Shelf-life,
importante
distinguere
fra scadenza
e limite
di commerciabilità
La “shelf-life” degli alimenti confezionati (“vita da scaffale”, tradotto con “durabilità”) rappresenta un problema complesso e articolato sul quale esiste una grossa carenza di informazioni persino nei settori professionali più specializzati. Di certo è un argomento molto attuale anche per i consumatori.
Sono all’ordine del giorno scandali e indignazione per le notizie di attualità che hanno smosso l’opinione pubblica negli ultimi giorni, a seguito di alcune inchieste televisive sulla gestione e il riuso degli alimenti, soprattutto a base di carne, all’interno della Grande distribuzione organizzata, ovvero i supermercati, tirando in causa ognuno di noi come parte offesa, in quanto consumatori abituali.Ma facciamo un passo indietro. Premettendo a mani alzate che mettere in vendita un prodotto con data di scadenza superata è un reato per frode in commercio ai sensi del codice penale art. 515, definito in Cassazione in quanto «commette il reato di frode nell’esercizio del commercio il soggetto che appone una data di scadenza futura su un alimento già scaduto» (Cass. 3394/2017).
La questione riveste da molto tempo un ruolo fondamentale nel settore produttivo e distributivo, dato che Il mercato agroalimentare richiede ai fini economici prodotti con una stabilità sempre più lunga, ma in questo contesto è bene evidenziare che con la “vita da scaffale” non corrisponde obbligatoriamente alla “vita reale” del prodotto, ma definisce il limite di commerciabilità del prodotto in questione: la perdita di alcune caratteristiche (in particolare quelle sensoriali) equivale spesso alla fine della vita commerciale del prodotto che non equivale necessariamente alla perdita delle sue caratteristiche nutrizionali, igienico-sanitarie o merceologiche.
In altre parole, quando un biscotto perde la sua croccantezza o un prodotto da forno risulta meno soffice di prima, la vita commerciale di questo prodotto finisce anche se questi fenomeni non lo rendono incommestibile o insalubre.
Quali sono le discriminanti che regolano questo processo di “invecchiamento” del prodotto? Non è possibile basarsi unicamente sulle caratteristiche intrinseche del prodotto in questione, ma bisogna allargare il campo e valutare tutte le circostanze che contribuiscono a diminuire la qualità di un alimento. La tipologia di packaging, le modalità di trasporto, la presenza di additivi alimentari, la tecnica di pastorizzazione o sterilizzazione, le condizioni di conservazione, l’ambiente o la presenza di eventuali atmosfere protettive hanno un peso differente ma non trascurabile quando viene valutata la shelf-life di un alimento lavorato.
Appare ovvio quindi che, oltre ai tecnici esperti nell’ambito di tecnologie alimentari e ai laboratori di analisi microbiologico-chimica, nella definizione della vita di un prodotto entrano in gioco gli esperti di packaging e di logistica: tutti attori che in sinergia contribuiscono a definire qual è la tendenza di un alimento, a mantenere intatte le proprie caratteristiche ai fini commerciali determinando pertanto la data di scadenza o il termine minimo di conservazione indicati in etichetta.
Termine minimo di conservazione (Tmc) È il termine temporale entro il quale il prodotto, in adeguate condizioni di conservazione, mantiene le sue proprietà specifiche; al di là di questa data si può comunque consumare l’alimento senza incorrere in rischi per la salute. Il Tmc è indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” (utilizzata soprattutto per i prodotti lungamente deperibili). Data di scadenza (Ds) È, invece, un termine temporale oltre il quale il prodotto in oggetto può costituire un pericolo per la salute del consumatore. Essa è indicata con la dicitura “da consumarsi entro” (ad esempio per i prodotti derivati dal latte o i prodotti di origine animale). |
Dietro l’assegnazione di una scadenza, quindi, si nasconde un vasto campo ancora in via di sviluppo e davvero complesso da districare, poiché definire la durabilità di un alimento, come abbiamo visto, è complicato: trattandosi di materiale organico, la deperibilità di un prodotto non sarà mai uguale all’altra. Per gli esperti del settore il futuro si sta orientando verso tecnologie innovative come i biosensori, etichette che si deteriorano alla stessa velocità dei prodotti di cui portano le informazioni, in grado di indicare se il prodotto è ancora commestibile, portando quindi notevoli benefici anche in termini di spreco alimentare.
Per informazioni: www.giubilesiassociati.com
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