martedì 22 ottobre 2013

LE SOLITE GUIDE

LA BABELE ENOICA
DELLE GUIDE ITALIANE


Da parecchi lustri scriviamo della poca "obbiettività" delle guide italiane sui vini nazionali, ispirate - nella maggior parte dei casi - dalla "obiettività", vale a dire da precisi interessi e spesso da incapacità da parte dei giudicanti. Noi, che lavoriamo per un certo numero di produttori che affidano i loro successi soprattutto all'esportazione, vediamo come tutti, fuori del loro Paese, riscuotano grandi riconoscimenti da riviste, guide e giornali che sono sicuramente obbiettivi non essendo legati a nessun carro. A questo proposito riportiamo qui avanti un articolo del direttore di "Italia a Tavola", Alberto Lupini - che la pensa esattamente come noi - dal titolo "La Babele enoica delle guide" (clicca su Continua a leggere)

Nemmeno sul vino gli italiani riescono a mettersi d’accordo. Nei giorni scorsi avevamo pubblicato in anteprima il risultato della comparazione fra i risultati di eccellenza attribuiti dalle prime 5 guide nazionali. Al di là di vistosissime differenze nelle valutazioni (stile, cultura ed esperienze diverse ci possono anche stare, per carità), emerge ancora una volta l’evidente difficoltà di fare sistema.
Il risultato che avevamo anticipato di soli 3 vini che incontrano i giudizi positivi più alti di quelle guide è francamente deludente perché, al di là di tutte le sensibilità, i vini italiani eccellenti si dovrebbero contare su più mani. Con evidenti ricadute in termini di comunicazione del nostro vino, in Italia e all’estero. E poiché nella media i degustatori delle guide sono preparati e senza pregiudizi, non si capisce il perché di questo risultato che fa emergere tutta la nostra Babele nazionale anche in campo enologico. Per non parlare dei giochi di interesse e, soprattutto, della volontà di differenziarsi sempre e comunque.
Ma a peggiorare le cose (solo per ragioni di calendario) è arrivata la sesta guida italiana (Slow food) che se alla sua nascita (dopo il divorzio con il Gambero Rosso) aveva segnalato la volontà di non procedere con graduatorie come le “altre” (insistendo su valori come territorio, etica, rapporto qualità/prezzo), alla fine partecipa allo stesso gioco e con i “Grandi vini” attribuisce comunque le sue eccellenze. O meglio, sembra di intuire che anche se quei vini potrebbero non corrispondere ai valori etici dell’associazione, sono comunque ritenuti i migliori. Nel politichese di quella guida occorre una bella bussola. Ed ecco che interpolando coi risultati delle altre guide si arriva ad una sintesi che fa emergere solo 2 vini capaci di centrare tutti i giudizi di eccellenza: il Primitivo di Gianfranco Fino e  il Brunello di Biondi Santi. E se anche escludessimo dalla comparazione il Touring, che considera solo vitigni autoctoni, al vertice troveremmo solo 5 vini capaci di mettere d’accordo i giudizi di tutti i curatori delle guide italiane.
Come dire che non c’è da stupirsi se a contribuire ai successi commerciali di un vino italiano all’estero spesso contano anche (o soprattutto) le valutazioni di riviste o guide “non italiane” (per lo più disallineate rispetto ai nostri troppi galli nostrani).

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