mercoledì 11 maggio 2016

CRESCE NEL MONDO LA VOGLIA DI ITALIA


Cresce nel mondo
la voglia di Italia

Dal rapporto di Fondazione Symbola,Unioncamere e Fondazione

           Edison risulta che il Bel Paese sa essere innovativo, versatile, creativo,                   reattivo, competitivo e vincente. 
Uno dei cinque stati al mondo che vanta  un surplus manifatturiero.
C‘è un’Italia di cui spesso non si ha consapevolezza e che fa cose di cui essere orgogliosi.
Il rapporto “I.T.A.L.I.A.– Geografie del nuovo made in Italy” di Fondazione
Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, nasce per raccontare questa parte del
Paese. Scorrendo le pagine del rapporto scopriamo che l’Italia sa essere innovativa,
versatile, creativa, reattiva, competitiva e vincente. Soprattutto sui mercati globali.
Tanto da esprimere, nonostante i sette anni di crisi, quasi mille prodotti con saldo
commerciale attivo da record. Un risultato di tutto riguardo, raggiunto grazie a una
scelta decisa sulla qualità. E in linea con il primato sul fronte dell’avanzo
commerciale: l’Italia è uno dei soli cinque paesi al mondo che vanta un surplus
manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. In compagnia di grandi potenze industriali
come Cina, Germania, Giappone e Corea. Una leadership che ci parla di qualità
crescente riconosciuta alla manifattura. Non a caso dall’introduzione dell’euro l’Italia
ha visto i valori medi unitari dei suoi prodotti salire del 39%, facendo meglio di Regno
Unito (36%) e Germania (23%).

Dati supportati anche dalle tendenze rilevate da un recente sondaggio Ipsos secondocui circa l’80% degli statunitensi e dei cinesi riconosce nel made in Italy un grandevalore. Sia all’estero che in Italia il Made in Italy è sinonimo di moda, artigianato,
arredamento, design e cibo, e soprattutto di bellezza e qualità.Due italiani su tre sono disposti a pagare un sovrapprezzo per avere prodotti 100%italiani. Grazie alla bellezza e alla qualità connaturata di questi prodotti, poi, l’Italiacontinua a produrre cose che piacciono al mondo e che sono sempre più desideratesui mercati globali. Come ci dicono i dati relativi alle ricerche su Google dei prodotti
Made in Italy, cresciute dal 2011 al 2014 di ben il 22%. Specie in Paesi come Giappone, Emirati Arabi, Usa, Russia e Brasile. Del resto aprirsi ai mercati globali sfruttando anche le possibilità offerte dalle nuove tecnologie è una risposta concreta,e già praticata da molte imprese, alla contrazione del mercato interno.
 È questo il Paese che emerge dal Rapporto che, 
senza nascondere le difficoltà del
mercato interno, misura la competitività del sistema 
produttivo italiano non con
parametri “tradizionali” come la quota di mercato 
detenuta sull’export mondiale, ma
con un nuovo indicatore capace di cogliere e leggere 
in modo assai più fedele e
puntuale quanto si muove nella economia del paese: la bilancia commerciale dei
singoli prodotti. Vuol dire che se pensiamo al mercato globale come a un’olimpiade,
ai prodotti come discipline sportive in cui vince chi ha un export di gran lunga
superiore all’import, l’Italia arriva a medaglia quasi mille volte. Fanno meglio solo
Cina, Germania e Stati Uniti.

Le eccellenze competitive italiane 
nel commercio con l’estero
L’Italia vanta un totale di 932 prodotti classificatisi primi, secondi o terzi al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero.
Più nel dettaglio, il Paese vanta 235 prodotti medaglia d’oro a livello mondiale per saldo commerciale, eccellenze che ci fanno guadagnare 56 miliardi di dollari. I prodotti che si classificano al secondo posto nel mondo per saldo commerciale sono invece 37 e fruttano 68 miliardi di dollari. Le medaglie di bronzo dell’export italiano sono invece 321 prodotti e valgono un saldo commerciale complessivo di 53 miliardi. Nell’insieme questi campioni dell’export fanno conquistare al Paese un surplus commerciale di 177
miliardi di dollari. E poi ci sono altri 500 prodotti in cui l’Italia si è   
classificata quarta o quinta per saldo commerciale mondiale e che hanno aggiunto alla 
bilancia commerciale altri 40 miliardi di dollari.
Industria, i settori competitivi 
e la forza dei distretti
Oltre ai numeri, sono significativi anche i settori 
che generano questo surplus. La
maggior parte delle eccellenze manifatturiere 
non proviene solo da settori
tradizionali, quali potrebbero essere il tessile o le calzature, ma arriva dalla
meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie del caldo e del freddo, dalle
macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, tubi e profilati cavi, dagli strumenti
per la navigazione aerea e spaziale. Ai quali si affianca il presidio di quei settori in cui
il made in Italy è forte per tradizione, come il design o il lusso.
Andando ad analizzare i 235 prodotti medaglia d’oro, emerge infatti che 25,6 dei 56
 miliardi di surplus generati dalle nostre eccellenze provengono da beni del settore
 dell’automazione meccanica, della gomma e della plastica; altri 18,4 miliardi si
devono ai beni dell’abbigliamento e della moda, 7,3 miliardi da beni alimentari e vini;
0,4 dai beni per la persona e la casa; mentre 4 miliardi derivano da altri prodotti, tra
cui quelli dell’industria della carta, del vetro e della chimica. Tra i prodotti secondi
posti per saldo commerciale hanno particolare rilevanza rubinetteria e valvolame, che
portano al Paese un bottino di 4,9 miliardi di dollari. Segue il settore di vini e
spumanti con 4,5 miliardi di dollari, i mobili in legno e parti di essi, lavori in ferro e
acciaio, i trattori agricoli, le piastrelle e ceramiche per l’arredo, le parti di turbine a
gas, macchine per riempire e imbottigliare ed etichettare, lavori in alluminio, parti di
macchine e apparecchi meccanici, barche e panfili da diporto.
Quanto alle medaglie di bronzo per saldo commerciale mondiale, vanno citati gli
oggetti di gioielleria, le parti e gli accessori per trattori e autoveicoli, piastrelle e lastra
da pavimentazione o rivestimento, macchine e apparecchi meccanici, prodotti di
materie plastiche, ingranaggi e ruote di frizione per macchine, pompe e compressori
per aria, divani, poltrone, freni e servofreni, ponti con differenziale per autoveicoli,
costruzioni di ghisa, ferro e acciaio.
Turismo, agroalimenatre 
... e sussidiarietà
Una menzione a sé merita anche il turismo: non avremo mai un ritratto fedele delle
performance del settore fino a quando verrà usato come indicatore il numero di arrivi.
Al contrario, guardando ai pernottamenti, a fronte della sofferenza del mercato
domestico, si evidenzia il primato italiano nell’Eurozona per pernottamenti di turisti
extra Ue. Nel 2013, infatti, con 56 milioni di notti all’attivo l’Italia si è classificata 
prima nella zona euro per numero complessivo di pernottamenti di turisti extra-Ue. 
Come dire che nel Vecchio Continente siamo la meta preferita di americani, giapponesi,
cinesi, australiani, canadesi, brasiliani, sudcoreani, turchi, ucraini e sudafricani. E il
contributo diretto del turismo al Pil nel 2014 è stato del 4,1%, per un valore di 66
miliardi di euro.
Agroalimentare, un settore vocato alla qualità, è un comparto in cui la vocazione alla
qualità è evidentissima. Non a caso l’Italia ha una capacità di creare valore aggiunto
pari a quasi 2000 euro per ettaro: più del doppio della media europea, il triplo del
Regno Unito (614€/ha), il doppio di Spagna (906€/ha), e Germania (994€/ha), e il
60% in più dei cugini francesi (1.226€/ha). Non solo, con 273 prodotti registrati tra
Dop, Igp e Stg, 523 tra vini a denominazione di origine controllata e garantita o a
indicazione geografica tipica e 4698 specialità tradizionali regionali, vantiamo il
primato prodotti registrati e siamo il primo paese dell’Ue per numero di imprese
biologici (44 mila). L’agricoltura italiana è tra le più sostenibili in Europa - emette il
35% di gas serra in meno della media Ue - e fra le più sicure, con una quota di
prodotti che presentano residui chimici inferiore di quasi 10 volte rispetto alla media
europea. È anche per questi motivi che l’agricoltura, nel 2014, riesce a confermare il
suo primato in Europa, insieme alla Francia, per valore aggiunto (31,6 miliardi di
euro).

Localismo e sussidiarietà: il Terzo Settore. Nella produzione ed erogazione di servizi il Paese non raggiungerebbe mai l’attuale grado di welfare se non potesse contare sul contributo della variegata galassia del terzo settore. Un altro dei primati tricolori: tra i
Big Ue, con il 9,7%, l’Italia è prima per quota di addetti del Terzo Settore sul totale dell’economia. E queste realtà muovono entrate per 64 miliardi di euro, equivalenti al 3,4% dell’economia nazionale. Una ricchezza che andrebbe affiancata anche con il risparmio e il benessere sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a
disposizione da 4,7 milioni di volontari. Numeri che ci parlano di un modello che coglie
quell’economia delle responsabilità, della sobrietà e della condivisione che si fa strada.
Innovazione e ambiente
L’Italia è quarta in Europa ed è uno degli otto Paesi Ocse ad avere una spesa in
ricerca e sviluppo superiore ai 20 miliardi di dollari. L’Eurostat ha evidenziato nelle
imprese italiane una spiccata propensione all’innovazione: con il 42% di imprese
innovatrici, l’Italia si colloca al di sopra della media Ue (pari al 36%), non ai livelli di
Germania e dei paesi del Baltico, ma meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. Il
nostro sistema produttivo, inoltre, ha incorporato la green economy come un fattore
competitivo: dall’inizio della crisi, oltre 340mila aziende (il 22% del totale) hanno
investito in questo senso, e nella manifattura arriviamo al 33%. Arriviamo così ai
vertici dell’Ue per eco-efficienza, con 104 tonnellate di CO2 ogni milione di euro
prodotto (la Germania ne immette in atmosfera 143, il Regno Unito 130) e 41 di rifiuti
(65 la Germania e il Regno Unito, 93 la Francia). Siamo, poi, campioni europei
nell’industria del riciclo: a fronte di un avvio a recupero industriale di 163 milioni di
tonnellate di rifiuti su scala europea, nel nostro Paese ne sono stati recuperati 24,1
milioni, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei (in Germania 22,4
milioni).
       Arte e cultura, un settore 
       strategico e trainante
Fanno parte del sistema produttivo culturale e creativo (tra industrie culturali propriamente dette, industrie creative - attività produttive ad alto valore creativo ma ulteriori rispetto alla creazione culturale in quanto tale - patrimonio storico artistico,
performing arts e arti visive) oltre 443mila imprese, il 7,3% del totale delle attività economiche nazionali. Danno lavoro a oltre 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati. Creano, direttamente, 78,6 miliardi di euro di valore aggiunto, che
arrivano ad 84 circa, equivalenti al 5,8% dell’economia nazionale, se includiamo
anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. E ne
attivano nel resto dell’economia altri 143. In tutto fa 227 miliardi: il 15,6% circa del
totale.
 Ardea Velikonja

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