Agosto. I tavoli si susseguono senza tregua, le prenotazioni si accavallano, e il tempo per respirare si misura in secondi tra un cliente e l'altro. Il “tutto esaurito” diventa un mantra, una bandiera sventolata da ristoratori e clienti. Eppure, dietro questa apparente festa collettiva, si nasconde una verità meno scintillante: il mese che dovrebbe celebrare l'eccellenza dell'accoglienza italiana è, troppo spesso, la sua caricatura più stanca.
Servizio a pieno ritmo, ma senza anima
Si lavora a ritmi forsennati, con squadre ridotte o improvvisate. I tempi si comprimono, le attese si allungano, e la qualità dell'esperienza - quella vera, fatta di attenzione, ascolto e relazione - si dissolve nel rumore di fondo di un servizio a tratti industriale. Il cliente, spesso vacanziero, ha fretta. Vuole mangiare “bene e in fretta”, magari per tornare in spiaggia o ripartire verso la prossima meta. E noi? Rincorriamo i numeri, i coperti, le recensioni-con il fiato corto e i sorrisi tirati.
L'ospitalità sacrificata sull'altare dell'efficienza
Il paradosso è evidente: proprio nel momento in cui potremmo (e dovremmo) mostrare al mondo il meglio della nostra ospitalità, scivoliamo nella routine del “basta che funzioni”. L'eccezionalità si sacrifica all'efficienza. Ma a che prezzo?
Non si tratta solo di qualità del servizio. Si tratta di cultura. L'idea che il successo di un locale si misuri sulla quantità e non sull'intensità dell'esperienza è figlia di una visione miope. È facile fare il pieno in agosto. È molto più difficile offrire, a ogni tavolo, un gesto che resti, un consiglio che racconti, un sorriso che accoglie davvero.
Accogliere anche sotto stress: etica del mestiere
La vera sfida è questa: far sì che anche nel picco del turismo, in pieno Ferragosto, l'accoglienza resti un atto autentico e non un automatismo. Per farlo, serve visione imprenditoriale, certo, ma anche un'etica del mestiere. Non basta far sedere il cliente: bisogna accompagnarlo. Anche quando l'aria condizionata fatica, anche quando lo staff è a metà, anche quando siamo stanchi. Perché l'agosto italiano è un palcoscenico. E in sala, come in teatro, il pubblico non ricorda tutto. Ma ricorda sempre come lo hai fatto sentire.
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