Stelle Michelin
agli hamburger
La pizza però
non ha alcun peso
La guida francese si adegua agli inevitabili cambiamenti dei ristoranti (non solo stellati) e riduce molto il livello del giudizio. Sdogana hamburger e delivery, ma mantiene il veto sulle pizzerie. Solo il 21% degli "stellati" ha riaperto nel mondo (una sessantina in Italia) e la "rossa" ora cambia linea e apprezza territorio e semplicità.
Altro che Alta cucina o quella ricerca estrema per la quale si sono svenati i tanti cuochi candidati alle effimere stelle: ora basterà cucinare anche hamburger e alla Michelin andrà bene lo stesso. Parola di Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle guide Michelin, che al "Corriere" ha annunciato un cambio di rotta radicale. L’esempio che cita con poteva essere più chiaro: René Redzepi del Noma, uno dei bistellati più discussi al mondo per proposte ardite ed estreme, in tempi di covid-19 si è riconvertito proprio agli hamburger e la “rossa” approva senza battere ciglio. Del resto c’è poco da fare. Finora solo il 21% dei 3165 ristoranti stellati nel mondo ha riaperto. Poco più di una sessantina quelli italiani, per lo più quelli con terrazze e giardini. E molti resteranno chiusi. E già solo questo parlare di stelle e critica sui ristoranti fa un po’ raggelare, ma volendo essere ottimisti cerchiamo di ragionare come se fossimo a pandemia conclusa.
Con una prevedibile moria di locali e di cambi di menu (molti si orientano sul territorio e il tradizionale, o comunque “semplificano” i piatti), alla Michelin non resta che farsi andare bene anche ciò che fino a ieri giudicava con orrore. Deve salvare il salvabile della sua galassia, anche a costo di dare un calcio alla coerenza e al modello di gestione che aveva imposto in questi anni e che la crisi butta nella spazzatura: troppo costoso e spesso inutilmente basato sul concetto tutto astratto dell’esperienza che non sempre collima con la qualità e col gradimento del pubblico.
D’altra parte, con meno soldi in circolazione e gli oneri accumulati in mesi di chiusura, anche gli stellati devono scendere coi piedi per terra e, per fare quadrare i bilanci, in tanti di sono dedicati all’asporto e, soprattutto alla consegna a domicilio. Quella delivery che le guide hanno sempre giudicato negativamente ma che, ora, di fronte alla realtà, dovranno guardare in modo diverso. Del resto è proprio la regina madre delle guide, sempre attraverso le parole del capo degli ispettori che sdogana la delivery dicendo che «cambierà il modello di business, soprattutto all'inizio. Noi saremo flessibili, riconosceremo il cibo di qualità in qualsiasi forma arrivi, e con qualsiasi esperienza arrivi, sia classica che più informale. Già adesso in alcuni Paesi ci sono ristoranti stellati che sono di fatto degli street food».
Chissà che a Milano Carlo Cracco e Claudio Sadler, che hanno avviato due attività di deliry di qualità, non si riprendano la seconda stella proprio grazie all’attività aggiuntiva che ora piace alla Michelin…
Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle guide Michelin
Quel «saremo flessibili» suona però francamente un po’ ridicolo. Un po’ perchè se non fosse “flessibile” la guida, senza più l’autorevolezza di un tempo, sarebbe in caduta libera, e un po’ perché la realtà impone cambiamenti a tutti e la “rossa” dimostra che le sue regole non erano poi scolpite sulla pietra, ma adattabili come sempre solo all’interesse del momento. Mi piego ma non mi spesso, verrebbe da dire. E così come esaltava Paul Bocuse da vivo, salvo poi togliere una stella al suo ristorante quando è morto, chissà che ora, visto il nuovo vento che tira (“tradizione” e meno spume e alghe), non gliela ridia.
Questa inversione di rotta e abiura di regole consolidate sono in fondo nella storia della guida. E questo è anche un bene. Bisognerebbe solo capire quanto influisca il rischio di ritrovarsi con pochi locali a cui assegnare le stelle con parametri arcaici e oggi inapplicabili. Oppure quanto conta l’alleanza stipulata con l’anti guida per eccellenza TripAdvisor, che certo preferisce gli hamburger al “bollito non bollito” di Massimo Bottura.
Questo giro di boa è peraltro apprezzabile e non possiamo non rilevarlo. Anche perché è assolutamente in linea con quanto Italia a Tavola indica da mesi sui cambiamenti inevitabili della ristorazione. Mentre spiazza molti altri osservatori che sono sempre fermi sulla "novità fine a se stessa" dei patti valutati dalla Michelin avanti coronavirus. È in questa logica che la Michelin del d. c. (dopo coronavirus) avrebbe però potuto compiere un vero salto di qualità e rinascere come un’araba fenice riconoscendo il valore della pizza. Purtroppo a tutt’oggi non ha avuto il coraggio di rimuovere un veto antistorico e riconoscerne il “peso”.
Peccato perché dopo dato stelle alla cucina di strada giapponese e avere ora annunciato stelle anche per gli hamburger, davvero non ci sono più alibi per mantenere un veto verso le pizzerie. Un'opposizione che nasconde il timore che l'Italia possa diventare il primo Paese al mondo per locali stellati...
Questa è la vera sfida per recuperare un po’ di credibilità e allinearsi davvero con le tendenze dei consumatori. La “rossa” può monitorare tutti i ristoranti che vuole. E coi suoi miracolosi ispettori può magari riuscire a giudicare ristoranti chiusi e presentare a novembre una sua edizione digitale a Milano, mentre tutte le altre guide hanno detto che salteranno un giro (tanto di cappello per la serietà!). Ma resta il fatto che sulla pizza ora non ha più alibi: certo vale più di un hamburger e da sempre è anche oggetto di delivery. La Michelin ha tempo fino a novembre per pensarci bene. Speriamo.
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