Viaggio alla scoperta di Hong Kong, la capitale mondiale della mixology
La metropoli asiatica Hong Kong vive in equilibrio su un confine invisibile: è frenetica ma impeccabile, satura di luci e profumi eppure sorprendentemente ordinata (e sicura). Ogni gesto urbano segue una logica nascosta, come un cocktail costruito con precisione maniacale. Nella città che non conosce pause, la miscelazione diventa la sua forma più nitida di armonia
Hong Kong - territorio autonomo nel Sud-Est della Cina ed ex colonia britannica - è un nodo vivo nel tessuto del mondo. Affascinante, sicura, sovraffollata di contrasti. Una città dove puoi bere un cocktail in un hotel cinque stelle e due ore dopo trovarti in un mercato dove la carne è appesa all’aria. Dove un traghetto notturno ti commuove, e un piatto di riso servito alla fine del pasto ti racconta una civiltà. Non resta che andarci. E restare svegli.
Nei mercati, il battito autentico di Hong Kong
Tra i mille volti di Hong Kong, i mercati offrono forse la chiave più spontanea per capire il battito della città. Cammino lungo la strada che corre tra bancarelle, luci, odori: qui si affaccia il celebre mercato "Ladies’ Market" a Mong Kok, sulla Tung Choi Street. Fra borse dipinte con disegni manga - un simbolo del piccolo trattare, dello sguardo curioso del visitatore - e orecchini a cerchio, mi trovo a barattare, e quel gesto diventa un rito: non solo acquisto, ma dialogo con la città che mi accoglie.

Ma i mercati non sono tutti uguali. C’è quello coperto della frutta - dove i frutti sembrano così lucidi, quasi finti, che ci si chiede se non siano stati lucidati apposta: mele perfette, frutti che non troviamo facilmente da noi - e la magia di scoprire due tipici frutti di Hong Kong, quasi esotici per uno che arriva dall’Italia: la spinosità del primo guscio che cela un gusto nuovo, la forma straniera del secondo che pare un ortaggio/frutto che altrove non vedi (tra quelli che si trovano nella regione: durian, rambutan, ad esempio).

E poi ci sono i mercati-strada: carne appesa all’aria, pesci vivi in ciotole di plastica, esposizioni che in Europa sarebbero impensabili - e che proprio per questo raccontano una realtà diretta, non edulcorata. L’assenza delle norme igieniche a cui siamo abituati salta agli occhi: quell’aria che, in certi momenti, ha un velo di puzza, è un presente urbano che non nasconde nulla. Ecco perché andare al mercato: non per un souvenir perfetto, ma per entrare in contatto con chi fa la spesa, con chi taglia la carne, con chi sceglie la frutta - e così capire una città che si mostra nella sua quotidianità, nei suoi contrasti.
Sotto e sopra la città di Hong Kong
Hong Kong si muove a una velocità che non perdona. La sua metropolitana - la Mtr - è più di un mezzo: è un battito, un sistema nervoso efficiente, pulsante, preciso fino all’ossessione. Cinque volte “molto veloce”, come se lo ripetesse da sola, orgogliosa della propria efficienza. È così che ti porta da un lato all’altro della città, in un viaggio che pare sempre più breve di quanto ti aspetti. Ma attenzione: sotto la metropolitana, si apre un altro mondo. Le distanze tra i binari e la superficie sono enormi, come se per ogni spostamento ci fosse una prova da superare - un dedalo di mall, gallerie commerciali, deviazioni, uscite indicate con lettere, A-B-C-D-E... che rischiano di perderti prima ancora che tu possa ritrovarti. La mole architettonica e commerciale confonde, sposta il tuo senso dell’orientamento, ti porta altrove, dove non volevi - ma anche questa, forse, è un’esperienza da vivere.

L’esperienza del traghetto è uno dei momenti più belli che si possano vivere qui. L’ho preso solo una volta, di notte. E quella notte rimane impressa: il traghetto taglia le acque tra isola e terraferma come una lama silenziosa, mentre lo skyline di Victoria Harbour si accende. Le luci dei grattacieli cambiano colore, pulsano, riflettono sulle onde come in un’opera d’arte viva. È uno spettacolo che ha qualcosa di musicale, come se ogni luce fosse una nota e l’insieme, una sinfonia notturna.

Ci sono anche tram e autobus, entrambi a due piani come a Londra - una particolarità che colpisce subito. Ma non li ho presi. Mi sono spostata solo a piedi, in metropolitana e in taxi. E a proposito di taxi: sono molto convenienti, ma non accettano carte di credito. È necessario avere contanti, e anche una certa prontezza di spirito: non sempre capiscono dove portarvi. Il consiglio è semplice, ma prezioso: munitevi di un traduttore, e mostrate l’indirizzo in caratteri cinesi. Sarà più facile - e molto più sicuro - arrivare dove volete.

Dicono che Victoria Harbour sia lo skyline più bello dell’Asia. E non è difficile crederlo. I grattacieli, moderni e scintillanti, sembrano danzare sull'acqua. Ma a pochi passi, nei vicoli bui e stretti, si muove un altro mondo: quello dei cunicoli sporchi, delle strade anguste, dei locali nascosti. Atmosfere da Blade Runner, dove la bellezza è assente, ma il fascino è potente.
Hong Kong da gustare e da bere
Hong Kong è una città che sa cucinare le contraddizioni con grazia. Da un lato la cucina solenne dei ristoranti stellati, dall’altro la cucina a basso costo di ristoranti dall'aspetto poco allettante, piccoli, arredati con mobili modesti, spesso scalcagnati. Io sono stata al Duddell’s, una stella Michelin, in realtà più che altro per provare il cocktail bar gestito dal palermitano Mario Calderone, che mi ha fatto assaggiare un interessante drink ispirato al French 75, chiamato Wind, presentato in uno scenografico bicchiere abbellito da una polvere dorata.

A tavola, tra piatti di tradizione cantonese di altissima qualità, una piccola scoperta culturale: il riso, qui, si serve alla fine. Perché è povero, perché sazia, e i borghesi non vogliono sembrare quelli che ti riempiono lo stomaco. È un gesto di classe che ha il tono sommesso dell’eleganza vera.
E poi c’è il mondo dei cocktail bar, che fa di Hong Kong la capitale mondiale della mixology. Quest’anno il titolo di miglior cocktail bar del mondo è andato proprio a un locale di qui: Bar Leone, firmato dal romano Lorenzo Antinori. Un bar che sa di casa - quella italiana anni ’80 - con Pavarotti, Lucio Dalla, Raffaella Carrà, una spillatrice di Amaro del Capo, e le canzoni in sottofondo che ti fanno pensare a una tabaccheria di quartiere. Si bevono grandi classici e rivisitazioni equilibrate.

Un’autentica rivelazione è Coa, un santuario dell’agave. Per bere drink di ricerca si va da Savory Project (sua “costola”) o al Palm Court del Langham Hotel (con oltre 350 bottiglie di gin). Per classici impeccabili, Alibi, all’interno del Cordis Hotel, o Avenue 75 in Mody Road sono due ottimi indirizzi. Per chi cerca la vista, ci sono il lounge bar al 14º piano del New World Millennium Hotel e il Qura, al Regent Hotel, entrambi affacciati su Victoria Harbour. Si prende la scena anche Darkside, nel Rosewood Hotel.


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