Ancora ristoranti in mano all’‘ndrangheta. Anzi a dire il vero, un impero di ristoranti (da Roma al Portogallo) nel quale, per ripulirli, venivano anche confluiti i proventi dello spaccio di droga. Proprio a Roma la ‘ndrangheta aveva in gestione alcuni ristoranti sotto una società italiana (la “Caffè In srl”), governata da Domenico Giorgi, nato nella famigerata San Luca, marito di Maria Pelle, figlia di Antonio “Gambazza”, arrestato grazie all’operazione Eureka" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Caffè In srl controllava il ristorante “Antica Trattoria da Pallotta”, nel pieno della movida di Ponte Milvio (sotto sequestro), e nove società portoghesi con cinque ristoranti in Portogallo, i cui proventi confluivano in una cassa comune e vengono suddivisi tra i soci, anche occulti.
La ‘ndrangheta a Roma: come avveniva la spartizione dei soldi
Le indagini hanno consentito di «accertare l’operatività in Italia e Portogallo di un’associazione a delinquere, con base decisionale in San Luca e Benestare, finalizzata alla commissione di una serie di intestazioni fittizie di società operanti prevalentemente nel campo della ristorazione, di reati in materia tributaria e di operazioni di autoriciclaggio, reiterando le dinamiche criminali del cosiddetto “Gruppo di Erfurt’, costituitosi negli anni ’90, ad opera di un gruppo di soggetti calabresi, legati da vincoli di parentela alla famiglia Pelle “Gambazza”, trasferitisi in Germania».
Le intercettazioni captate nell’appartamento romano preso in affitto dalla Caffè In srl dimostrano - secondo il gip - che la fuoriuscita dalla srl «è stata del tutto fittizia, posto che (Giorgi) continua a sovraintendere qualunque operazione e ad assumere decisioni e disposizioni», servendosi del genero che con lui «gestisce il ristorante romano.
All’interno dell’appartamento vi è, infatti, una cassaforte ove vengono immesse ingenti somme in contanti riferibili al gruppo, sia portoghese che italiano, ai fini del conteggio e della ripartizione; somme frutto dei proventi “in nero”, distratti dalle attività di ristorazione italiane e portoghesi e del versamento di quote di partecipazione ad opera dei soci occulti». L’accusa è quella di aver «posto in essere una sistematica strategia fondata sull’evasione fiscale e sulla ripartizione occulta degli elementi attivi sottratti al fisco, atteso il significativo discostamento tra gli incassi effettivi e quelli formalmente dichiarati». Accogliendo le richieste del pm, viene pertanto disposto il sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale della società Caffè In srl e delle società portoghesi (oltre che di alcuni immobili) con conseguente nomina dei custodi-amministratori.
I pagamenti in nero al ristorante impediti dal Pos nei ristoranti della ‘ndrangheta
Ma nelle intercettazioni si racconta anche un’altra storia. Che riguarda il metodo utilizzato per pulire i proventi. Gli uomini del clan, intercettati dal Ros, contavano i soldi da dividersi. E anche il “nero” realizzato nel locale di Ponte Milvio e nei cinque ristoranti in Portogallo. Lamentandosi perché l’obbligo del Pos aveva arrecato danni notevoli: «C’abbiamo perso un milione di euro». Il gip: «I due si lamentano dei pagamenti effettuati tramite Pos, circostanza che limita notevolmente il margine di manovra per distrarre somme dagli incassi della società». È il 22 novembre del 2021, quando Francesco Giorgi e Francesco Nirta «offrono ulteriori elementi in ordine alle divisioni mensili tra i soci del contante proveniente sia dal circuito dei ristoranti portoghesi, sia dalla gestione del ristorante romano; i due ripercorrono le spartizioni dei mesi precedenti, fino a giungere a quella più recente del mese di ottobre, mensilità durante la quale i quattro membri del gruppo hanno percepito una quota pro capite pari a 16.135 euro». IaT
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