Le fiere non bastano:
il vino italiano affonda senza marketing
e senza idee
Crisi, dazi, scaffali dimezzati e consumatori sempre più confusi: il vino italiano paga l'assenza di strategie di lungo respiro. «Nel mondo del vino si fanno sempre le stesse cose» avverte Antonella Cantarutti. E la grande distribuzione taglia gli spazi. Servono idee, identità e visione. Ma servono subito...
Co-Fondatore di 5 Hats Srl
Partiamo subito dicendo che i dati dei primi mesi sul commercio mondiale del vino sono purtroppo "dopati" dal costante balletto dei dazi internazionali che li rendono poco credibili. Non che i dati siano poco credibili in sé per sé, ci sono società che con estrema professionalità ci permettono di avere informazioni più che mai corrette, ma credo che non siano lo specchio del mercato e che rappresentino piuttosto l'evoluzione di un momento mondiale molto complesso. Prendiamo i dati ufficiali dell'export italiano del primo trimestre 2025 dove spiccano questi due elementi: quello russo con un -70% (lo scorso anno era una delle nazioni trainanti) e quello americano con un +13% (ricordiamo che i dazi sono iniziati il 2 aprile).
Serve un marketing strategico, non solo social e storytelling
Chiaro che sono dati dopati e non possono rappresentare lo stato delle cose e quindi parlare di cali di vendita internazionale diventa un gioco scorretto che porta a fare valutazioni inesatte. Certo, questa è la realtà e come tale dobbiamo accettarla, ed è proprio questo il punto. Visto che dobbiamo accettare che i mercati siano così nervosi e che i consumi reali siano in costante evoluzione, noi cosa possiamo fare? Ne abbiamo parlato molte volte ma mai abbastanza: è ora di alzare considerevolmente il livello delle strategie di marketing e per cortesia smettiamo di parlare di marketing riducendolo alla comunicazione social. Il marketing di cui dobbiamo parlare è quello “strategico”, ovvero la disciplina del marketing che si concentra sulla definizione degli obiettivi di lungo periodo e delle scelte fondamentali per guidare l'impresa verso un vantaggio competitivo sostenibile.
Marketing strategico: una necessità, non un'opzione
È una fase analitica e pianificatoria, distinta dal marketing operativo, che si occupa invece dell'implementazione concreta delle strategie. Ha quindi come obiettivo principale individuare i bisogni del mercato e i segmenti di clientela più promettenti, per poi posizionare l'offerta aziendale in modo distintivo e competitivo rispetto ai concorrenti. Il marketing strategico è il cuore della pianificazione aziendale orientata al cliente. Guida le decisioni future sulla base di dati e analisi, permettendo all'impresa di adattarsi ai cambiamenti del mercato e di costruire relazioni durature con i clienti.
Tradotto nel mondo del vino, il marketing strategico riveste un ruolo fondamentale per differenziare i prodotti, valorizzare il territorio, costruire un brand forte e rispondere alle tendenze globali del consumo. In un mercato sempre più competitivo e internazionale, le cantine e le aziende vinicole devono adottare un approccio strategico per posizionarsi efficacemente, fidelizzare i clienti e aumentare il proprio valore percepito.
Troppi produttori senza strategia, il consumatore è disorientato
Ora sarebbe bello lanciare un sondaggio e capire quante delle 256mila aziende produttrici italiane hanno applicato o applicano il marketing strategico. Io personalmente, nel mio percorso, ne avrò trovate così poche da non arrivare a usare tutte le dita delle mie mani. Tutte, e dico tutte per riferirmi al 99,9% delle aziende che ho incontrato, hanno questa strategia di marketing: io faccio il prodotto, come poi gli altri vendano il mio vino è affare loro; una volta che esce dalla cantina non è più affar mio. Questo è l'anti-marketing che fino ad oggi ha permesso di vendere, ma che ora sta presentando il conto. Quando si parla di strategie di marketing il risultato è sempre lo stesso: non ho soldi perché li devo usare per fare le fiere. Come se andare a una fiera o un evento di promozione senza una strategia fosse un'azione intelligente. Quale strategia? Quella che capita!
Non basta esserci: serve una visione
Credo che questo periodo di turbolenza dei mercati debba fare una grande pulizia tra chi produce vino per “edonismo” del tipo: “...volevo produrre vino perché mi piace”, oppure “...è l'azienda di mio nonno” o ancora “...io ho un'idea di produzione unica al mondo...” - tutte motivazioni sane ma completamente scentrate, perché sono concetti che al consumatore interessano veramente poco o nulla. L'uscita dalla stagnazione dei consumi non avviene con gli sconti o partecipando ad eventi promozionali, ma applicando una strategia di marketing forte e lungimirante fatta da professionisti capaci di leggere i dati e le indicazioni dei mercati mondiali.
Come ci sono troppe aziende, così ci sono troppi faccendieri nel mondo del vino e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Basta che dall'altra parte del mondo qualcuno decida di agire in modo da scuotere i mercati (vedi dazi, guerre, tensioni, ripicche commerciali...) per mandare tutto all'aria. Aspettiamo che torni il sereno sui mercati grazie alle azioni dei potenti, oppure ogni azienda, o almeno un gruppo di esse, intende agire sulle proprie strategie? Da qui passeranno i futuri sviluppi commerciali, e stiamo molto attenti ai produttori di altre nazioni, soprattutto quelle emergenti, perché loro hanno molta più fame e desiderio di coprire nuovi mercati: stanno già studiando strategie di marketing che eroderanno i consumi delle nostre aziende anche in Italia.
La Gdo taglia gli spazi al vino: segnale d'allarme ignorato
In fin dei conti il mercato lo hanno sempre conquistato quelli più svegli e più capaci nel mettere in atto strategie ben pianificate. Ci vuole più tempo, ma poi vince il “think different”. A questo riguardo incontriamo Antonella Cantarutti, produttrice e socio amministratore titolare dell'omonima cantina fondata da Alfieri Cantarutti. Lei conosce il mondo del vino in profondità e la sua è una realtà affermata da decenni. Motivo per cui ritengo sia la persona giusta con cui dialogare di vino, marketing e produzione. Da Friulana Doc non ama molto i giri di parole e va sempre al cuore delle conversazioni.
Sei nel mondo del vino da diverso tempo e la tua è un'azienda affermata, qual è la tua personale opinione della crisi che avvolge il mondo del vino oggi?
Purtroppo il momento attuale è complesso e al tempo stesso affollato. C'è troppo di ogni cosa, dovunque e comunque, e così stiamo confondendo il nostro consumatore.
Oggi parliamo della difficoltà delle aziende ad avere un progetto marketing serio per la vendita dei loro prodotti, secondo la tua esperienza perché mancano idee vincenti?
Nel mondo del vino si dicono e si fanno sempre le medesime cose, innanzitutto si espone e si antepone la figura femminile sempre e ovunque, il vino è cultura, è territorio, è ingegno, è ricerca, è convivialità, è linguaggio e mai come ora è proprio questo che deve essere rimodulato.
Quale imprenditrice hai dimostrato più volte di avere idee chiare e concrete per i tuoi clienti, ci puoi illustrare alcune scelte fatte per raggiungere il cuore del consumatore?
Il cuore del consumatore lo conquisti dopo aver lavorato duramente innanzitutto sulla tua persona, sulle tue qualità, sulla tua credibilità e sulla tua serietà. Il Brand aziendale è costituito da queste leve. Io ci metto sempre la faccia, dove c'è il mio vino io ci sono. Il mio vino mi rappresenta, è frutto della mia sensibilità, anche caparbietà e carattere.
Il mondo del vino è fatto anche di istituzioni che dovrebbero promuovere territori e valori eppure ci sono lacune notevoli, qual è il motivo a tuo vedere?
Innanzitutto bisogna credere fortemente nel territorio, costi quel che costi, credere in ciò che si ha e in ciò che si è. Poi sarà il mercato, i consumi a lodare o penalizzare. La macchina politica, come lavora a favore dell'industria, deve lavorare per l'ambito agricolo. Mangiamo grazie all'agricoltura, non certo grazie al fotovoltaico.
Come me l'aspettavo: dritta, concisa e senza giri di parole, e i temi sono quelli di cui parliamo da mesi; troppo di tutto che porta solo confusione al consumatore, il quale non ha più parametri per scegliere e va a casaccio, attirato dalla moda del momento o dai prodotti più improbabili. La scorsa settimana sono andato a fare delle visite in alcuni supermercati importanti nel Triveneto per avere una percezione dei consumi del vino. Al Vinitaly ho assistito al meeting organizzato da Circana per raccontare i dati dei consumi (ne avevo parlato alcuni articoli fa) e fra gli ospiti vi erano dirigenti buyer di alcune catene della Gdo nazionale, che avvertivano che se i produttori non si fossero “inventati” qualche nuovo modello di approccio per il consumatore, loro avrebbero ridotto lo spazio dedicato alla vendita del vino. Ecco, è accaduto: i supermercati che ho visitato e che erano rinomati per avere importanti esposizioni dedicate al vino, anche con etichette importanti, hanno ridotto della metà questi spazi. Sì, esatto: il 50% in meno.
Un esercito di produttori senza identità commerciale
Questo mi autorizza a pensare che la richiesta dei “compratori” e “venditori” di vino della Gdo fatta ai produttori non ha avuto seguito. Non dovrei meravigliarmi, perché in fin dei conti gran parte dei produttori fanno così: vogliono vendere ma senza idee, senza identità, senza strategie. Nulla di nulla, cercano solo clienti a cui appioppare il loro vino e poi basta. I dati indicati dal quotidiano La Stampa del 01 luglio 2025 riportano che in Piemonte ci sarebbero tra i 70 e i 90mila ettolitri di vino rosso non venduto e che deve essere ancora trovato il modo per smaltirlo, perché altrimenti non c'è posto per la nuova produzione. Ora, capisco che il giornale non voglia spaventare e parli di ettolitri, ma se facciamo il calcolo di quante bottiglie di vino invenduto sono, il dato è davvero spaventoso: sono 12mila l di vino invenduto con una ricaduta commerciale paurosa. Infatti, se ogni bottiglia fosse venduta a 5 euro, il valore di mercato in danno (solo del vino rosso in Piemonte) è di 60mila euro.
Questa è la condizione dei produttori italiani e, ancora, quando parli a loro di strategie di marketing ti rispondono che hanno già i social e i siti internet. Sì, il problema culturale è talmente profondo che a questo punto è una crisi benedetta, perché libererà il mercato lasciando spazio a chi ha strategie, idee e prodotti fortemente identificativi. Siamo arrivati a un bivio decisivo: continuare a produrre vino per passione, per eredità o per abitudine - oppure fare impresa con lucidità e visione. I numeri parlano, i mercati lanciano segnali chiarissimi e persino la Gdo - che fino a ieri era la valvola di sfogo - inizia a ritirarsi. È il momento di smettere di piangersi addosso e di investire finalmente in idee, strategie, identità. Perché il vino non si vende da solo, nemmeno in Italia. E soprattutto: nessuno ci aspetta.
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