lunedì 13 settembre 2021

Avere un buon vino non basta, bisogna saperlo vendere. Il caso Campania

 

Avere un buon vino 

non basta, bisogna saperlo vendere. 

Il caso Campania

La regione presenta numeri importanti con Dop e Igp che non mancano. Assente, tuttavia, la capacità di valorizzare il prodotto, di venderlo al giusto prezzo, di aggiornarsi sui nuovi canali di vendita. E poi l'aspetto promozionale, di prodotto e territorio, che dovrebbe affidarsi con decisione a social ed enoturismo

di Vincenzo D’Antonio


Quante storie e quanti spunti di riflessione evoca lo scenario attuale del vino in Campania, quella Campania Felix che da sempre ha nella coltura della vite uno dei tratti distintivi della sua produzione agroalimentare. Spunti che sono stati stappati nel corso dell'edizione 2021 di Campania Stories.

 

I numeri del vino campano

Facciamo prima parlare i numeri. Forniamo dati salienti sulla base dei quali possiamo procedere a tratteggiare la situazione attuale ed individuare le prospettive di evoluzione. Come al solito, elogio del pressappoco: dati approssimati a beneficio di ergonomia di lettura e di memorizzazione, senza che ciò maculi la definizione attendibile dello scenario. La produzione vitivinicola campana si attesta su poco meno di 1,4 milioni di ettolitri, ovvero poco meno del 3% del totale nazionale. La superficie vitata regionale ammonta a circa 26mila ettari di vigneto, ovvero il 4% circa della superficie vitata nazionale. L’economia del vino ha un valore stimato di circa 72 milioni di euro, pari a poco più del 2% del valore nazionale.

 

Patrimonio poco sfruttato

Ed è su questi tre valori percentuali tra scenario campano e scenario nazionale, nel loro esprimersi con 3% (volumi), 4% (superficie vitata), 2% (valori) che ci si basa per una prima amara considerazione. Nonostante un’accorta resa per ettaro (4% della superficie e 3% dei volumi), che lascia intendere una lodevole propensione alla qualità dei vini, il valore è solo il 2%: quindi un prezzo a bottiglia (in sell-in) più basso della media nazionale.

Il peso delle denominazioni protette è considerevolmente basso: 254mila ettolitri Dop (19% circa del totale) e 118mila ettolitri Igp (9% circa del totale). Le Dop sono 19 e le Igp sono 10.

I vini bianchi con 640mila ettolitri costituiscono il 46% della produzione regionale; i vini rossi e rosati, con 735mila ettolitri ne costituiscono il 54%. Ne consegue pertanto che sia la definizione di Campania regione bianchista che, all’opposto, di Campania regione rossista, appare inesatta e fuorviante. Tre aree vitivinicole costituiscono l’80% circa della produzione vinicola: il Sannio (41%), l’Irpinia (28%), il Cilento (11%).

Cinque vitigni per segnare un territorio

Le cantine imbottigliatrici sono circa 450. Per snellezza espositiva, sapendo di fare torto a tanti vitigni cosiddetti minori, riconduciamo a cinque le varietà dei vitigni campani: due rossi (Aglianico, Piedirosso), tre bianchi (Falanghina, Fiano, Greco). Quale posizionamento per i vini fatti partendo da questi vitigni? Quale la loro qualità? Le meticolose degustazioni effettuate sia nella prestigiosa sede del Campus “Principe di Napoli” in quel di Agerola che nelle cantine visitate in diverse aree, evidenziano felicemente il lavoro almeno decennale svolto sia nel vigneto che in cantina. A dirla in successivo livello di dettaglio, riservandoci in tempi successivi di raccontare di alcune realtà specifiche, si nota un passo in avanti di Aglianico, specialmente in alcuni Taurasi, un passo in avanti di Fiano e Greco, uno stallo di Falanghina e, almeno due passi in avanti di Piedirosso. Italiaatavola

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