I giovani italiani non sono degli "ubriaconi" ma sempre più responsabili ed esigenti
Tra il 1993 e il 2020 la quota che beve vino è salita dal 48,7% al 53,2%. Per il 79,9% vale la logica meglio meno, ma di qualità, mentre il 70,4% lo beve, ma senza eccessi. L’italianità è inoltre il criterio principale di scelta e qualità per il 79,3% degli intervistati. Il senatore Centinaio: «I trend dimostrano che il Nutriscore non serve. Bere responsabilmente fa parte del nostro Dna»
Il vino si conferma come un prodotto strategico per l’economia italiana, con un sensibile incremento dei suoi consumatori tra i giovani, che scelgono comunque di bere in maniera responsabile e vedono nell’italianità il principale criterio di scelta, perché percepito come garanzia di qualità. È quanto emerge dal Rapporto Enpaia-Censis sul mondo agricolo “Responsabile e di qualità: il rapporto dei giovani col vino”, presentato al Centro Congressi del Vinitaly a Verona. Un report che per il sottosegretario alle Politiche agricole Gian Marco Centinaio andrebbe presentato anche a Bruxelles, dove l'Unione Europea sta ancora decidendo se apporre sulle bottiglie delle etichette come il Nutriscore, che rischiano di danneggiare la produzione. Il sistema di etichettatura dei prodotti alimentari sviluppato in Francia semplificare l'identificazione dei valori nutrizionali di un prodotto alimentare attraverso l'utilizzo di una scala cromatica e di una alfabetica, discriminerebbe infatti vino perché avrebbe un'etichetta nera e la lettera F. «Non c'è bisogno di apporre delle etichette quando è già nel nostro Dna il concetto che bisogna bere in maniera responsabile - ha dichiarato Centinaio - E i nostri giovani lo stanno dimostrando». Infine, per gli addetti ai lavori bisogna non soltanto investire per far conoscere il vino all'estero, ma anche valorizzando e sostenendo la domanda interna.
I relatori che hanno partecipato alla presentazione del rapporto Censis EnpaiaGiovani e vino: abitudine responsabile consolidata nel tempo e allo stesso stile di vita
Nel lungo periodo esiste una relativa stabilità della quota di italiani che beve vino: erano il 58% nel 1993, sono il 55,5% nel 2020. Nello stesso arco di tempo la quota di giovani che beve vino è salita dal 48,7% al 53,2%, mentre quella che beve più di mezzo litro al giorno è scesa in picchiata dal 3,9% a meno dell’1%. Tra i giovani che consumano vino, il 70,9% lo fa raramente, il 10,4% uno o due bicchieri al giorno e il 17,3% solo stagionalmente. I numeri dicono che il consumo di vino è un invariante delle abitudini, componente significativo della buona dieta guidato dalla ricerca della qualità e dal suo ruolo di moltiplicatore della buona relazionalità. La risultante di tutto ciò è un rapporto responsabile e maturo.
I giovani cercano nei vini l’Italianità, criterio di qualità
Il 79,9% dei giovani con età compresa tra 18 e 34 anni afferma che nel rapporto con il vino vale la logica: meglio meno, ma di qualità. Non solo: il 70,4% di giovani dichiara: “Mi piace bere vino, ma senza eccessi”, che richiama l’idea di un alimento che dà piacere e contribuisce in diverso modo al benessere soggettivo, non di un catalizzatore sempre e solo di pulsioni di sregolatezza.
L’italianità come criterio di scelta è richiamato dal 79,3% dei giovani, perché è percepito come garanzia di qualità. Il riferimento alle certificazioni Dop (85,9%) o Igp (85,2%) mostra come i giovani siano molto attenti al nesso tra vini e territori, cosa che segnala la riscoperta nelle culture del consumo giovanili della tipicità localistica, che sembrava destinata a sparire.
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