Le specie aliene invasive sono la seconda causa di perdita di biodiversità al mondo e, quanto di più preoccupante, il loro impatto è in netta ascesa. Non solo in natura, le conseguenze nefaste delle invasioni biologiche si ripercuotono anche in maniera diretta sull’uomo e sulla sua salute e, soprattutto, sulla sicurezza alimentare, mettendo a dura prova la produttività dei raccolti in un numero crescente di zone del pianeta. Secondo i dati Ipbes (Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici) quasi l'80% degli impatti negativi documentati delle specie esotiche invasive sulla vita delle persone sono negativi e, tra queste, la riduzione dell’approvvigionamento alimentare è di gran lunga la conseguenza segnalata più frequentemente (66%). Inoltre, dal punto di vista economico questo fenomeno ha dei costi esorbitanti, si stima che nel solo 2019 il prezzo globale complessivo imputabile solamente alla lotta e al contrasto delle specie invasive sia quantificabile intorno ai 423 miliardi di dollari (Ipbes). Una cifra in netta ascesa anno dopo anno.
Calabrone asiatico, una grande minaccia per api ed impollinatori del Vecchio continenteGli stessi ricercatori di Ipbes hanno stimato che il costo delle invasioni biologiche è aumentato del 400% ogni decennio dal 1970 e, secondo le previsioni, continuerà a salire negli anni a venire. Per comprendere più a fondo la gravità della problematica e quali siano in scala i costi per le casse pubbliche è utile paragonare queste cifre a quelle delle grandi catastrofi naturali: uno studio accademico internazionale, supportato dall’Università di Parigi Saclay dimostra come l’invasione di specie aliene abbia causato, in un intervallo dal 1980 al 2019, perdite economiche superiori persino a terremoti ($1,139.4 mld), inondazioni ($1,120.2 mld) e molte altre calamità naturali. Numeri che fanno riflettere, soprattutto se si tiene conto che gli interventi a livello di governance rimangono marginali e che, come sottolineato nello studio di Legambiente Biodiversità a rischio, il numero di specie invasive continua a crescere senza soluzione di continuità in tutti i gruppi tassonomici, in tutti gli ambienti e in tutte le regioni del mondo.
Specie invasive: un fenomeno dannoso e senza freni
Secondo quanto si apprende dai dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), le invasioni biologiche sono cresciute in Europa del 76% negli ultimi 30 anni, mentre nello stesso periodo in Italia sono quasi raddoppiate, segnando un +96%, raggiungendo quota 3000 specie alloctone invasive. Facciamo un passo indietro. Le specie aliene invasive sono organismi che si trovano al di fuori del loro habitat naturale a causa principalmente delle attività umane. La loro introduzione può avvenire in diversi modi: può essere intenzionale per scopi venatori o di pesca sportiva, accidentale attraverso il trasporto di merci oppure secondaria, ovvero attraverso l’introduzione in un territorio per un preciso scopo a cui segue la diffusione in altre regioni per dispersione naturale. Spesso dunque l’introduzione di una nuova specie è frutto delle sempre più intense attività umane, dovute alla globalizzazione dei commerci, che riescono a far venire in contatto in tempi rapidi zone del mondo molto distanti e specie che altrimenti mai avrebbero potuto condividere il medesimo habitat, abbattendo barriere insormontabili in natura come oceani, catene montuose o interi continenti.
La fitta rete di commerci globalizzati è la principale causa della diffusione di specie aliene invasiveA questo punto, quando una specie alloctona si inserisce in un nuovo ambiente, si trova di fronte a una triplice via: integrarsi nel nuovo ambiente con una popolazione sostenibile e coesistere con gli altri organismi, scomparire rapidamente oppure diventare una specie aliena invasiva, per vari motivi, vincendo la competizione per l’assenza di predatori naturali, diventando essa stessa una predatrice diretta o comunque alterando i fragili equilibri della rete trofica, trasformandosi talvolta anche in un vettore di malattie che decimano le popolazioni locali autoctone. In questo caso la specie sono capaci non solo di introdursi nella nuova nicchia naturale, ma di ridurre notevolmente, o talvolta eliminare, le specie autoctone e di moltiplicarsi a dismisura, creando danni ecologici ed economici consistenti per il territorio, che possono ripercuotersi anche sulle attività umane, come quelle legate al settore primario.
Il pesce siluro rappresenta un grave rischio per la biodiversità dei fiumi e dei laghi italiani
Un esempio recente che ci riguarda da vicino è il celeberrimo granchio reale blu. Salito alla ribalta nella cronaca enogastronomica italiana per il suo impatto devastante per gli habitat fluviali, costieri o acquitrinosi, come il Delta del Po e nelle Valli di Comacchio, dove ha causato danni incommensurabili a produttori di cozze e vongole, quantificati da Fedagripesca-Confcooperative attorno ai 100 milioni di euro. Esso tuttavia rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno enormemente più ampio che include specie di vario genere (invertebrati, mammiferi, uccelli, pesci, rettili, anfibi, piante), che intersecandosi con altre conseguenze delle attività antropiche, come inquinamento, surriscaldamento globale, consumo del suolo, possono portare a conseguenze gravi per la nostra salute e il nostro sostentamento.
Invasioni biologiche: una problematica europea e globale
Le specie invasive variano il loro impatto da territorio a territorio: a livello di Unione europea si stima che i danni prodotti dalle invasioni biologiche ammontino a 12,5 miliardi all’anno, una cifra considerevole, a cui si aggiunge anche il fatto che il comparto agroalimentare sia il più esposto a questo tipo di rischi. In Europa sono presenti circa 12.000 specie esotiche, delle quali approssimativamente il 10-15% è ritenuto invasivo (ministero dell’Ambiente), un numero che crescendo potrebbe rappresentare un grosso problema per le amministrazioni e per la biodiversità. Per questo motivo il Parlamento europeo ha introdotto il Regolamento (UE) n. 1143/2014: proteggere gli equilibri naturali e i servizi ecosistemici e per minimizzare o mitigare l’impatto che queste specie potrebbero avere sulla salute umana o sull’economia.
Il batterio della Xylella Fastidiosa è responsabile della moria di centinaia di migliaia di uliviNell'art. 6 del Decreto legislativo 230/2017 si vieta esplicitamente l'introduzione deliberata o per negligenza nell’Ue, la riproduzione, la coltivazione, il trasporto, l'acquisto, la vendita, l'uso, lo scambio, la detenzione e il rilascio di specie esotiche invasive di rilevanza unionale. È da sottolineare che le invasioni biologiche sono il fattore chiave nel 54% delle estinzioni animali conosciute, nonché l’unica ragione per la scomparsa del 16% delle piante e degli animali globalmente conosciuti. Molte specie invasive, oltre ad alterare i delicati equilibri naturali e causare estinzioni di massa, portano in eredità anche conseguenze estremamente dannose per l’uomo e le sue attività: una proliferazione incontrollata significa spesso malattie, distruzione dei raccolti, danni a edifici e infrastrutture. Il ritmo attuale di introduzione e diffusione delle specie aliene viaggia ad una velocità senza precedenti nella storia umana: circa 200 specie ogni anno, e di queste almeno 3.500, quasi un decimo del totale, sono classificate come aliene invasive.
Specie aliene che ci riguardano da vicino
Ci sono vari esempi illustri di specie aliene dannose per l’ambiente e l’agricoltura nel nostro Paese, oltre al sopracitato granchio blu. Il batterio della Xylella fastidiosa, per esempio, arrivato in Italia con un carico di piante ornamentali proveniente dal Cile, è responsabile della moria di centinaia di migliaia di ulivi, con perdite immense per l’industria dell’olio e i coltivatori, in particolare nell’Italia meridionale. Da non sottovalutare anche i danni prodotti da insetti come la cimice asiatica (Halyomorpha halys) o il moscerino dei piccoli frutti (Drosophila suzukii) che preoccupano soprattutto i produttori di frutta. Lo scarabeo giapponese (Popillia japonica), invece, originario dell’estremo Oriente, avvistato per la prima volta in Europa nel 2014, si sta espandendo velocemente in tutto il Nord Italia devastando i campi di mais, di soia e, soprattutto, i vigneti. Una delle specie più dannose in assoluto per l’agricoltura è tuttavia il Calabrone asiatico (Vespa velutina nigrithorax), proveniente dal Sud-est asiatico. Nel 2005 è stato accidentalmente introdotto in Francia meridionale, da cui poi si è diffuso e, nel 2012, è giunto anche in Italia. La caratteristica che lo rende particolarmente dannoso è la sua propensione ad essere un temibile predatore di api ed altri impollinatori, fondamentali in praticamente tutte le colture. In particolare rappresenta una seria minaccia per le api mellifere europee che, a differenza delle cugine asiatiche, non hanno evoluto gli adattamenti necessari a difendersi dagli attacchi di questo calabrone: un solo esemplare infatti può devastare un alveare con estrema facilità. Allo stato attuale la specie è nota in Piemonte e Liguria, ma si prevede che potrà progressivamente diffondersi in tutto il Paese, con grande preoccupazione degli agricoltori.
Lo scoiattolo grigio sta portando alla scomparsa del suo cugino. lo scoiattolo rosso europeo, oltre a mettere a rischio molte colture di fruttaLo scoiattolo grigio, può sembrare una creatura più mansueta, ma è anch’essa una specie aliena con ripercussioni gravi su ecosistemi e attività umane. Proveniente dal continente Nord America, con lo scopo di essere un animale domestico, è poi diventato una specie altamente invasiva. Più strutturalmente resistente e abile nel procacciarsi cibo dello scoiattolo rosso europeo, ne sta causando la scomparsa. La sua presenza inoltre è dannosa per i boschi del Vecchio continente perché, a causa della sua attività di scortecciamento, indebolisce molte piante non adatte a questa attività, esponendole a rischio di malattie e morte. Anche l'agricoltura paga il suo prezzo a questa specie, che danneggia molti frutteti, in particolare i noccioleti.
L’acqua, elemento della vita, a rischio invasione biologica
Tra le specie invasive acquatiche, oltre al famoso granchio blu, si annovera il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), che sta tenendo tutti col fiato sospeso per la sua estrema flessibilità ecologica e comportamentale: può vivere sia in acque dolci che salate, ed è inoltre capace di sopravvivere anche a lunghe siccità. In Italia si è diffuso in tutto il paese, particolarmente al Nord. Questa specie è molto prolifica: le femmine producono fino a 600 uova per volta e possono riprodursi già al primo anno di vita. I danni maggiori causati dal gambero rosso, importato dall’America settentrionale per essere utilizzato in acquacoltura, sono ravvisabili nella destabilizzazione degli argini provocata dalla sua attività di scavo nei canali di drenaggio e di irrigazione, nonché nelle risaie.
Il gambero rosso della Lousiana sta proliferando in Italia, portando con sè problemi di destabilizzazione degli argini e malattieLa crescita incontrollata di gamberi rossi è anche alla base di fenomeni di intorbidamento delle acque, incluse quelle destinate al consumo umano. Questa specie acquatica può peraltro contribuire alla diffusione di malattie infettive, alcune delle quali pericolose anche per l’uomo, come la tularemia, o potenzialmente distruttive per gli equilibri naturali, come la peste del gambero. Il suo essere predatore vorace e poco selettivo, infine, porta ad un rapido deterioramento degli ecosistemi in cui si insedia e prolifera.
La nutria porta alla drastica riduzione di piante acquatiche, causando gravi squilibri all’ecosistema locale e all’agricolturaNon da meno per danni agli ambienti acquatici è la nutria, importato dal Sud America per la sua pelliccia, questo roditore oggi è cresciuto in maniera incontrollata, assediando fiumi e canali, portando alla drastica riduzione di piante acquatiche e causando gravi squilibri all’ecosistema locale e all’agricoltura.
I danni prodotti dalla cozza zebrata a un tuboL’attività di scavo delle tane, inoltre, indebolisce gli argini dei corsi d’acqua aumentando il rischio di esondazioni. Passiamo alla cozza zebrata, un mollusco che viene dal Mar Caspio e dal Mar Nero, importato in Italia per la sua formidabile capacità di depurare il suo habitat dalle sostanze chimiche inquinanti, è talmente infestante da riuscire a incrostare e intasare tubi, come per esempio delle centrali idroelettriche, oltre che invadere e deturpare gli ecosistemi che la ospitano. Un altro flagello per gli ambienti acquatici è il pesce siluro, originario del bacino del Danubio, oggi ospite consueto dei nostri fiumi, si è dimostrato un predatore insaziabile e vorace in grado di raggiungere con facilità la lunghezza di due metri e più. Introdotto in Italia per la pesca sportiva, è stato capace di provocare il declino e perfino la scomparsa di molte specie native di pesci d’acqua dolce, come successo nel bacino del Po, modificando irrimediabilmente l’equilibrio di vari ecosistemi fluviali.
Specie invasive, anche un'emergenza sanitaria
Concludiamo con le specie aliene particolarmente dannose per la salute umana. La zanzara tigre, arrivata tramite gli intensi commerci con l’oriente e il Sud-Est asiatico, rappresenta un grave rischio, soprattutto negli ambienti in cui si diffonde in modo invasivo e incontrollato, perché può essere vettore di oltre 20 infezioni virali, tra le quali alcune molto gravi, come i virus dengue (DENV), chikungunya (CHIKV) e la febbre gialla (YFV). Dannosa sia per la salute che per le colture è la formica di fuoco (Solenopsis invicta), una specie originaria del Sud America, salita alla ribalta della cronaca a causa delle sue punture gravemente irritanti, che possono portare allo shock anafilattico.
La zanzara tigre può essere vettore di oltre 20 infezioni viraliIl topo dai piedi bianchi invece, importato in Europa dal Nord America, è utilizzato come vettore principale dalle zecche Ixodes ninfali, causa della malattia di Lyme, un’infezione che se non adeguatamente trattata può causare alterazioni cardiache, neurologiche o articolari. Infine la panace del Mantegazza, un arbusto originario del Caucaso, diffuso in Italia a scopo ornamentale, ora inizia ad infestare i boschi alpini, rappresentando un rischio sanitario in caso di eccessiva diffusione, dal momento che la linfa della panace gigante, pianta che può arrivare fino a 5 metri di altezza, contiene sostanze che rendono la pelle dell’uomo ipersensibile alla luce solare e causano lesioni cutanee anche molto serie.
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