Il mistero del Barolo Tabai: niente cantina ma bottiglie da mille euro
Dietro al marchio Tabai non c’è alcuna cantina strutturata: la società è rimasta attiva appena 134 giorni ed è oggi inattiva. I Barolo commercializzati con questo nome non provengono da una produzione diretta, ma sono imbottigliati dalla cooperativa Terre del Barolo e successivamente rivenduti con una forte operazione di marketing di lusso, arrivando a prezzi paragonabili a etichette iconiche come il Romanée- Conti
Redattore
Non è da tutti essere accostati al Domaine de la Romanée Conti Grand Cru di Borgogna e allo Château Pétrus Pomerol Grand Vin di Bordeaux, specialmente se si parla di mercato di lusso associato ai vini. È quel che è successo - e non è la prima volta - alla cantina Tabai che con il suo Barolo Riserva 2016 si accredita tra le etichette più esclusive al mondo, con quotazioni record. Una notizia che aveva sorpreso molti, Italia a Tavola inclusa, ma che al tempo stesso aveva sollevato diversi interrogativi anche fra i nostri lettori tanto da spingerci ad andare a fondo sulle ultime comunicazioni aziendali. Anche perché il fondo del calice di Tabai è piuttosto opaco, visto che la società proprietaria risulta non più attiva alla Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi dove era stata registrata. E dietro al marketing spinto, che passa attraverso anche le citazioni accanto ai rossi nobili francesi, ci sono poca sostanza e molte domande a cui è impossibile avere risposte dall'azienda.
La società durata 134 giorni
«L’azienda nasce nel 2012 dalla passione per il vino tramandata da diverse generazioni. Nell’incontaminato paesaggio vicino a Castiglione Falletto, oggi come allora siamo orgogliosi di coltivare ogni giorno con passione ed entusiasmo le nostre terre, per offrire agli appassionati tutta la bellezza e unicità del Piemonte, intatta così come noi la raccogliamo qui». Almeno questo è quanto riporta l’azienda sul proprio sito ufficiale. Perché Tabai il vino lo commercia, ma non lo produce, almeno per quanto concerne Barolo e Barbaresco. Ma procediamo con ordine.
Una sede a Milano senza tracce di cantina
La Tabai Barolo Srl viene costituita ufficialmente il 19 novembre 2024, con registrazione il giorno successivo alla Camera di Commercio milanese, con sede nel capoluogo lombardo, ma all’indirizzo indicato - un anonimo palazzo di viale Monza - non ci sono evidenze della presenza degli uffici della società che distribuisce questo vino: qualche numero, un paio di studi legali e di commercialisti e qualche privato. La cosa che sorprende è la scelta della sede - Milano, anziché un Comune della zona del Barolo -, non che le tracce della presenza nello stabile milanese non siano evidenti: la società, infatti, al 28 agosto 2025 risulta non più attiva dal 2 aprile 2025. 134 giorni di vita per la società che vede quotati i suoi Barolo oltre la soglia dei mille euro. Il capitale sociale al momento della costituzione era di 30mila euro, diviso tra i due proprietari: Diego Sebastiano Ferrari (51%) e Ottorino Tabai (49%), con il primo che ne era anche amministratore unico.
I nomi dietro a Tabai Barolo
Sono questi, dunque, gli unici nomi - che non compaiono mai pubblicamente - a poter essere associati a Tabai: non figurano infatti incarichi riferibili all’azienda, a cominciare dall’enologo, il che per il Barolo ritenuto più costoso in Italia crea quanto meno delle domande: perché?. Dietro la Tabai Barolo ci sarebbe dunque Ottorino Tabai. Il numero di telefono che compare sulla pagina web dell'azienda Tabai Barolo è lo stesso della rivista Fashion Vip Magazine di cui è direttore editoriale lo stesso Tabai e che ha sede in via Montenapoleone insieme alla editrice T Corporate sempre di Tabai. Un numero di telefono che, però, risulta non corretto. E anche qui ci si pone una domanda: come mai?
«Il mercato del lusso in Italia è l’unica certezza della nostra economia. I prodotti di qualità stanno andando incontro ad una crescita delle vendite, sia in Europa che nel resto del mondo. Noi crediamo nel lusso come sinonimo di eccellenza». A dirlo era Tabai nel 2010 a pmi.it. Forse è proprio per questo che ha deciso di investire nel segmento dei vini premium. Fatto sta che nel portfolio delle società che fanno capo a Ottorino Tabai, la Tabai Barolo Srl non è più attiva. E nemmeno la Tabai Corporate, che risulta nell’elenco di cancellazione delle imprese individuali non più operative della stessa Camera di Commercio con la determina dell’8 luglio.
Dal codice in etichetta a Terre del Barolo
Posto che la partita Iva riportata sul sito web ufficiale della cantina porta ad una società inattiva e rimasta in vita poco più di quattro mesi, e considerato che le bottiglie sono in commercio, dirimente diventa anche la questione della produzione. La comunicazione ufficiale di Tabai Barolo porta a Castiglione Falletto (Cn), uno dei Comuni della Docg del Barolo, ma non viene specificato alcun indirizzo. In paese ha sede Terre del Barolo, la cooperativa che imbottiglia Tabai Barolo, come si evince dal codice di imbottigliamento presente sulle bottiglie di quest'ultima (IT/CN/319). E in effetti, sempre sull’etichetta, viene specificato che il vino viene solamente distribuito da Tabai, ma imbottigliato da Terre del Barolo, sebbene la cooperativa compaia solo con il relativo codice e non con il proprio nome.
Un'operazione commerciale di private label, dunque, né più né meno: nessuna cantina, nessuna coltivazione, solo marketing, con qualche tratto di ambiguità. Se l’operazione di comprare e rivendere vino è legittima - come è - lo scopo di evocare filari di Nebbiolo coltivati da generazioni va chiaramente nella direzione di provare a connotarsi come produttori agli occhi del consumatore, anche se produttori non lo si è, con il rischio di indurlo a credere che il Barolo di Tabai sia frutto del lavoro dell’azienda e non una semplice rivendita. Almeno per quanto riguarda Barolo (e Barbaresco) per i quali servirebbe un'autorizzazione storica che non risulta in possesso di Tabai. Tuttavia, da Terre del Barolo si mantiene il massimo riserbo, come conferma il direttore Stefano Pesci che contattato in merito ha detto: «Non è nostra prassi fornire informazioni su altre aziende e, in caso avessimo relazioni commerciali con aziende terze, ci sono accordi di riservatezza e di privacy che andrebbero comunque rispettati».
Le verifiche del Consorzio di tutela
Ma Tabai Barolo (che ha anche una linea di spirits) può puntare a posizionarsi così in alto anche grazie al riconoscimento della Denominazione di origine controllata e garantita. Per essere Docg, i vini “Barolo” devono essere ottenuti da uve provenienti dai vigneti composti esclusivamente dal vitigno Nebbiolo in un’area specificatamente delimitata (e che comprende anche il territorio comunale di Castiglione Falletto) e così per l’invecchiamento e l’affinamento.Il vino non presenta irregolarità, secondo quanto conferma il direttore del Consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani Andrea Ferrero: «Avevamo controllato le bottiglie: erano assolutamente etichettate regolarmente, avevamo tracciato il vino e seguito il contrassegno di Stato. Il vino non è falso, non c’è plagio. Si tratta di dinamiche commerciali».
Non è nemmeno possibile risalire al numero di fascette Docg che entrano in possesso di Tabai. Il Consorzio, infatti, mantiene i rapporti solo con l'effettivo produttore che poi ne dispone l'utilizzo in base alle proprie esigenze e questo getta ulteriori ombre sulla vicenda, perché il vino in qualche modo esce dal circuito del Consorzio una volta che si esaurisce l'azione di tutela del vino prodotto. Anche perché parliamo di un soggetto - Terre del Barolo - da 3 milioni di bottiglie annue a livello di produzione complessiva (non solo di Barolo). Di fatto, è come se Tabai agisse come un'enoteca: acquista il vino e lo rivende, in questo caso apponendovi il proprio marchio.
I premi che non si trovano
Sempre nell’ottica di giustificare il proprio posizionamento premium, Tabai Barolo ha dato spazio sul proprio sito ufficiale ai premi ricevuti dal Barolo Riserva 2016. Una sfilza di riconoscimenti da far girare la testa: medaglia d’oro alla 24ª edizione del Berliner Wein Trophy (2020) e al Decanter World Wine Awards dello stesso anno, ma anche premi alla Douja d’Or del 2017 e a Pramaggiore nel 2018, oltre a menzioni nella Top 100 Wine Discoveriers di Robert Paker Wine Advocate e i 92 punti assegnati da James Suckling.
Di questi premi - sui relativi siti internet - non vi è traccia. O meglio: in alcuni casi (Berlino, Decanter, Suckling) un Barolo 2016 ha effettivamente ottenuto quanto indicato da Tabai, ma si tratta del Vinum Vita Est 2016 di Terre del Barolo, un vino che lo stesso James Suckling stima - a livello di prezzo medio - appena sotto i 40 dollari. Una fascia di prezzo completamente diversa rispetto alle centinaia di euro con cui si trovano online di Tabai, con quelle Magnum che vanno anche oltre i mille euro. A livello puramente indicativo, un Barolo ha un prezzo medio che va dai 30 ai 50 euro, anche se chiaramente questo può salire in caso di produttori storici o vini di particolare qualità. Anche da questo quadro estremamente semplificato il posizionamento di Tabai appare quantomeno insolito.
Un problema di immagine per il Barolo
Al netto del fatto che il vino ha diritto - salvo rilievo di violazioni al disciplinare sin qui non accertate - ad essere distribuito come Barolo, è chiaro che la presenza sul mercato di questo operatore ha generato perplessità nelle aziende che questo mercato lo ha creato. Il caso Tabai Barolo mette in luce quanto il confine tra strategia commerciale aggressiva e reale autorevolezza produttiva possa essere sottile nel mercato del vino di alta gamma, soprattutto utilizzando sottili operazioni di marketing online. Il cortocircuito tra comunicazione, premi di dubbia provenienza, composizione societaria e scarsa chiarezza sulla produzione, solleva interrogativi sul reale valore di queste etichette. In un settore fondato sulla tradizione, sulla trasparenza e sulla reputazione costruita in decenni di lavoro in vigna e in cantina, l’operazione Tabai sembra più un sofisticato esercizio di marketing che un progetto radicato nel territorio. E questo, inevitabilmente, rischia di minare la credibilità non solo del singolo marchio, ma anche di un comparto che dell’autenticità ha fatto la sua forza. Una serie di dubbi che, stante l'impossibilità di contattare l'azienda, la stessa Tabai Barolo potrà eventualmente chiarire.
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