Sala sempre più deserta: come ridare valore e interesse alla professione?
Secondo la Fipe entro fine agosto la richiesta di personale di sala arriverà a oltre 137mila unità. Nonostante l'importanza sempre maggiore della sala nella ristorazione di oggi, si fatica a trovare lavoratori: formazione, orari di lavoro, contratti e percezione sociale sono i grandi temi cui dare una risposta per rilanciare una professione fondamentale per tutto il comparto
Redattore
Cercasi personale di sala. La richiesta, entro fine agosto, sarà di 137.150 unità, secondo il rilevamento effettuato dall'ufficio studi di Fipe-Confocommercio (la Federazione italiana pubblici esercizi). Si tratta della figura più ricercata sul mercato italiano, seguita dai cuochi i cui posti vacanti però sono circa un terzo di camerieri e altri professionisti della sala. Numeri che si scontrano con una importanza sempre maggiore che questo ambito della ristorazione va sempre più acquisendo.
Una sala sempre più deserta
A non aiutare molto spesso sono orari e retribuzioni. Se da un lato gli imprenditori spesso lamentano la mancanza di voglia da parte dei giovani, dall’altro non sempre le condizioni di lavoro incentivano a pensare ad un futuro in questo ambito. «Questo per due motivi: innanzitutto - sottolinea Luciano Sbraga, videdirettore generale della Fipe -, per offrire un servizio di qualità in sala è necessario un numero sempre maggiore di persone. In secondo luogo, le aziende tendono ancora a sottovalutare il ruolo del personale di sala, considerandolo più facilmente sostituibile rispetto a quello in cucina, come ad esempio i cuochi. Questa visione, però, è ormai superata: il cuoco è una figura professionale altamente qualificata che merita grande rispetto. Oggi, però, la vera sfida per il settore turistico si gioca proprio in sala, dove è richiesta una maggiore professionalità. Ecco perché la domanda di personale in sala è più alta, ma purtroppo soffre anche di una minore fidelizzazione, con un elevato turnover di lavoratori. Bisogna individuare condizioni di ingaggio e di lavoro più accattivanti per avere la disponibilità delle persone».
Luciano Sbraga, vicedirettore generale Fipe«I contratti di lavoro - denuncia Valerio Beltrami, presidente di Amira (Associazione maîtres italiani ristoranti ed alberghi) - sono i più deboli che abbiamo in tutta Europa e in Italia non si lavora certo 40 ore e non si ha nemmeno il diritto di stare a casa un sabato o un domenica al mese da passare con la propria famiglia o con chi si vuole». In questo senso, proprio l’immagine che restituisce il report del Maggia, è quella di difficoltà maggiori nel reperire personale in sala e in cucina, le più faticose e sacrificanti in tema di turni e orari. Una soluzione, potrebbe essere quella, avanzata dal numero uno di Amira, di intervenire a livello economico, magari con una defiscalizzazione. Di sicuro, Beltrami si mostra preoccupato: «L’Italia deve puntare sul turismo, ma intanto molti esercizi tengono solo la possibilità di alloggio e non più della ristorazione perché non c’è personale di sala. Senza contare che tra un po’ troveremo i carrelli, i robot che trasportano il piatto dalla cucina alla sala. Se non si cambia, a mio modo di vedere, sarà un grosso problema».
Valerio Beltrami, presidente di AmiraSbraga, però, puntualizza: «Sebbene la maggior parte dei lavoratori sia impiegata con contratto a tempo indeterminato, è importante sottolineare la presenza di una componente stagionale rappresentata dai lavoratori a tempo determinato. Questi ultimi non si limitano ai soli lavoratori stagionali, dato che si verificano periodi di intensificazione dell'attività anche al di fuori dell'estate, ad esempio in occasione di festività. Pertanto, la componente di lavoro a termine risulta inevitabile, in quanto strettamente legata all'andamento della domanda. Attività di servizio come la ristorazione, infatti, sono caratterizzate da cicli di domanda che influenzano direttamente il fabbisogno di manodopera. Pur rappresentando una minoranza, la componente di lavoro a termine richiede un'attenta gestione, che risulta sempre più complessa. Questo perché i lavoratori, naturalmente, aspirano a un'occupazione stabile. Tuttavia, il ricorso al lavoro a termine non è sempre una scelta dettata da mere convenienze aziendali, ma può rivelarsi una necessità in determinate circostanze».
Sala: da dove partire per rilanciare la professione?
Il focus inevitabilmente si concentra su quegli attori che per primi possono attrarre i ragazzi e aiutarli ad avviarsi verso una professione, tanto antica quanto nobile come quella del cameriere: le scuole alberghiere. «Il problema - dice ancora Beltrami - è che oggi le scuole oggi non formano e non trasmetto la passione per il lavoro». Se da un lato il numero uno di Amira sottolinea alcune criticità, come il fatto di vedere troppo poco il docente a causa della rotazione sui vari comparti che abbraccia la scuola, dall’altro riconosce come ci siano difficoltà oggettive come quelle nel reperire le materie prime per le lezioni».
Secondo la Fipe la maggior parte dei lavoratori è impiegata con contratto a tempo indeterminato«La formazione - evidenzia Sbraga - rappresenta un investimento sicuro, in quanto la difficoltà di reperire nuovo personale dipende spesso non solo dalla scarsità di candidati, un altro fattore importante, ma anche dalla mancanza di competenze specifiche richieste dalle aziende. A volte, infatti, il problema non è il numero di candidati disponibili, ma il fatto che essi non possiedono le skills necessarie. Naturalmente, la difficoltà nel reperire personale può essere anche dovuta a una disallineamento tra le aspettative del lavoratore, in particolare per quanto riguarda gli orari di lavoro, e le esigenze dell'azienda»
Fiorenzo Ferrari, dirigente scolastico del MaggiaFiorenzo Ferrari, dirigente scolastico del Maggia di Stresa (Vb), un’eccellenza nella formazione alberghiera, però sottolinea: «A livello di numeri i nostri iscritti sono sostanzialmente equamente divisi tra cucina, sala e ricevimento: non direi che c’è un calo di numeri per quanto riguarda gli iscritti al percorso di sala. Noi come scuola riusciamo anche ad appassionare molto alla sala, lavoriamo ad esempio molto sul bar e la mixology, che interessa molto ai ragazzi, oltre che sui concorsi. Come scuola non vediamo una crisi di numeri, ma gli imprenditori sì».
Serve un salto culturale per il personale di sala
Quel che è certo è che un grosso ostacolo nell’avvicinare i giovani a questa professione è la percezione che si ha del cameriere. Proprio il Maggia ha portato avanti con l’Osservatorio Sonda un progetto didattico per rilevare e comprendere i bisogni del settore. Dai risultati è emerso che, secondo gli imprenditori, quello del cameriere è l’ambito più «compromesso» in termini di immagine e reputazione a causa di realtà che offrono condizioni di lavoro non etiche ed adeguate, ma è anche la figura meno ambita su un piano di prestigio.
Tra i principali problemi, per il 35% del campione, si tratta di un lavoro spesso vissuto come temporaneoTra i principali problemi, per il 35% del campione, si tratta di un lavoro spesso vissuto come temporaneo e non come una vera e propria professione da intraprendere e far crescere e non ci sono dei veri percorsi di carriera che motivino ad investire in questa professione, anche in virtù del fatto che si sono ormai perse anche le gerarchie formali in sala. C’è insomma la percezione che si tratti di una professione poco qualificata. «I ragazzi però - rimarca Ferrari - non la vivono così: sono molto ambiziosi, guardano anche l’estero».
Personale di sala, molto più che semplici portapiatti
Il primo scoglio da affrontare è proprio quello di uscire dalla concezione del cameriere come semplice portapiatti. E in questo, sia Beltrami che Ferrari concordano. «Dobbiamo - dice il dirigente scolastico - portare una immagina diversa, far capire che lavorare in sala non è da portapiatti, ma è incontrare le persone, vendere i piatti, comunicare la filosofia dell’hotel o del ristorante: il personale di sala è la vetrina del locale, vende l’atmosfera. È una cosa che va fatta capire prima di tutto ai ragazzi, che poi la porteranno nel mondo del lavoro». «Gli stessi grandi chef - aggiunge il presidente di Amira - riconoscono il valore della sala: un grande chef può creare un grande piatto, ma se non c’è chi sa venderlo, chi sa raccontarlo, il suo piatto sparisce. È fondamentale questo lavoro: guai se non avessero dei grandi maîtres».
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Masterchef: per la sala la tv può essere una soluzione?
Nel 2022 la ministra del Turismo Daniela Santanchè aveva paventato un orizzonte in cui anche fare il cameriere avrebbe potuto essere attrattivo tramite qualche format: «Se un figlio, 20-30 anni fa, diceva in famiglia che avrebbe voluto fare il cuoco, non so se i genitori sarebbero stati così contenti. Oggi, invece, è figo grazie a Masterchef: la televisione ha dato uno status a una professione. E riconoscere uno status è fondamentale. Tra cinque anni voglio che sia figo anche fare il cameriere». Un auspicio, più che una boutade, ma qualcuno, come Amira, il suggerimento l’ha preso sul serio: «Avevamo ideato un nostro programma, che avrebbe permesso di mostrare il lavoro del cameriere, anche ai genitori, anche con telecamere nascoste: purtroppo non abbiamo mai trovato gli sponsor».
Ne è convinto anche Beltrami: «La televisione, con programmi come Masterchef e non solo, tutti i giorni fa vedere la cucina come fosse il miglior lavoro al mondo. E quindi tutti sono proiettati verso la cucina». Tuttavia la strada del successo televisivo, difficilmente ha portato i Masterchef a ricoprire ruoli di rilievo - se non quando tout court - in vere cucine di ristoranti.
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