Vino e birra "zero alcol": un mercato
in grande crescita,
ma serve
una normativa Ue
Francia, Spagna e Germania guidano i consumi Ue, l’Italia rincorre. Pubblicato lo studio di Areté per la Commissione Ue sulle versioni a basso tasso o 0 alcol delle bevande alcoliche. Attenzione alla salute e nuovi stili di vita trainano le vendite della birra. Al vaglio una normativa comunitaria che faccia chiarezza, soprattutto per le etichette
Negli ultimi anni, il consumo di bevande zero and low-alcohol beverages (NoLo), dunque con con gradazione alcolica bassa o nulla, è cresciuto in modo significativo, sebbene rappresenti ancora una piccola quota di mercato. I NoLo possono rappresentare un utile strumento per migliorare la salute delle persone solo se il loro consumo implica una riduzione del consumo di alcol, ma sono molti i temi (dalla gestione del marketing all’etichettatura) che necessitano di particolare attenzione da parte dei principali portatori di interesse. Areté – azienda italiana specializzata nella valutazione di politiche per il settore agroalimentare – ha condotto per la Commissione UE uno studio, ora pubblico, sul mercato delle bevande “low/no alcohol”, che si posizionano come alternative a bassa (o nulla) gradazione alcolica delle bevande alcoliche classiche. Dalla più diffusa birra analcolica, al vino dealcolizzato, alle alternative che imitano gin e whiskey: il mercato mondiale è in evoluzione.
Un mercato emergente in Europa e nel mondo
Il mercato comunitario delle bevande low-no alcol è ancora di dimensioni ridotte ma in crescita ed è pari a circa 2,5 miliardi di litri e 7,5 miliardi di euro, in gran parte registrato dalla birra. La quota relativa al vino si attesta a 322 milioni di euro e quella degli spiriti - distillati e liquori senza alcol - a circa 168 milioni di euro.
Per quanto riguarda l'Italia il mercato delle bevande "low/no" viene stimato in circa 8 milioni di euro per l'anno 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Il vino parzialmente dealcolizzato ha un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, in Francia vale 166 milioni e in Germania 69 milioni.
Negli ultimi anni - secondo quanto emerso dall'analisi - è aumentata in molti Paesi al mondo l'offerta di bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l'esperienza di consumo di birra, vino e superalcoli per chi non può o non vuole bere la versione alcolica classica. Il mercato delle birre analcoliche o a bassa gradazione sarebbe già piuttosto consolidato nella maggior parte degli Stati Ue, quello degli altri prodotti "low/no alcohol" invece, solo agli inizi del suo sviluppo.
La birra: il prodotto più venduto
Tra i paesi dell'Unione che trainano il mercato vi sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato UE per i superalcolici e 91% del mercato UE dei vini aromatizzati “low/no”), mentre al di fuori dei confini dell'UE i mercati più vivaci sono soprattutto quello australiano e quello degli Stati Uniti, con un valore stimato rispettivamente di circa 2 miliardi e 1 miliardo di euro ciascuno. Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi. In Francia, ad esempio, il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro, mentre nel Regno Unito, primo mercato per le alternative “low/no alcohol” ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro.
Se in valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia di mercato, in genere contribuendo a meno dell’1% del rispettivo mercato di riferimento (anche qui, con l’eccezione della birra), è notevole la crescita rilevata negli ultimi anni per questa tipologia di prodotti (+18% CAGR a valore 2019-2021 per distillati e liquori “low/no”), in un quadro di generale stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche.
L'Italia? avanti piano
Lo scenario per quanto riguarda il Bel Paese, è un po' diverso, nonostante condivida con la Francia una spiccata tradizione ed economia legate ai vini, ma l. Bisogna sottolineare che in Italia il mercato delle alternative “low/no alcohol” sta muovendo i primi passi e pare meno sviluppato rispetto ad altri paesi, in cui è già piuttosto comune trovare vini dealcolizzati o alternative analcoliche al gin tra gli scaffali dei supermercati. Lo studio Areté stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande “low/no” alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al Vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. Se la cava un po’ meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente in rincorsa rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni).
I dati Euromonitor International analizzati da Areté per lo studio fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici “low/no”), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un grande potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (si pensi ad esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi) ed allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (quali la preferenza per prodotti più salutari).
Il punto di vista dei consumatori
L’esperienza e le aspettative dei consumatori sono state raccolte nello studio attraverso una indagine ad hoc effettuata su oltre 5.500 interviste in 15 paesi UE. Mentre la birra analcolica o a bassa gradazione è ormai familiare alla maggior parte dei consumatori, nei confronti delle versioni “low/no alcohol” di altri alcolici quali il vino o i distillati, lo scetticismo era prevalente fino a poco tempo fa, anche a causa della bassa qualità percepita di queste bevande. Questa iniziale diffidenza pare però aver stimolato gli investimenti da parte dei produttori verso un miglioramento della qualità organoletticatramite lo sviluppo di nuove tecniche produttive dirette ad aumentare la somiglianza di queste bevande alle controparti alcoliche. Di conseguenza, il 59% dei consumatori dell'UE dichiara attualmente un atteggiamento generalmente positivo, di curiosità, nei confronti di queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa.
Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l'aspetto più importante, nonché il principale obiettivo degli investimenti e della ricerca dei produttori. Una bassa qualità percepita e la marcata differenza di sapore rispetto alla corrispondente bevanda alcolica, sono citate come i fattori principali in grado di scoraggiare il consumo per il 25%-30% dei consumatori interpellati (in media). Gli under 35, in particolare, paiono più attenti a stili di vita sani e sono generalmente più inclini a provare prodotti nuovi (per esempio versioni “low/no” dei distillati o dei vini aromatizzati) discostandosi dalla tradizione, mentre tra i consumatori più adulti la birra analcolica/ a bassa gradazione è il prodotto che suscita maggior interesse.
La normativa
Uno degli aspetti critici, con impatti anche sugli andamenti di mercato, è la normativa. Ad oggi non esiste una definizione legale di "bevanda alcolica" nella legislazione alimentare dell'UE e il quadro normativo per i prodotti di questa categoria può variare in modo significativo da un Paese all’altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni alcohol free o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e di denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre (e commercializzare come tali) vini dealcolizzati è stata introdotta dalla più recente riforma PAC del 2021, ad oggi è vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore ma che hanno un tenore alcolico ridotto. Grande attenzione viene data nello studio proprio al tema dell’etichettatura, sul quale sarà necessario lavorare per garantire maggior chiarezza a consumatori e operatori, senza trascurare le istanze di chi vuole tutelare le produzioni tradizionali di bevande alcoliche, per le quali l’Europa è celebre in tutto il mondo.
Serve un quadro normativo chiaro
«Guardando all’UE nel suo complesso – spiega Enrica Gentile, project manager per il progetto UE - il mercato delle bevande “low/no alcohol” diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in grande evoluzione, ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e alcoli. In questo contesto, sono di grande importanza l’innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di consumatori e operatori».
Enrica GentileL’etichettatura di queste bevande pare essere lo snodo centrale della discussione, tema sul quale l’Unione Europea può avere diversi strumenti di intervento, ad esempio fornendo regole comuni per l’uso di locuzioni quali “analcolico” o “a bassa gradazione” nella comunicazione di prodotto e cercando (assieme ai diversi portatori di interessi) soluzioni efficaci per descrivere queste bevande. IAT
Nessun commento:
Posta un commento