Garum di agone
di chef Caranchini:
la salsa che ci fa pensare all'Impero Romano
Daniele Caranchini |
Èesploso negli ultimi giorni uno strano quanto curioso trend legato all'Impero Romano. Sui social, TikTok e Instagram in particolare, tantissime le clip in cui gli utenti chiedono ad amici o sconosciuti «Quante volte pensi all'Impero Romano?», creando reazioni tra lo sbigottimento, il sorpreso, il serio e il faceto. Una moda virale che, nonostante il tema in questione ci riguardi da vicino, pare sia nata direttamente negli Stati Uniti, capace in breve tempo di conquistare anche il Vecchio Continente, con l'Italia capofila (e chi sennò) approfittando anche della recente uscita di un libro a tema di Aldo Cazzullo.
Garum, salsa tipica dell'antica Roma ottenuta dalla pressatura di scarti di pesce fermentatiAbbiamo provato anche noi a pensare, a nostro modo, all'Impero Romano, e facendolo non potevamo non tenere in considerazione il cibo. Cosa si mangiava nell'antica Roma? E in particolare quali erano i cibi più strani consumati dalle elite sociali dell'epoca? Lo sapevate che qualcosa di molto simile a ciò che si consumava 2000 anni fa viene tutt'oggi realizzato? Stiamo parlando del garum. Mai sentito nominare?
Il cibo romano che rivive oggi, il garum nell'alta cucina di Chef Caranchini
Gli antichi Romani andavano particolarmente ghiotti di garum, una salsa ottenuta dalla fermentazione degli scarti del pesce (per lo più interiora di sgombro e alici) usata per insaporire una miriade di piatti ai banchetti aristocratici. Oggi il prodotto più simile al garum romano è la colatura di alici, liquido sempre ottenuto tramite la fermentazione del pesce, ma in alcune realtà il garum (o meglio, una versione moderna e decisamente più salubre del garum) viene ancora realizzato. Stiamo parlando, per esempio, del ristorante Materia di Cernobbio (Como), dove lo chef Davide Caranchini utilizza un estratto di interiora di agone (tipico pesce di lago) per condire uno dei piatti più celebri del locale: le linguine al burro con garum, per l'appunto, di agone.
Lo chef Davide Caranchini, al ristorante Materia di Cernobbio realizza un garum di agone
«Oggi sarebbe impossibile realizzare un garum come lo facevano gli antichi, proprio per un discorso di salubrità - dice lo chef - Noi usiamo l'agone, il pesce di lago più simile al pesce azzurro in termini di proprietà organolettiche e contenuto di Omega 3, e non a caso proprio per questo aspetto a Garda viene chiamato sarda di lago. L'importante contenuto di Omega 3 è quello che poi riesce a dare la nota aromatica tipica, ottenuta da una sorta di irrancidimento di questi grassi nobili. Del pesce utilizzo tutte le interiora tranne gli occhi, che andrebbero a conferire una nota molto più amara al tutto».
Niente botti di legno per realizzare il garum in questione: «… il processo avviene all'interno di contenitori vetro, per questioni di igiene. Lo realizziamo in due metodi: uno a temperatura più bassa per più tempo, circa 26 gradi con la fermentazione che dura 6 mesi, l'altro alzando la temperatura, ma cambia così anche il discorso organolettico, a circa 55-60 gradi. In questo caso la fermentazione dura due mesi massimo. Ovviamente alla fine si ottengono due prodotti differenti».
Le linguine al burro e garum di agone di chef Caranchini
Il prodotto principale rimane ovviamente quello ottenuto dal processo più lungo: «Si ricava qualcosa di simile alla colatura di alici: un liquido molto pungente, intenso e sapido; dato il contenuto di sale necessario per stabilizzare la fermentazione. Una volta terminata la fermentazione pressiamo tutto il contenuto fino ad ottenere il liquido, l'estratto di interiora vero e proprio, che poi viene pastorizzato, conservato e utilizzato su uno dei piatti più famosi del ristorante, le linguine al burro. La ricetta nasce dall'idea di fare una versione nordica del più classico spaghetto con la colatura di alici tipico del sud. Ecco quindi linguine al posto degli spaghetti, l'estratto di agone sostituisce la colatura di alici, e una spezia indiana, ottenuta dalla buccia essiccata del mango, invece del prezzemolo a dare un tocco più acido al tutto».
Gli alimenti più strani dell'antica Roma, quando il cibo era uno status symbol
Tornando ora all'epoca dei Romani in questo ideale viaggio nel tempo, in quell'epoca il cibo era un autentico status symbol: le classi agiate si lasciavano spesso e volentieri andare a pasti all'insegna di alimenti esotici, costosi, provenienti da lontane colonie romane, mentre i più poveri dovevano accontentarsi di ciò che potevano permettersi tra ciò che si autoproducevano e quello che trovavano nei mercati cittadini. Il più delle volte qualcosa di frugale.
Scene di un banchetto romanoIn generale pesce, carne, cereali, frutta, vino e pane rappresentavano ciò attorno a cui ruotava la gastronomia dell'epoca, ma in non poche occasioni i banchetti delle classi aristocratiche erano all'insegna di cibi che oggi non esiteremmo a definire strani (altro che insetti o carne coltivata).
La cucina dell'Impero Romano, i cibi più esotici provenivano dall'Oriente
Nel periodo di maggior espansione (attorno all'anno 100) l'Impero Romano raggiungeva i 5 milioni di chilometri quadrati, con una popolazione di circa 120 milioni di persone. Tutto il bacino del Mediterraneo faceva parte di Roma, con i territori più lontani che toccavano Egitto e Africa del Nord, Mar Caspio e Britannia.
Cosa mangiavano gli Antichi Romani? I cibi più straniUn'estensione così grande era sinonimo anche di cibi che arrivavano da zone remote dell'impero, più che chilometro zero insomma si prediligeva il chilometro ampio. Una testimonianza della gastronomia elitaria dell'epoca ci è giunta grazie a quello che è considerato il più antico ricettario oggi pervenutoci, quello del gastronomo Apicio, personaggio quasi leggendario (della cui effettiva esistenza permane qualche dubbio) vissuto tra I e II secolo dopo Cristo. Quali cibi compaiono all'interno? Ghiri, pavoni e mammelle di scrofa, solo per fare qualche esempio.
Struzzi, pappagalli e delfini: i cibi più strani dell'Impero Romano
Tra gli altri alimenti non convenzionali (almeno per quanto ci riguarda) ecco anche le polpette fatte con la carne di delfino, ma i ricchi signori romani pare fossero ghiotti anche di ghiri, allevati per scopi alimentari e ingrassati attraverso un'alimentazione a base di noci, castagne e ghiande. Pavoni e fenicotteri arrivavano dalle zone più remote ed esotiche dell'Impero, ma ne esistevano allevamenti per via del loro consumo quasi spropositato tra i nobili romani (pare ne venisse mangiata anche la lingua). Anche un animale oggi considerato da compagnia, per certi versi domestico, al tempo finiva spesso e volentieri in padella: i pappagalli erano serviti con frutta secca e spezie, utilizzati per lo più per i loro colori sgargianti, quindi per scopi estetici, che altro. Donnole, cani e furetti erano altri animali di cui non si disdegnava il consumo, e in particolare i cervelli delle prime pare fossero ritenute un rimedio contro l'epilessia.
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