No ai bambini...
al ristorante: libertà d’impresa
o discriminazione?
Cosa dice la legge
Il tema dei locali “no kids” continua a far discutere. Sempre più ristoranti, hotel e stabilimenti scelgono di limitare o vietare l’accesso ai bambini, rivendicando la libertà d’impresa e la volontà di offrire ambienti tranquilli. Una tendenza che pone problemi legali ed etici: da un lato il diritto dei gestori di definire la propria clientela, dall’altro il rischio di esclusione per famiglie e minori
Il dibattito sui bambini nei ristoranti torna al centro della cronaca dopo il caso Milano Marittima e: è legittimo escludere i più piccoli dai locali? Tra libertà d’impresa, immagine turistica e profili legali, il tema divide opinione pubblica e mondo della ristorazione, ma
La vicenda: famiglia respinta in spiaggia e al ristorante
A Milano Marittima, frazione balneare di Cervia, una famiglia modenese in vacanza si è vista negare l’accesso al ristorante di uno stabilimento con la motivazione: «Non prendiamo bambini». A denunciare l’accaduto è stato Andrea Mussini, che con la moglie e il figlio di 5 anni e mezzo aveva scelto di trascorrere parte delle ferie nella località romagnola. «Siamo soliti mangiare fuori a pranzo e cena - ha raccontato il turista a Today - per noi la vacanza è questo. Nostro figlio è abituato a stare a tavola, non disturba, non ha bisogno di seggiolone e non abbiamo mai avuto problemi, ristoranti stellati compresi».
Il gestore dello stabilimento ha confermato la scelta, precisando che non si tratta di una posizione contro i più piccoli, ma di un’impostazione che va avanti da oltre trent’anni. «Non odiamo i bambini» - ha spiegato - «ma di solito li accogliamo dai 10 anni in su, sia in spiaggia che al ristorante. All’inizio venivano solo giovani e le famiglie sceglievano altri bagni. Oggi abbiamo una clientela che cerca tranquillità e ci sceglie proprio perché non ci sono bambini piccoli. Rinunciamo a diverse occasioni di guadagno, compresi compleanni o addii al celibato e nubilato, perché disturbano l’atmosfera che vogliamo garantire». Il gestore ha precisato che possono esserci eccezioni per clienti storici o in momenti particolari della settimana, ma la regola generale rimane.
Sulla vicenda è intervenuto anche il sindaco di Cervia, Mattia Missiroli, che ha espresso contrarietà: «Sono contrario. Un locale deve essere aperto al pubblico, bambini compresi, salvo particolari limitazioni. Non è ammissibile, ne va dell’immagine della località, aperta a tutti». La presa di posizione istituzionale evidenzia come la scelta del gestore non sia solo una questione di target commerciale, ma coinvolga anche il tema della reputazione turistica della Riviera Romagnola, storicamente percepita come destinazione family friendly.
No ai bambini al ristorante: i precedenti
Non si tratta in ogni caso del primo caso. A Bagnolo Mella (Bs), ad esempio, oltre 10 anni fa il ristorante-pizzeria-pasticceria “Sirani” aveva vietato da sette anni l’ingresso ai bambini sotto i 10 anni dopo le 21. La regola, riemersa grazie a un articolo di BresciaOggi e a un commento critico su TripAdvisor, ha scatenato polemiche sui social. I titolari avevano difeso la scelta: «I clienti sono più soddisfatti così. Chi non è d’accordo può andare altrove». Critiche da alcuni clienti, ma i gestori ribadiscono che l’obiettivo è mantenere un ambiente tranquillo.
Uno dei casi più recenti ha riguardato invece l'Osteria del Sole di Bologna dove il cartello “No bambini” esposto dal locale aveva suscitato scalpore. Il titolare, Nicola Spolaore, ha chiarito che non si tratta di un divieto assoluto, ma di un invito al rispetto dell’atmosfera di un locale con oltre cinquecento anni di storia e spazi ridotti, dove il rumore eccessivo o l’uso di tablet a volume alto rischiano di compromettere l’esperienza degli altri clienti.
Il dibattito: libertà d’impresa o esclusione?
Il caso solleva interrogativi sul rapporto tra libertà imprenditoriale e inclusività. Da un lato, la possibilità per un gestore di selezionare la clientela in base al modello di ospitalità che intende proporre; dall’altro, il rischio di escludere famiglie e bambini, con possibili conseguenze d’immagine per un territorio che vive di turismo balneare. Sul tema si sono confrontati chef e critici. Per Igles Corelli, il cartello non è lo strumento giusto, ma l’idea di fondo resta legittima: i genitori dovrebbero sapersi regolare da soli, scegliendo i locali più adatti ai propri figli. Anche Domenico Virgilio, della storica Trattoria La Barca di Rho, sottolinea che i bambini fanno parte della famiglia e devono essere accolti, ma sempre nel rispetto delle regole di convivenza e della sicurezza, soprattutto in contesti affollati, mentre per l’insegnante Roberto Reale, la misura non sarebbe discriminatoria ma “educativa”, poiché richiama i genitori al rispetto dei ritmi di sonno dei minori.
Più netto Edoardo Raspelli, che legge nell’episodio il segno di un problema più ampio: la progressiva perdita di educazione nei comportamenti pubblici, al ristorante come altrove. Secondo Carlo Cambi, invece, il cartello non è rivolto ai bambini ma ai genitori disattenti, perché l’Osteria del Sole è un luogo storicamente frequentato da adulti e connotato da una forte identità culturale. Marco Colognese riconosce la scelta del gestore come comprensibile dopo tanti episodi spiacevoli, ma invita a distinguere: non sono i bambini a dover essere esclusi, bensì gli adulti che non sanno gestirli. Andrea Grignaffini, infine, sposta il discorso sulla necessità di una cultura diffusa del rispetto, che dovrebbe valere per tutti: il problema non sono i piccoli, ma il caos che a volte caratterizza le sale, alimentato anche da gruppi di adulti rumorosi.
No ai bambini al ristorante: cosa dice la legge
Il dibattito non riguarda solo Milano Marittima: negli ultimi anni, sia in Italia che all’estero, si sono moltiplicati locali che scelgono politiche “adults only”, in particolare hotel e stabilimenti che puntano su relax e silenzio. Tuttavia, la questione resta delicata in un Paese in cui la ristorazione e l’accoglienza sono tradizionalmente legate al concetto di convivialità per tutte le età. Senza contare i profili legali della questione, come sottolinea Alessandro Klun, collaboratore di Italia a Tavola e autore del libro "A cena con diritto": «In base alla normativa italiana vigente, vietare l’ingresso ai bambini nei ristoranti è contrario alla legge salvo casi eccezionali di disturbo reale o rischio concreto. L’articolo 187 del Regio Decreto n. 635 del 6 maggio 1940 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, TULPS) prevede che un esercente non può rifiutare l’accesso o il servizio a chiunque lo chieda e paghi, a meno che non vi sia un “legittimo motivo” L’età, in quanto tale, non costituisce un legittimo motivo. Quindi vietare l’ingresso solo perché una persona è minorenne è una forma di discriminazione non consentita dalla legge. Il titolare del locale può essere soggetto a sanzioni amministrative che vanno da 516 a 3.098 euro».
Quindi conclude: «In Italia i ristoranti non possono vietare l’ingresso ai bambini. Possono invece richiedere ai genitori di gestire comportamenti disturbanti o richiedere rispetto per la quiete del locale. Se un minorenne è causa di disordine o potenziale pericolo, solo in quel caso il gestore può intervenire (ad esempio invitandolo a uscire), ma sempre senza discriminazione preventiva».
Nessun commento:
Posta un commento