mercoledì 13 novembre 2013

VIVA GLI AUTOCTONI

VIVA GLI AUTOCTONI
MA NON ESTREMIZZIAMO


Per lavoro degusto di tutto: non solo vino ovviamente. Distillati per esempio, in purezza così come sapientemente miscelati in fantastici cocktail, o anche acque minerali, the, caffé.


Quello della
degustazione è un mondo fantastico, ricco di mille sfaccettature, che si complica e aumenta il suo grado di precisione, quando va poi abbinato al cibo. Tutto si può fare, tutto è possibile, basta non esagerare. In tutti gli ambiti della degustazione si parla
sempre più di terroir e sempre più spesso di varietà autoctone.
Due elementi inscindibili, fondamentali, ma che spesso vengono estremizzati e rischiano di allontanare
appassionati e futuri consumatori, più che avvicinarli.
Non sono mai stato un talebano, anche se ovviamente riconosco il
ruolo fondamentale di molte varietà tipiche del nostro panorama
vitivinicolo. Da romagnolo ho sempre amato il sangiovese, che nella
mia regione è un vanto e trova una delle sue espressioni, dal mio
punto di vista, più sanguigne e caratteriali. E il merito arriva proprio
da questo connubio. Non ho mai, però, disdegnato né i blend, né
tanto meno quelli che vedono un autoctono unirsi magari ad un vitigno
“internazionale” o alloctono che dir si voglia. Oggi si fa un gran
parlare dei vitigni autoctoni: nascono fiere dedicate, rubriche su
molte riviste. Tutto interessante, linfa vitale spesso per piccole varietà che, altrimenti, sarebbero destinate all’anonimato se non proprio all’estinzione. Però è bene non farsi accecare dell’estremismo. Basta
leggere la stessa storia vitivinicola italiana e osservare come il nostro paese, per tanti motivi, sia storici che sociali, sia diventato anche l’habitat ideale di vitigni, spesso di origine francese, che da noi hanno
trovato ugualmente grandi terroir e relativi interpreti. Il Veneto
ne è un esempio o, andando in Toscana, basti pensare alla storica
denominazione del Carmignano, dove l’uva francesa è parte integrante del blend con il sangiovese da più di un secolo e rappresenta un saldo fondamentale per conseguire quella trama e quel tocco al naso così inconfondibile. Il blend, in fondo, tra vitigni diversi, è un’arte, storica, che appartiene a molti nostri areali ed
esalta il lavoro sia del viticoltore che dell’enologo: saper
unire vini che arrivano da parcelle diverse, ma con caratteristiche
differenti, seppur dello stesso vitigno, è un già
un lavoro affascinante e una sfida. Se aggiungiamo l’unione di
vitigni differenti scopriremo un mondo che può donare emozioni di
grande valore, sia per chi il vino lo fa, sia per il consumatore finale.

Luca Gardini

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