lunedì 9 gennaio 2023

Italian Sounding

 Italian Sounding


Ci sarebbe quasi da sorridere di fronte alla gran fantasia sfoggiata da questa "pirateria" internazionale, se non si trattasse di un business che, secondo le stime diffuse da Assocamera estero, ammonta a ben 100 miliardi di euro a livello globale, mentre l'export da filiera autentica vale all'ltalia 43 miliardi di euro.

Dunque oggi la commercializzazione di beni "di tipo italiano” ha più che doppiato quella del Made in Italy autentico e due prodotti agroalimentari italiani su tre, venduti nel mondo, sono falsi.

Un trend in costante crescita, ben del 70% negli ultimi 10 anni, approfittando letteralmente del "buon nome" della tradizione italiana e degli 818 prodotti italiani certificati Dop e Igp. Insomma, "Italians do it better" e la richiesta è particolarmente forte sia sul mercato europeo (in prima linea Germania e Francia), ma anche negli Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.

Consecco o Cressecco per il Prosecco, Grappanger per la Grappa, e poi Salama Milano, Pennoni Rigate, Combozola (e non Gorgonzola Dop), Rikotta, Parmesan, Zottarella, Salsa Pomarola o Gino Tomato Paste che rimandano alla passata di pomodoro italiana... La bufala (è proprio il caso di dirlo) è quella dell'ltalian Sounding, ovvero di quel fenomeno per cui produttori con pochi scrupoli imitano il nome e l'aspetto dei prodotti tipici italiani.

Lo scopo? Sfruttare l'immagine della tradizione italiana, puntando sull'effetto di somiglianza apparente per ingannare i consumatori.

Peccato che, a parte il nome o l'etichetta simili, non abbiano nulla a che fare con la qualità del Belpaese. Difendersi dall "italian sounding" dunque, è prioritario: se consideriamo l'intera filiera, dalla-produzione alla ristorazione, in Italia l'agroalimentare vale 538 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil del Paese (in Europa, l'ltalia è seconda per incidenza del settore agroalimentare sul Pil, dopo la Spagna).

Sulla popolarità del Made in Italy nel mondo, però, è lievitata una vera e propria economia parallela, che sottrae significative quote di mercato alle aziende italiane (e limita l'incidenza dell'export sul fatturato nazionale), impotenti al cospetto di un fenomeno di concorrenza sleale tanto capillare. A farne le spese sono anche gli ignari acquirenti che all'estero si fanno ingolosire dalla presunzione di italianità di certe specialità che di italiano non hanno null'altro che una bandierina tricolore stampata sulla confezione, o un buffo nome di fantasia in lingua maccheronica, senza tener conto del fatto che spesso contengono ingredienti e lavorazioni scadenti, in barba ai principi della sicurezza alimentare.

Coldiretti stila periodicamente una classifica dei prodotti italiani più taroccati. ln testa c'è sempre il Parmigiano Reggiano, seguito dalla Mozzarella di bufala e dal Prosecco. Ma in top ten finiscono anche Gorgonzola, Asiago, Pecorino, e poi salame e prosciutto San Daniele. L'imitazione o la contraffazione riguarda il 97% dei sughi per pasta, il 94% delle conserve sottolio e sotto aceto, il 76% dei pomodori in scatola e il 15% dei formaggi. 

L'italian sounding si contrasta innanzitutto dichiarando illegali i prodotti che cercano di imitare le specialità tricolore. E questo è possibile stipulando accordi bilaterali tra l'Unione europea (cui fa capo l'ltalia per dirimere questioni di burocrazia internazionale) e i Paesi portatori di mercati strategici. Col Canada, per esempio, già esiste un trattato (il (eta) che tutela, tra gli altri, 160 prodotti italiani a marchio Dop e Igp; con gli Stati Uniti, invece, non è mai stato stipulato un accordo bilaterale. Ma il mercato più sfidante è quello cinese, che ha accolto da poco, dopo lunga trattativa, il certificato di una serie di aziende italiane.

Panorama Ediit


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