«Il lago mi ha incantato», dice Alessandro Rinaldi. «Qui le idee si aprono come la vista che ho davanti.» Dopo vent’anni passati tra Sicilia, Roma, Bologna e Milano, ha scelto di fermarsi a Como. Non per rallentare, ma per fare le cose con più precisione. Il Sottovoce, ristorante panoramico del Vista Lago di Como, diventa il suo nuovo centro operativo. «Avevo bisogno di rimettere a fuoco dove volevo andare. E questo posto, così raccolto e diretto, mi ha dato la risposta.»
Rinaldi e il Sottovoce: un progetto condiviso tra cucina e ospitalità
Il passaggio avviene dopo un periodo di osservazione. Rinaldi entra in contatto con Cristina Zucchi, General manager dell’hotel, e viene poi presentato alla famiglia Passera, proprietaria del gruppo. La proposta è quella di prendere in mano tutta l’offerta gastronomica della struttura. «Qui si accompagna davvero l’ospite. Non si cucina solo per il piatto della sera. E questa continuità per me è fondamentale.»

La scelta di restare è diventata anche una scelta di stile. «Essere italiani vuol dire questo: attenzione reale, gesti quotidiani, cucina pulita. Il lago ti obbliga alla precisione. E finalmente ho il tempo e il luogo per farla come si deve».
Un’infanzia in cucina tra conserve, ortaggi e pane fatto in casa
Alessandro Rinaldi nasce ad Avellino nel 1989, dentro una famiglia dove si fa tutto in casa. I mesi freddi sono dedicati ai salumi, una passione del padre. La madre cresce in una famiglia contadina, tra ortaggi, nocciole e castagne. «Ricordo bene da dove arrivava ciò che poi finiva in cucina. Vedevo il passaggio dal campo alla tavola. E guardavo mia madre e mia nonna mentre cucinavano.»

I primi giochi, da bambino, sono con la pasta secca. Le pentole diventano contenitori immaginari per un gesto che assomiglia già a un lavoro. «Sentivo di voler toccare le cose. Di capire il cibo partendo dalla materia.» Quel mondo resta presente in molte scelte quotidiane. Il lievito madre che usa ancora oggi arriva da quattro generazioni. L’idea di lavorare tutto direttamente, in brigata, trova lì la sua origine. «Per me essere cuoco significa fare le cose. Farle con le mani. Il pane, la pasta, il dessert. Al Sottovoce partiamo sempre dall’inizio.» Il legame con la famiglia continua, anche a distanza. «Forse proprio perché sto spesso lontano, quei ricordi diventano ancora più forti. E sono la spinta che mi accompagna ogni giorno in cucina.»
Dall’alberghiero ad Avellino fino a Identità Golose:
il percorso dello chef
Rinaldi entra in cucina a sedici anni. Lo fa attraverso l’alternanza scuola-lavoro, quando ancora frequenta l’alberghiero. Il primo a dargli fiducia è stato Mario Bello, chef-docente di Avellino, che lo forma sia dal punto di vista tecnico sia umano. «È stato il mio primo maestro. Non solo a scuola. Mi ha trasmesso le basi, mi ha fatto capire quanto fosse importante imparare a fare tutto con rispetto.»

Dopo il diploma decide di allontanarsi. Vuole conoscere altri territori, altri ingredienti. Sceglie la Sicilia. Al Therasia Resort resta due anni. È il primo vero salto. L’ambiente lo stimola, il paesaggio lo incuriosisce. Poi si sposta a Roma. Anche lì resta il tempo necessario per capire come lavora una brigata diversa. Ma è a Bologna che avviene un passaggio chiave. Al ristorante I Portici incontra Agostino Iacobucci. «Lui mi ha aperto una visione completamente nuova. Con lui ho scoperto un modo di cucinare che guardava ai dettagli. È lì che ho iniziato a pensare alla cucina gourmet come qualcosa che richiede cura totale, anche nella scelta di un solo ingrediente.»
Dopo Bologna arriva Milano. Rinaldi viene chiamato a gestire le cucine di Identità Golose. Un periodo intenso, fatto di rotazioni continue. «Ogni settimana arrivava uno chef diverso, da ogni parte del mondo. Ne ho visti ottantaquattro. Ottantaquattro cucine, ottantaquattro modi di trattare la materia. È stato come viaggiare stando fermo. Un’enorme occasione.» Quel periodo lo aiuta a definire cosa tenere e cosa lasciar perdere. Lo mette a contatto con prodotti sconosciuti, ma anche con gesti familiari portati da altri cuochi. «Sono stati anni pieni, anche faticosi. Ma mi hanno dato un bagaglio che ancora oggi uso, ogni giorno.»
Una cucina attiva tutto il giorno, dalla colazione al dessert serale
Al Sottovoce, l’intero ciclo della giornata passa dalle mani di Rinaldi. Dalla colazione al servizio in terrazza, dal room service fino al dolce lasciato in camera prima di dormire. «Qui accompagniamo l’ospite in ogni momento. Questo cambia tutto. Non siamo un ristorante d’albergo. Siamo un ristorante dentro un albergo, ma con un’identità piena.» Vista Lago di Como è una struttura raccolta, diciotto suite affacciate sulla piazza e sull’acqua. La scelta del gruppo è stata quella di affidare a Rinaldi tutto l’ambito gastronomico, senza compartimenti stagni.

«Quando mi hanno chiesto se volessi occuparmi anche della colazione, non ho avuto dubbi. Anzi, è stato un motivo in più per dire sì. Fare una crostata come si deve, accogliere un ospite con una fetta di torta fatta da noi, dà senso a tutto il resto. Il buongiorno è il primo gesto. Da lì parte la relazione.» Ogni preparazione, ogni dettaglio, è affidato alla brigata interna. Pane, grissini, pasta fresca, dolci: nulla arriva dall’esterno. «Fare le cose in casa è una forma di rispetto per chi viene da noi. Significa sapere cosa stai offrendo. Significa sapere da dove arriva.»
La giornata è lunga, ma la squadra è compatta. Rinaldi si potrebbe dire che vive all’interno della struttura, si muove tra i diversi spazi, segue i servizi, ascolta i clienti, controlla il pass e ragiona sul menu. Il lavoro si distribuisce, ma resta unito. «Chi viene qui cerca l’Italia, soprattutto nei gesti. E noi dobbiamo tenerlo presente. Anche un buongiorno detto bene fa la differenza.» L’idea di accoglienza è completa. Si riflette nel modo di apparecchiare, di spiegare un ingrediente, di servire un dolce. Il ristorante non è separato dal resto dell’esperienza. È dentro ogni momento. E per Rinaldi questo è il punto più interessante del progetto: «Abbiamo lo spazio per fare bene. E il tempo per farlo ogni giorno.»
Il menu cambia con le stagioni e attraversa tutta l’Italia
«Il mio menu è come il mio percorso: parte dalla Sicilia e risale verso il Nord, tocca tante regioni diverse. In base alla stagione, cambio ingredienti, piatti, anche il tipo di costruzione. D’estate, ad esempio, lavoro su freschezza, profumi e leggerezza. Ma non tolgo mai intensità. Un piatto deve essere vivo, non solo fresco.» La carta del Sottovoce prende forma intorno a prodotti che Rinaldi conosce e segue da anni, spesso in relazione diretta con chi li coltiva o li pesca. «Ho tanti piccoli fornitori sparsi per l’Italia. Mi scrivono, mi mandano messaggi, foto, aggiornamenti. In base a quello, decido cosa inserire. Le zucchine che uso oggi arrivano da un contadino siciliano che conosco dal periodo del Therasia. Le melanzane invece vengono da una zona collinare del Lazio, hanno una buccia sottile e una polpa che regge bene la cottura.» Tra le verdure estive, anche i pomodori, protagonisti di più di un piatto. «Uso tre o quattro varietà diverse, in base alla maturazione. Il datterino, il cuore di bue, il camone quando si riesce a trovarlo buono. Li lavoro con il passaverdure, come faceva mia madre. Ogni varietà dà una sfumatura diversa, quindi mi piace combinarli.»

La parte marina è altrettanto presente. «In questo momento sto lavorando con la ricciola, i calamari, qualche triglia. I crostacei li scelgo in base all’arrivo: gamberi rossi del Tirreno, scampi dell’Adriatico, quello che riesco a ricevere più integro.» I piatti non rispondono a un ordine fisso tra carne, pesce e verdura. L’equilibrio cambia in base al clima, alla disponibilità e all’intuizione. «A volte costruisco un piatto intorno a una sola erba. Altre volte parto da una salsa. Non ho uno schema. Seguo quello che sento che funziona in quel momento.»

Rinaldi dedica grande attenzione alla parte vegetale. «Oggi la verdura ha una forza nuova. Le persone la scelgono perché cercano sapori chiari, puliti. Non cercano leggerezza, cercano gusto. Per questo la tratto come tratto una ricciola o una sella di capriolo.» Con l’autunno torneranno anche le carni selvatiche. «Settembre, ottobre, novembre sono i mesi in cui mi piace lavorare con la selvaggina. Fagiano, lepre, cervo se riesco ad averne di buono».
Spaghetti al pomodoro e zuppetta di mare: i piatti “italiani” di Rinaldi
«Quando scrivo il menu, lascio sempre uno spazio che chiamo tra tradizione e classicismo. Lì inserisco due piatti a cui tengo molto. Uno è lo spaghetto al pomodoro, l’altro è il riso in cagnone con il pesce persico. Entrambi sono piatti che parlano un linguaggio diretto. Uno è legato al territorio in cui mi trovo, l’altro all’Italia intera.» Lo spaghetto al pomodoro Rinaldi lo costruisce in base alla stagione, variando le varietà di pomodoro e selezionando solo quelli freschi. «Faccio un fondo di aglio viola e basilico, aggiungo la passata e cuocio la pasta direttamente lì dentro. Lo spaghetto assorbe il pomodoro mentre si reidrata. Resta denso, avvolgente. Di un rosso pieno.» Il piatto richiama gesti antichi ma resta aperto alla condivisione più attuale. «Appena lo vedono in carta, molti ospiti lo ordinano per metterlo al centro del tavolo. Serve per rompere la distanza, per ricordarsi da dove si parte. È un piatto che mette d’accordo tutti.»

La zuppetta di mare nasce invece da una combinazione più elaborata. «Ho preso l’idea della zuppa classica, quella che si trova lungo tutta la costa italiana. Però ho tenuto separate le preparazioni. Il pesce lo servo crudo, tagliato e disposto sul fondo del piatto. Il brodo lo faccio con lische, gusci, croste di pane, erbe fresche. A parte cuocio dei tubetti rigati, quelli che mangiavo da piccolo con la pasta e ceci. Li tuffo nel brodo, li lascio cuocere bene, poi li verso sopra al pesce al momento del servizio.»

Il contrasto di temperature crea un passaggio graduale dalla cruda alla cotta. A completare, una schiuma leggera a base di acqua di vongole. «Ricorda la battigia quando il mare è agitato. Serve a dare un’idea visiva, ma anche a riportare profumi. Sopra grattugiamo una spugna croccante che facciamo con le lattughe di mare e il plancton. È un gesto che richiama la grattugiata del parmigiano, ma in chiave marina.»
«La cucina si giudica dal gusto»: l’essenzialità secondo Rinaldi
«La cucina si giudica dal gusto. Il piatto può essere anche bello, ma se non colpisce al palato, si dimentica in fretta. A me interessa l’emozione gustativa. Quella che senti subito». Rinaldi parte da un principio molto semplice: cucinare serve a far star bene le persone. Il resto viene dopo. «Si parla tanto di impiattamento, di tecniche, di costruzioni. Ma se manca il buono, manca tutto.» Condivisione, per Rinaldi, è un gesto che si costruisce con scelte precise. «Oggi si è tornati a stare a tavola in modo più aperto. Gli ospiti assaggiano dai piatti degli altri, si scambiano portate. Anche nel fine dining, finalmente, si è capito che la tavola non è uno spazio individuale.»
Vista Lago di Como invita a scoprire il territorio, non a restare chiusi dentro
Vista Lago di Como si trova nel centro della città, affacciato direttamente sul lungolago e sull’imbarcadero. A pochi metri da lì partono i battelli che collegano Como con Bellagio, Varenna, Tremezzo e tutte le altre città storiche del lago. Mentre molti hotel di lusso scelgono di trattenere gli ospiti dentro, Vista li accompagna verso l’esterno. Il progetto nasce per questo, per costruire un ponte tra la cura assoluta del dettaglio interno e l’esperienza del paesaggio circostante. Chi arriva qui non viene chiuso in un mondo a parte. Viene messo in condizione di attraversarne altri. E la figura che rende possibile tutto questo è quella dell’head concierge.

Alberto Ariasi lavora in hotel dal 2021, ma collabora con la struttura fin dal 2019. Oggi coordina un servizio che ha nel “su misura” il suo punto fermo. «Ogni ospite ha richieste, tempi e desideri diversi» dice, «e va accompagnato in modo diverso. Il nostro compito è far succedere tutto senza che se ne accorga.» Ariasi si muove con uno staff costruito per intercettare qualsiasi esigenza: itinerari in barca, escursioni private, cene riservate in luoghi non accessibili al pubblico, ingressi per eventi culturali. Ma anche dettagli minimi, piccoli gesti che spesso decidono il ricordo. «Controlliamo tutto più volte. Nulla viene lasciato in sospeso. La riuscita sta nelle ripetizioni, nelle conferme, nell’attenzione vera.»

Il Vista non vuole essere un universo a sé. Piuttosto una base sicura, elegante e compatta. E affida al concierge il ruolo più complesso: costruire l’incontro tra la misura dell’interno e l’ampiezza di ciò che sta fuori.
 
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