martedì 21 luglio 2020

I Maestri raccontano... Antonella Rossi, cucina di ricerca

I Maestri raccontano...
Antonella Rossi, cucina di ricerca


Antonella Rossi

La cuoca campana durante il lockdown ha messo a punto un cambio di rotta professionale diventando “private chef”. Con una passione che la caratterizza sin da bambina, è oggi una fonte d’ispirazione.

La bravura è una dote alimentata dal talento e quando quest’ultimo incontra l’esperienza si parla di professionismo. E quando il professionismo si fonde con la coerenza dei i propri valori si parla di Maestria. Antonella Rossi è una donna che ha saputo interpretare la ristorazione rimanendo una madre di famiglia e questo fa di lei un esempio per le nuove generazioni di ristoratrici e professioniste del settore. Le abbiamo rivolto alcune domande parlando del suo passato, del presente e del futuro.

La cucina è stata la tua quotidianità fin da bambina, vero?
Provengo da una famiglia di ristoratori. Mio padre, anche nei giorni di riposo, si dedicava ai suoi grandi amori che erano la famiglia e la cucina: non perdeva occasione per viziare ogni nostra richiesta, a costo di preparare per un pranzo tutti assieme un piatto cucinato in base alle nostre singole preferenze. A tutti gli effetti, pensandoci, era il nostro personal chef! Io quindi, toccata dall’amore che mio padre esprimeva dal cucinare per gli altri, a 13-14 anni ho cominciato ad avvicinarmi ai fornelli. Ho scoperto così da giovanissima il mio primo grande amore, ovvero quello per i dolci e la pasticceria, ancor prima di quello per la cucina.

Una volta che ti sei ritrovata in età adulta ristoratrice, come hai affrontato la combinazione dei ruoli che ti hanno portato ad essere chef patronne e madre, nonché moglie?
Ci tengo a specificare che la mia professione si è evoluta da autodidatta, quindi il percorso per unire esperienza e risultati è stato difficile: oltre a sacrificare le velleità femminili (perché la vita in cucina e l’Haccp esigono estremo rigore), sono diventata anche una “cuoca mamma”; coi bimbi le notti non erano mai tranquille e le ore di riposo dal lavoro erano sempre rivolte ad accudire la mia famiglia. Essendo stata inoltre la patronne del mio ristorante, in seguito agli impegni e responsabilità che il ruolo comportava, mi sono persa l’adolescenza dei miei figli come le partite di basket e i loro momenti di crescita personale; prima mi accusavano di essere assente, poi col tempo fortunatamente hanno capito che i miei sacrifici erano anche per il loro futuro. Questo mio sdoppiarmi fra la vita professionale e quella privata mi ha dato inoltre l’opportunità di far appassionare a questo mondo il mio figlio maggiore, il quale sta intraprendendo una carriera brillante e luminosa dopo aver lavorato in brigate molto importanti anche all’estero: pensa che quando era piccolo, quando c’era da mangiare un mandarino, prima di gustarselo se lo sbucciava e improvvisava un impiattamento artistico, la sua strada si intravedeva già in quei piccoli gesti!

A proposito di soddisfazioni, si può dire che nonostante le difficoltà hai avuto una vita professionale piena.
Potrei parlarti dei primi due premi dell’Accademia nazionale della cucina, o della medaglia Orio Vergani. Oppure di quando sono stata citata da Umberto Eco come suo ristorante preferito, o di quella volta che Jamie Oliver ha fatto una sua importante ricerca nel nostro ristorante, come anche dell’emozione provata per partecipare al libro di Gennaro Esposito. Ma più che questi traguardi, la vera soddisfazione e gioia è stato il percorso che mi ha portato a tutto questo.

Oggi hai scelto di fare la “private chef”, perché?
Era una decisione nell’aria già da tempo; dopo il Covid la ristorazione è cambiata e questo permette di sviluppare nuovi tipi di interpretazioni del servizio, al passo con le esigenze dei consumatori e del mercato: questa soluzione è quella che vedo più vantaggiosa, almeno per me.

Quali soddisfazioni ottieni da questo ruolo?
Le soddisfazioni si pesano sul fatto che ho più tempo per la famiglia (sono ritornata a godermi le colazioni coi miei figli) e per me stessa, pur non trascurando la qualità del mio lavoro, anzi. Riesco a seguire ancora meglio non solo il processo di trasformazione, ma soprattutto l’iter di acquisto e di selezione dei prodotti. Adoro andare al mercato, mi fa sentire viva come lo è la mia cucina.

Scavi di Ercolano - I Maestri raccontano... Antonella Rossi, cucina di ricerca
Scavi di Ercolano

Secondo te c’è la richiesta di questo tipo di servizio?
Il mercato è partito, ma c’è tanto da fare oggi perché il “private” come lo intendo io non è semplicemente una figura di “cuoco a domicilio”: il consumatore è sempre più consapevole e il fulcro di una figura come questa è sempre la ricerca, che include la comprensione delle nuove esigenze del cliente e contemporaneamente anche la sperimentazione di nuove tecniche e selezioni di prodotti, per non parlare del lavoro di coordinamento di una mini brigata che renda esperienziale il servizio.

Guardando al futuro, pensi che la ristorazione si stia evolvendo?
Certo! È un periodo di massima velocità evolutiva e lo si vede anche in cucina. Come stili, la cucina molecolare, il fusion e l’esotico vanno ancora forte, ma oggi la spunta ancora la tradizione: chi riesce a far incontrare le tendenze con le nostre radici è il vero interprete del momento; guarda ad esempio il tema della sandwicherie, che è una categoria che unisce richiesta di velocità (soprattutto nella pausa pranzo), tradizione e ricerca. Come il panino e lo street food, infatti, non esiste nulla che possa unire in un unico prodotto il passato, il presente e il futuro della nostra storia gastronomica. Vedo nuove figure professionali impegnate nella valorizzazione di questo concetto.

Interessante questa tua osservazione, cosa intendi per nuove figure?
Di questo non ne posso parlare al momento, quello che posso dire è che con la mia agenzia stiamo mettendo a norma una nuova figura professionale, sulla quale ci saranno anche dei master accreditati che ci permetteranno di formare le nuove generazioni di professionisti 2.0 nella ristorazione.

Ti faccio un’ultima domanda, so che vivi ad Ercolano sulle pendici del Vesuvio: raccontami un po’ il tuo territorio e i suoi valori enogastronomici.
Per quanto riguarda il vino, quando parli del nostro territorio pensi a Lacryma Christi, Caprettone o Falanghina. Pensando invece al food, raccontiamo il territorio con i profumi e i sapori della nostra albicocca e con il pomodorino del Piennolo (neanche a dirlo due ingredienti che si sposano benissimo con nuove tecniche di sandwicherie, ndr). La caprese poi è storicamente un piatto preparato con il pomodoro cuore di bue campano, ma provarla anche con i pomodorini del Piennolo è un’esperienza!

Mentre Antonella mi parla con forte trasporto di gusti e sapori, mi viene in mente la splendida degustazione di prodotti di Lune del Vesuvio terminata poco prima dell’intervista. Ora penso che gli straordinari pomodorini e i vini autoctoni mi hanno fatto immergere ancora di più nel mondo di Antonella all’ombra del Vesuvio. La cuoca, prima di essere una grande professionista, si è rivelata una persona dalla quale imparare come mettere a frutto i propri sacrifici per seguire una passione.

© Riproduzione riservata
di Fabio Di Pietro
F&B manager di 5-Hats
Fabio Di Pietro

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