Non solo dopopasto:
il rum conquista
la mixology
e i ristoranti stellati
Il rum vive una nuova stagione: da distillato da dopopasto diventa protagonista di mixology, ristorazione e pairing gastronomici .Cresce la fascia premium, legata al terroir e alla qualità, mentre bartender e chef lo valorizzano in cocktail e percorsi degustativi. Sfide restano nella percezione dei giovani e nei consumi tradizionali, ma storytelling e cultura possono rilanciarlo
Dal dopopasto con il cioccolato (che torna declinato sull’eccellenza) al pairing sulla tavola, con cocktail che accomapgnano piatti più o meno stellati. Il rum sta cambiando volto, andando in fascia premium sia per i consumatori di prodotti invecchiati che nelle scelte dei giovani, che amano i bianchi legati al terroir.
Il mercato del rum tra premiumizzazione e cambiamenti generazionali
Il mercato del rum sta attraversando una fase di ridefinizione, caratterizzata da dinamiche contrastanti che dividono gli operatori del settore. Se su scala globale gli analisti parlano da alcuni anni di una “ascesa del rum” - come evidenzia il World Spirits Report 2024 di The Spirits Business - la realtà italiana presenta sfumature più complesse, con segnali contraddittori tra premiumizzazione, difficoltà del canale horeca e cambiamenti generazionali nei consumi. Sul fronte della percezione, permangono ostacoli culturali significativi. Per lungo tempo il rum è stato visto come uno spirito da miscelazione, o associato alle vacanze tropicali, piuttosto che come prodotto complesso e premium, da assaporare come un Whisky o un Cognac. Si registra però un passaggio graduale verso rum premium caratterizzati dal terroir.
Nel contesto internazionale in evoluzione, il mercato italiano presenta caratteristiche peculiari. Il panorama della mixology e della distribuzione nazionale mostra una fotografia articolata, dove convivono segnali di crescita nella fascia premium e difficoltà nel consumo tradizionale, con una clientela sempre più preparata ma un canale horeca in sofferenza. Le testimonianze raccolte da bartender, distributori e operatori del settore restituiscono un quadro variegato di questa transizione. E mentre qualcuno parla di evoluzione e rinascita, altri rilevano un momento critico per il distillato (e non solo per questo).
«Il rum sta vivendo un ritorno, ma in chiave diversa rispetto al passato - osserva Federico Menetto, gastronauta e business angel in ambito f&b - perché non è solo nostalgia: è un fenomeno fatto di micro-lotti, single cask, edizioni private label per bar e locali iconici. E una cultura geek che riconosce le differenze tra agricole, navy strength, pot still e blend moderni. È un pubblico giovane-adulto (25-35 anni) che arriva dal mondo della birra artigianale e del gin, curioso, sperimentatore, alla ricerca di autenticità e storytelling tecnico». La fascia più matura (40-55 anni) invece «apprezza bottiglie personalizzate, etichette limited fatte per club e locali, con una logica quasi da collezionismo».
Nel fuori casa la flessibilità c’è, «ma la verità è che il rum vive di mixology: è ancora lo spazio naturale dove esprime tutto, dai twist su classici alle ricette tailor made. La ristorazione fine dining fatica a codificarlo in pairing, ma bistrot, format di cucina etnica e contemporary casual lo stanno usando molto di più, anche con bottiglie dedicate e linee private fatte solo per quel posto. La vera frontiera è infatti la personalizzazione: rum blendati ad hoc per un bar, botti selezionate con etichetta dedicata, cocktail list che raccontano la provenienza del single estate. È lì che il rum sta tornando a essere linguaggio nerd, di community e di appartenenza». sul pairing, i cocktail che - secondo Menetto - hanno più chance di entrare a tavola sono un Daiquiri dry, un Mai Tai serio (no ananas) perfetto con BBQ, affumicature, speziature, oppure un Rum Old Fashioned con cioccolato, formaggi erborinati, dessert strutturati.
Un universo in trasformazione
La parola d’ordine è “trasformazione”. E infatti gli operatori tra mixology e distribuzione sono allineati nel vedere un processo evolutivo per il distillato, anche se non sempre glorioso. Giacomo Bombana di Velier (punto di riferimento nell’importazione e distribuzione di rum in Italia) rovescia la prospettiva rispetto a un ritorno attuale di attenzione sul distillato. «Mi sento di dire che l'attenzione sul rum si è concentrata una ventina di anni fa e poi non si è mai fermata - chiosa - ma piuttosto è mutata. Nel senso che prima il rum era davvero una questione per appassionati, pochissimi, mentre per tutti gli altri era solo un prodotto basic da miscelazione. Fino a trent’anni fa, infatti, non esisteva nessuna forma di collezionismo sul rum. Poi ci si è resi conto che c'era tutto un universo da degustazione che andava esplorato e anche la mixology ha scoperto che oltre ai rum bianchi industriali, neutri e banali, c’erano dei grandi bianchi con cui fare cocktail di livello superiore».
Il mercato oggi si divide dunque in due fasce principali. «Da un lato ci sono appassionati di sigari, che vanno sui grandi rum invecchiati - spiega Bombana - quindi stiamo parlando di fasce d'età più alte o dei gourmet che cercano un posizionamento eccellente. Dall'altro c'è una fascia più bassa d'età, spesso interessata a prodotti naturali e trasparenti, e sono quei “rum geek” che si stanno appassionando ai rum bianchi magari prodotti con una canna da zucchero non ibridata, attraverslo fermentazioni spontanee e con processi di distillazione di qualità". In casa Velier dunque si percepisce nettamente una tendenza verso «la qualità, la genuinità, l'artigianalità, soprattutto tra i più giovani».
«Il rum non è mai sparito- osserva sempre dal lato distribuzione Marco Vicentini, spirits specialist di Meregalli - bensì si è nobilitato ed è cresciuta la proposta premium. Ora parlare di stili differenti, differenziando tra ispanico, inglese o agricole, è più comune e la clientela è più preparata rispetto a vent’anni fa. In questo sicuramente anche noi come Meregalli abbiamo dato nostro contributo. C'è sempre maggior consapevolezza e ricerca da parte del consumatore».
Il gruppo lombardo lavora su più fronti. «Continuiamo a proporre gli invecchiati e le specialità da degustare lisce - specifica il manager - ma non trascuriamo anche una proposta di qualità anche per i più giovani in miscelazione. L'accordo di distribuzione per Santa Cruz del Norte, rum cubano di estrema qualità che per la prima volta esce da Cuba, va in questa direzione».
Evoluzioni dietro il bancone
Analoga la percezione da dietro il bancone. «Sento dire spesso che “il rum non si beve più, il rum è morto” - dice Dario Luisetto, barman de La Moscheta a Padova - ma io sono convinto che sia solo trasformato. Si consuma infatti in maniera diversa: i puristi nella versione bianco agricole (che non è una scelta da poco) e i curiosi nella versione aromatizzata, che non è granché ma piace questa cosa morbida. Evidentemente anche chi una volta non approcciava il rum, ora si avvicina attraverso una beva più semplice. Nel consumo serale o notturno il rum aveva il suo posizionamento preciso, che è stato aggredito dal whisky e dal tequila negli ultimi anni. Invece il mondo agricole, la proposta più fresca, ha trovato spazio nel momento dell'aperitivo. Un esempio? Il Clairin, che sta conquistando i giovani con le note fresche e vegetali».
«Negli ultimi anni, il rum sta vivendo un vero e proprio rinascimento - conferma Emanuele Onorato, bartender al Grand Hotel Parker’s di Napoli - elevandosi da ingrediente base per i cocktail a spirito di pregio da ricercare e degustare in purezza. I consumatori sono attratti in particolare dai rum invecchiati, dai single cask e dalle edizioni limitate, prodotti spesso valorizzati da un forte legame con l'origine e il terroir. Inoltre, si registra una crescente curiosità verso i rum agricoli e le produzioni provenienti da paesi meno noti, che offrono profili aromatici distintivi rispetto ai classici caraibici». E aggiunge: «il rum di qualità intercetta principalmente un pubblico di età compresa tra i 30 e i 50 anni, già orientato a un consumo consapevole e propenso a investire in bottiglie di fascia alta».
Lucas Kelm, barman dello stellato Gellivs a Oderzo (Tv), offre una prospettiva generazionale. «Il rum poco a poco sta prendendo piede tra i giovani ventenni - dice - che consumano il bianco nei cocktail classici come Daiquiri, Pina Colada o Mojito. Incuriosisce anche la categoria dei Tiki (cocktail come Zombie o Mai Tai), quindi si può giocare con i rum jamaicani o speziati. La fascia d'età più grande invece preferisce godersi dei rum scuri, ovviamente lisci».
Distribuzione e mercato: tra ottimismo e criticità
Sembra pessimista l’impressione di Gigi Barberis, responsabile per l’Italia del rum Appleton, che spiega: «Il consumo di rum negli ultimi anni si è drasticamente ridotto, soprattutto per il bere liscio. Rimane il cocktail con i bianchi. Fino a qualche anno fa l'appeal era molto alto, ora è diminuito. Ci si è fermati. Se dieci anni fa prendevamo dei clienti ex whisky che passavano al rum, ora quei clienti non ci sono più. Ed è cambiata anche la fascia dei giovani, che sono molto meno attratti da questo distillato».
Nonostante questo scenario, esistono differenze territoriali significative. Al Sud Italia, per esempio, si continua a consumare più rum scuro liscio rispetto al Nord, dove invece la mixology spinge principalmente il consumo dei bianchi nei cocktail classici.
Pairing gastronomico e nuove frontiere in cucina
Se la parte di consumo serale o da dopopasto ha vissuto un ridimensionamento, la vera rivoluzione del rum si gioca oggi sulla tavola. Il pairing gastronomico rappresenta una nuova frontiera per la ristorazione italiana, con chef e bartender che collaborano sempre più spesso per costruire esperienze gustative integrate.
La contaminazione tra alta cucina e mixology ha portato il rum a diventare protagonista di percorsi degustativi innovativi, in cui i cocktail non sono più relegati all’aperitivo, ma accompagnano piatti anche complessi, bilanciando consistenze e profumi.
Nel mondo fine dining si moltiplicano i menu degustazione che abbinano rum e piatti gourmet, oppure creano cocktail su misura per esaltare la materia prima. Il risultato è un racconto coerente e coinvolgente, dove il distillato trova finalmente il suo spazio culturale e gastronomico.
Cultura del terroir e storytelling
Uno dei driver fondamentali della rinascita del rum è la valorizzazione del terroir e delle specificità produttive. Distillerie agricole, fermentazioni spontanee, materie prime autoctone e affinamenti non convenzionali stanno costruendo un immaginario nuovo intorno al distillato, sempre più vicino a quello del vino o dei grandi whisky.
Gli operatori sottolineano come lo storytelling sia oggi decisivo: spiegare al consumatore la provenienza, le tecniche produttive e le caratteristiche aromatiche aiuta a creare consapevolezza e a valorizzare il posizionamento premium del prodotto. Questo è particolarmente vero per i rum bianchi di alta qualità, che si stanno ritagliando un ruolo da protagonisti nelle carte dei cocktail più ricercate e nei pairing gastronomici contemporanei.
Uno sguardo al futuro
Guardando avanti, gli operatori concordano su due elementi: da un lato, la crescita della fascia premium, trainata dalla curiosità dei consumatori evoluti; dall’altro, la necessità di superare stereotipi e pregiudizi ancora radicati, soprattutto tra i giovani.
Per il rum il futuro passa attraverso la mixology di qualità, la valorizzazione del terroir, la formazione dei bartender e la creazione di esperienze gastronomiche coerenti. Un percorso che richiede tempo, ma che promette di riportare il distillato al centro della scena, non solo come ingrediente, ma come protagonista culturale e gustativo.
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