giovedì 23 luglio 2020

GRAPPA: L’ARTE DELLA DISTILLAZIONE

GRAPPA: L’ARTE 
DELLA DISTILLAZIONE

Non bastano calore e alambicco, per creare la grappa serve conoscenza, scienza e soprattutto visione. Scopriamo il momento più intenso della produzione del nostro distillato di bandiera
La distillazione è il cuore della produzione della grappa, il momento in cui la vinaccia si trasforma nell’amato prodotto italiano. La scienza spiega questo processo, ma l’arte di ogni grappaiolo è ciò che rende unico questo momento e dona quel senso di poetica magia che accomuna i migliori distillati. Scopriamo in questo e nei prossimi numeri come avviene. La distillazione, per la fisica, è quell’operazione che consente di separare due composti aventi volatilità diversa mediante la trasformazione dei medesimi in vapore e la successiva condensazione. Per il grappaiolo le cose sono un pochino più complicate perché di sostanze a diversa volatilità da separare, in quel miscuglio chiamato vinaccia, non ne ha due, ma alcune centinaia. 
Per lui la distillazione ha quindi una definizione diversa: è quell’operazione che consente di liberare dalla vinaccia i componenti volatili concentrando la frazione alcolica e le sostanze aromatiche di pregio – separandole quindi da quelle di cattivo gusto – al fine di ottenere una bevanda organoletticamente gradevole. Nella sua difficile missione poteva essere molto aiutato da chi ha semplificato il discorso dicendo che l’alcol bolle a 78,4 °C e l’acqua a 100 °C per cui prima evapora l’alcol e poi l’acqua. E così via per tutti gli altri costituenti volatili. Ma, se così fosse, sarebbe sufficiente controllare con precisione la temperatura del liquido in caldaia e, conoscendo l’esatto punto di ebollizione di ogni componente, girare un rubinetto al momento giusto. 
Per comprendere quanto sempliciotta e poco fondata sia questa teoria basti pensare che nella grappa c’è, per esempio, del caprilato di etile che ha un punto di ebollizione di 244 °C. Ed è solo uno dei tanti componenti presenti che bolle oltre i 100 °C. Le cose cambiano d’aspetto se si pensa che la distillazione di un sistema complesso come la vinaccia comporta: fenomeni di trascinamento o strippaggio di determinati componenti che sfuggono alle leggi fisiche dell’evaporazione; variazione, durante il decorso della distillazione e sui diversi punti dell’alambicco, della composizione dei liquidi o del vapore con conseguente mutamento di comportamento di uno o più componenti che tendano a solubilizzarsi o a insolubilizarsi e quindi, indipendentemente dal loro punto di ebollizione, passano nel distillato; la genesi di nuove sostanze nel corso della distillazione dovute a una serie di reazioni tra i numerosi componenti resi molto reattivi dalla loro trasformazione allo stadio di vapore. Il processo di distillazione della vinaccia, inteso come esaurimento della medesima della componente volatile, concentrazione della frazione alcolica e concomitante selezione delle sostanze organoletticamente buone, è condizionato da: il tipo di materia prima che si pone in distillazione; il tipo e la geometria dell’impianto di distillazione; la conduzione della distillazione medesima e quindi dall’uomo che vi opera, sia esso seduto in una stanza dei bottoni o a stretto contatto con l’alambicco. Questi elementi, frutto di una storica evoluzione promossa da nuove conoscenze tecnologiche e da mutate esigenze di gusto, sono così cambiati nel tempo da stravolgere i concetti classici della distillazione e quindi quell’atmosfera serena in cui tutti erano in grado di dissertare di teste, di code e di cuore.
La distillazione in pratica Per descrivere convenientemente lo svolgimento di un’operazione di distillazione, si supponga di avere un alambicco a fuoco diretto con elmo deflemmatore a vinacce emerse in grado di distillare 100 kg di vinacce per cotta. Le operazioni si svolgono nel seguente ordine: 
1. si collega il refrigerante alla tubazione dell’acqua e si riempie. 
2. Si introducono nella caldaia 50 litri di acqua potabile e si inserisce la griglia che sostiene le vinacce. 
3. Si carica la caldaia con le vinacce lasciando un vuoto di 5-10 cm tra queste ed il coperchio, evitando di comprimere le vinacce; durante la distillazione infatti il vapore potrebbe formare vie preferenziali escludendo strati di vinaccia dalla distillazione. 
4. Si chiude la caldaia con l’elmo deflemmatore, si allaccia il collettore che congiunge la caldaia al refrigerante e il tubicino che dal refrigerante porta l’acqua all’elmo deflemmatore. 
5. Si accende il fornello e si regola la fiamma in modo che sia vivace. 
6. Si attende che dal serpentino cominci a uscire il distillato. In quel momento si apre l’acqua del refrigerante e si fa arrivare un filo d’acqua sul coperchio deflemmatore in modo che la tela grossa si imbeva. L’acqua deve essere regolata in modo che la quantità erogata sia evaporata dal calore ceduto dai vapori idroalcolici, non deve traboccare e spandersi sulle pareti. 
7. Si elimina la prima frazione di distillato, 250-500 mL. 
8. Si abbassa leggermente la fiamma, la gradazione alcolica tenderà a salire. Se supera i 60° si chiude per breve tempo l’acqua del coperchio deflemmatore. Se la vinaccia è sana non occorre produrre acquavite con gradazione superiore ai 60°, questo protrarrebbe inutilmente i tempi di distillazione senza recare vantaggio alla qualità della grappa. 
9. A un certo punto l’alcolometro indicherà che la gradazione alcolica del distillato tende a scendere. Arrivati a 50° alcol si aumenta la deflemmazione inviando più acqua sul coperchio. Se, ciò nonostante, la gradazione alcolica tendesse ancora a scendere, si separerà la frazione di grappa ottenuta fino a ora: è questa la parte migliore, il cuore. 
10. Si continuerà la distillazione fino a quando il distillato segnerà 10-15°. La frazione raccolta fino a questo momento, da quando l’alcolometro è sceso sotto i 50°, rappresenta le code. 11. Si chiude l’acqua del refrigerante e si spegne il fuoco. 
Se le operazioni descritte sono state eseguite correttamente e se la vinaccia era relativamente umida e sana, si saranno raccolti circa 10 litri di distillato di cui 7-7,5 litri saranno costituti da buona grappa, la frazione di cuore, mentre 2,5-3 litri sono rappresentati dalle teste e dalle code. Riunite le code di una serie di cotte (le teste è meglio non distillarle mai), si potranno ridistillare in una cotta a parte (dopo averle diluite al 50% con acqua) e recuperare così l’alcol etilico che ancora contengono. La grappa che si ricava dalla ridistillazione delle code non è di prima scelta, ma se l’operazione è stata bene eseguita, è bevibile.

Luigi Odello

L’evoluzione dell’alambicco 
55 secoli di storia 
Ci sono voluti quasi 55 secoli affinché il vaso di coccio usato in Mesopotamia (1) diventasse l’alambicco di metallo da tutti noi conosciuto. Pur perfezionato, quello in uso in Egitto (2) nel II sec. a.C. non era ancora adatto a dare acqueviti. Occorre aspettare il Medioevo quando compare sulla scena il Pellicano (3). Però era di piccole dimensioni e quindi per aumentare le produzioni se ne mettevano molti sulla stessa fornace (4). Non da meno la condensazione dei vapori alcolici era precaria: ottima l’idea di allungare il becco del Pellicano facendogli attraversare una botte d’acqua (5). Successivamente ritorto (siamo nel XIV secolo) diventa la serpentina ancora in uso oggi. Sempre nella stessa epoca si migliora la condensazione dei vapori raffreddando il capitello (6), ma solo verso la fine del XVIII secolo si giunge all’alambicco con caldaia, duomo e serpentina, razionalizzato anche nella geometria (7). Esso si può considerare il capostipite da cui deriveranno quelli specifici per le differenti acqueviti.  

Il valore dell’alcol In tempi di opulenza alimentare come i nostri, il valore di un’acquavite non è dato dalla sua gradazione alcolica, bensì dal livello di piacere che è capace di donare. Ma un tempo le cose erano ben diverse e merceologicamente tutte le acqueviti erano innanzitutto valutate in base alla loro ricchezza alcolica. Fino alla fine del XVIII secolo questo fu un bel problema, perché l’alcolometro (1 e 2) non esisteva. Si ricorreva quindi a prove empiriche, tutt’altro che precise. Se l’alcol era la parte pregiata della bevanda è logico che anche il valore della materia prima era condizionato da quanto ne conteneva. Per il vino sorsero gli ebulliometri (3), per la vinaccia furono creati piccoli alambicchi capaci di estrarre l’alcol presente nelle bucce degli acini d’uva (4). Interessante notare come già nell’Ottocento si fosse giunti a perfezionare questi apparecchi di prova per ottenere un campione rappresentativo di quello che si sarebbe poi ottenuto in produzione per sottoporlo anche alla prova sensoriale.  

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