La scena è sempre la stessa, ogni estate. Yacht, catamarani, gommoni e motoscafi affollano le acque cristalline della Maddalena, l'arcipelago più spettacolare e fragile del Mediterraneo, come fosse un parco giochi a cielo aperto. Divieti ignorati, praterie di posidonia devastate, spiagge ridotte a formicai. E chi viene sorpreso a infrangere le regole? Paga appena 51 euro. Lo ricorda con amarezza Giulio Plastina, direttore del Parco nazionale, che da 31 anni attende strumenti adeguati per difendere davvero questo patrimonio naturale.
Il confronto con la Francia è impietoso. A giugno, davanti alle isole Riou e Plane nel Parc National des Calanques, un catamarano che aveva ancorato dove era vietato è stato multato per 50mila euro, più 49mila di risarcimento e altri indennizzi alle associazioni ambientaliste. Gli armatori hanno provato a difendersi dicendo che «ce lo chiedevano i turisti a bordo». Il giudice non ha avuto esitazioni: 100mila euro complessivi e sospensione dall'elenco degli operatori autorizzati. In Italia, per lo stesso danno ambientale, basterebbe meno del costo di una cena in piazzetta.
E i danni, spiegano gli esperti, non sono riparabili. La posidonia non è un dettaglio del paesaggio marino: stabilizza i fondali, produce ossigeno, protegge la biodiversità. Ogni ancoraggio scorretto può distruggere in pochi minuti ciò che la natura ha costruito in decenni. Eppure in Italia sembra valere la regola della tolleranza, con un parco che non può multare, una Capitaneria di Porto spesso senza mezzi per controllare e una flotta di 30mila imbarcazioni che ogni anno si riversano nell'arcipelago.
Le immagini parlano da sole. Cala Bassa Trinità ridotta a un alveare di tende e ombrelloni. Cala Coticcio, Cala Corsara e Cala Spalmatore invase da centinaia di barche una accanto all'altra, quest'ultima con resti archeologici preziosi e pure lo yacht "La pausa" di Daniela Santanchè e Ignazio La Russa avvistato in rada. A Santa Maria, nonostante i limiti imposti nel 2019 dal Piano Utilizzo Litorali del Comune, ogni giorno centinaia di bagnanti vengono scaricati dai barconi turistici come in un terminal balneare.
La situazione è fuori controllo da anni. La Spiaggia Rosa di Budelli è stata chiusa dopo che metà della sabbia era sparita per l'eccessivo calpestio. Caprera registra fino a 800 auto al giorno, senza vie di fuga in caso di incendio. E le parole di Rosanna Giudice, presidente del Parco, al Corriere lasciano poco spazio a equivoci: «Questo turismo implosivo non può più essere consentito. Occorre agire, tagliare il superfluo per salvare ciò che resta. Le spiagge e le isole sono a rischio. La terra e le radici dei ginepri emergono dalla sabbia: quello che perdiamo non si recupera».
Eppure il Parco, che copre oltre 20mila ettari tra terra e mare e ospita 63 specie protette dal gabbiano corso alla moretta tabaccata fino al falco di palude, resta senza autonomia gestionale. I dipendenti possono solo accompagnare i visitatori e segnalare le violazioni, mentre la burocrazia blocca assunzioni, convenzioni e persino l'insediamento di un consiglio d'amministrazione operativo. «Siamo come moscerini contro titani» ammette Plastina. Un'immagine che spiega bene lo squilibrio tra la forza economica del turismo nautico e la debolezza delle regole.
I dati raccontano una realtà scomoda. La Sardegna ha un nono dei posti barca italiani, il 47% dei quali concentrati in Gallura, che rappresenta appena un quinto della regione. Le imprese del settore investono milioni, mentre il Parco non riesce nemmeno a garantire controlli a mare. Un'evasione stimata tra il 30 e il 35% dell'obolo per accedere alle acque protette fa perdere oltre 700mila euro all'anno. Soldi che basterebbero a finanziare squadre di vigilanza, creare lavoro e dare un futuro al turismo e all'ambiente.
Perché di futuro qui si parla. Con un sistema di regole ferme e risorse adeguate, il Parco potrebbe proteggere le spiagge, tutelare le specie, garantire sicurezza e qualità anche al turismo stesso. Invece resta impantanato tra divieti di carta e multe ridicole, mentre un paradiso che appartiene a tutti rischia di scomparire sotto i colpi di un turismo senza freni e di uno Stato incapace di dargli strumenti veri.
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