Nell'era delle app e delle interfacce vocali, sta prendendo piede una nuova forma di disagio, in particolare tra i più giovani (la cosiddetta Gen Z): l'ansia da prenotazione. Se per decenni l'ansia da prestazione ha dominato la società, oggi ci troviamo davanti a una sua evoluzione più insidiosa e quotidiana. Sempre più persone preferiscono delegare a strumenti tecnologici anche le interazioni più semplici, come, ad esempio, chiamare un ristorante per riservare un tavolo. Non è solo questione di comodità: il rifiuto diretto spaventa e, per evitarlo, si cercano rifugi digitali.
Prenotare un tavolo: un'impresa impossibile per la Gen Z?Vedi negli Stati Uniti, dove è nata un'app che offre la possibilità di prenotare utilizzando voci celebri - come quella di Leonardo DiCaprio - per fare da mediatore tra l'utente e un eventuale “mi spiace, siamo al completo”. Una trovata curiosa, certo, ma anche rivelatrice di una profonda insicurezza che caratterizza la Gen Z, immersa in una società sempre più veloce, esigente e alienante.
Perché i giovani hanno paura di chiamare al ristorante?
Per capire come siamo arrivati qui, bisogna fare un passo indietro e guardare alle trasformazioni degli ultimi decenni. Viviamo in un'epoca dominata dalla performance: tutto, dal lavoro alla vita privata, è misurato in termini di successo immediato. Il numero di like su Instagram, una recensione positiva su Google o l'immagine di un piatto perfettamente impiattato sono diventati indicatori di valore personale. I giovani, cresciuti in questo contesto di costante valutazione, hanno sviluppato una sensibilità estrema al rischio di fallire. La paura di sbagliare, anche nelle situazioni più banali, è diventata paralizzante. Così, anche un semplice “no” da parte di un ristorante può trasformarsi in fonte di frustrazione o insicurezza. Ed ecco che entrano in scena le app: strumenti che non solo semplificano il processo, ma lo schermano. Si può prenotare senza mai interagire con un altro essere umano e, soprattutto, senza doversi sentire rifiutati in prima persona.
Un tavolo per uno, con ansia di contorno
Un tempo, il ristorante era il simbolo della convivialità e del piacere condiviso. Oggi, invece, per molti giovani rappresenta un vero e proprio palco su cui costruire la propria immagine sociale. Scegliere un locale non significa solo decidere dove mangiare, ma dichiarare chi sei e come vuoi essere percepito. Un tavolo nel posto giusto, immortalato con la giusta angolazione per Instagram, può fare la differenza tra sentirsi inclusi o esclusi. Uno spostamento verso l'ossessione per l'immagine che ha un prezzo: molti ragazzi non sanno più gestire nemmeno le interazioni più basilari. Chiamare per prenotare un tavolo o parlare con un cameriere possono sembrare ostacoli insormontabili. Ecco perché spopolano soluzioni tecnologiche che promettono di “proteggere” l'utente da questi momenti di vulnerabilità.
La tecnologia: alleata o gabbia dei giovani?
Paradossalmente, le app nate per semplificare la vita finiscono spesso per alimentare l'insicurezza che dovrebbero combattere. Filtrando il contatto diretto con la realtà, limitano le occasioni per crescere, imparare dagli errori e sviluppare resilienza. La Gen Z, abituata a un mondo digitale fatto di algoritmi che suggeriscono cosa guardare, comprare o fare, fatica a uscire dalla propria zona di comfort. E il prezzo è alto: un'incapacità crescente di relazionarsi in modo autentico con gli altri e con l'imprevisto.
Non si tratta solo di prenotare un tavolo, ma di un'intera generazione che si rifugia dietro uno schermo per paura di affrontare anche i più piccoli rischi. Ogni interazione filtrata dalla tecnologia sembra rassicurante, ma lascia poco spazio alla spontaneità e alla vera crescita personale.
Ritrovare il contatto umano, anche a tavola
In risposta a questa dipendenza tecnologica, alcuni giovani stanno riscoprendo esperienze analogiche come un atto di ribellione. Polaroid, macchine da scrivere e persino telefoni fissi stanno tornando di moda, così come ristoranti che valorizzano il contatto umano e le esperienze semplici. Un cameriere che ti racconta il menu a voce, senza un QR code, può trasformarsi in un atto quasi terapeutico. Ma queste tendenze restano, per ora, una nicchia. Per molti l'idea di prenotare senza un'app o affrontare una conversazione non pre-scriptata è ancora fonte di ansia. La strada per superare questa dipendenza dalle tecnologie di mediazione passa attraverso una riscoperta della bellezza dell'errore, dell'imprevisto e della connessione diretta. Perché alla fine, anche un “mi dispiace, siamo al completo” è un'esperienza da cui si può imparare. E forse, un primo passo per ritrovare il piacere di stare al mondo. IAT
Nessun commento:
Posta un commento