambienti e strumentazioni adeguate, all’adozione di buone pratiche igieniche di lavorazione, alla formazione del personale e all’adozione di sistemi di controllo aziendali in grado di identificare e limitare i pericoli (es. Haccp). Le Autorità Sanitarie hanno il compito di verificare il rispetto di tali requisiti attraverso la periodica attività di sorveglianza degli O.S.A. e vincolare la produzione a necessarie azioni correttive.

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi

Gli enti di controllo provvedono anche al prelievo di campioni, sia in allevamento che in fase di trasformazione

Gli enti di controllo provvedono anche al prelievo di campioni, sia in allevamento che in fase di trasformazione, al fine di verificare il rispetto dei requisiti di legge. I campioni di latte e formaggio vengono quindi conferiti alla rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, e dei laboratori del Sistema Sanitario Nazionale che, attraverso le analisi, certificano il profilo del rischio microbiologico, chimico e fisico derivanti dall’eventuale presenza di sostanze indesiderate, fra cui micotossine, contaminanti ambientali e residui di farmaci.  Insomma, è corretto riportare in etichetta l’indicazione “a latte crudo” e comunicare il potenziale rischio per la salute di bambini e immunodepressi, ma è drammaticamente deleteria la demonizzazione dell’intera categoria di piccoli produttori che ogni giorno si impegnano, fin dalla stalla, per garantire qualità e sicurezza alimentare.

Formaggi a latte crudo, un “bollino di valore”

In ottica originale e “visionaria” il bollino “a latte crudo” è da considerare un plus, in quanto riconosce il valore specifico di una produzione unica e qualificata.  Sarà mica un caso che in Francia l’indicazione au lait cru sia percepita come elemento di pregio? Inoltre, per completare correttamente la disanima, si stia bene attenti a non ritenere sicuri by default i prodotti pastorizzati:  non è così. Se è vero che la cottura elimina tutti i batteri nel latte, la contaminazione può comunque avvenire nei passaggi successivi passaggi del processo di lavorazione, quali ad esempio il confezionamento e la messa in vendita. I rischi, paradossalmente sono addirittura maggiori, perché in questi casi i batteri patogeni che venissero a contatto con il formaggio sterilizzato non incontrerebbero resistenza, mentre nei formaggi a latte crudo avrebbero più difficoltà a riprodursi per l’azione della naturale carica batteria antagonista contenuta in quei prodotti.

Formaggi a latte crudo, eccellenze da preservare

Tra i paladini delle produzioni casearie a latte crudo, autorevole per storia e per coerenza comportamentale, annoveriamo Slow Food, l’associazione fondata da Carlo Petrini. Secondo Slow Food il latte crudo è un valore perché è un alimento integro, vivo, che mantiene le sue caratteristiche di partenza: nutrienti, vitamine, enzimi, fermenti lattici. È la base di un vasto patrimonio culturale e nutrizionale. La bimillenaria cultura casearia del nostro Bel Paese ha sviluppato centinaia di tipologie di formaggi, dalle tome alpine ai caciocavalli, dai pecorini alle mozzarelle. Sono a latte crudo tutte le eccellenze casearie che il mondo ci invidia. Mentre si attendono sviluppi legislativi e nuove indicazioni da parte delle autorità sanitarie, rimane fondamentale garantire un’informazione chiara e trasparente. La sensibilità al tema è crescente, ma è altrettanto importante che le scelte non compromettano l’unicità dei prodotti caseari tradizionali, salvaguardando al contempo la salute dei consumatori.

Formaggi a latte crudo, un patrimonio da tutelare evitando facili allarmismi

Bisogna tutelare i formaggi a latte crudo

Preservare l’esistenza di formaggi a latte crudo è il minimo che si possa e si debba fare. Si deve emulare la buona pratica dei francesi che hanno reso un valore distintivo, un pregio, il formaggio a latte crudo. Tutto ciò, ovviamente, a fronte dell’assolvimento scrupoloso delle doverose norme igieniche. E in Italia, si è visto, i controlli non mancano.  Sia benvenuto quindi il suddetto bollino “a latte crudo” ma sia esso da intendere come warning in valenza ancillare ed invece sia esso da intendere come indicazione di particolare pregio del prodotto in valenza principale.

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