IL VINO ITALIANO ALLA «SFIDA DEI TRENT’ANNI»
GLI ENOLOGI SARANNO DETERMINANTI PER VINCERLA
Da qui al 2043, quindi nei prossimi trent’anni, un miliardo di persone in più sulla Terra avrà la disponibilità economica per acquistare beni voluttuari. E tra questi anche il vino. La proiezione degli analisti rappresenta il punto di partenza di una corsa alla conquista del consumatore che coinvolgerà tutti i settori merceologici, in primo piano il vino italiano che, con l’export in costante crescita, è la locomotiva dell’agroalimentare. Il comparto vitivinicolo made in Italy è pronto alla «sfida dei trent’anni», con una formula vincente che lo collocherà ai vertici della competizione, non solo per numeri, ma anche in valore, tanto che il primato attualmente detenuto dalla Francia potrebbe essere uguagliato se non superato. E’ questo il messaggio che è arrivato dal 68° congresso di Assoenologi, conclusosi ad Alba, dove seicento esperti dell’associazione di categoria più antica e numerosa al mondo si sono confrontati su passato, presente e futuro.
La corsa alla conquista dei mercati attraverso la qualità parte proprio dal Piemonte, la regione italiana con il maggior numero di vini a denominazione d’origine (58 di cui 42 Doc e 16 Docg). «Proprio in Piemonte - ricorda Giuseppe Martelli - direttore generale di Assoenologi - la nostra associazione fu fondata nel 1891, ad Asti, per opera di Arturo Marescalchi. Oggi raggruppa e rappresenta 4 mila professionisti, ossia il 90 per cento dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati. Se il vino italiano ha raggiunto i risultati che tutti gli riconoscono nel mondo è perché il ruolo dell’enotecnico è diventato importante e indispensabile. Anche i più scettici si sono convinti che la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità, non sana i bilanci delle aziende e che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico alimentare, senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità».
«E il vino - ha detto Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi - è il miglior marcatore del territorio. Si fa soltanto sul posto a differenza di altri prodotti. Ma bisogna essere consapevoli che la cantina non è più solo una poesia, dobbiamo uscire dal guscio, individuare quali mercati sono più adatti ai nostri vini e percorrere quelle strade».
Il settore vitivinicolo guarda oltre il profilo delle colline, ma con i piedi ben saldi nel vigneto. Non a caso il tema del 68° Congresso era «Cinquant’anni di Doc: il territorio, il vino, l’enologo». Un intreccio fra tradizione e innovazione. Questa è stata la formula vincente, raccontata anche da alcuni protagonisti, come Angelo Gaja, Angelo Maci e il marchese Piero Antinori: italiani che, ciascuno con le proprie peculiarità e diversità, hanno scritto e stanno scrivendo gloriose pagine nella storia delle viticoltura italiana.
Guardare al trentennio che verrà significa anche misurarsi con altre sfide, prime fra tutte quelle legate al clima e all’ambiente. Le condizioni ambientali anche in Italia stanno mutando con oscillazioni improvvise, tali da stravolgere antiche e consolidate certezze di coltivazione. Al congresso sono state illustrate le esperienze di una viticoltura estrema, quella che ogni giorno deve fare i conti con zone desertiche, prive d’acqua oppure precipitate negli intensi rigori invernali. Bob Bertheau (Columbia Valley), Alberto Antonini (Mendoza, Argentina), Len Knoetze e Heinè Janse van Rensburg (Belville, Sudafrica), hanno raccontato come, grazie alla tecnologia, si può vincere e addomesticare le condizioni estreme di viticoltura. «Un modo per trasformare le criticità in opportunità - dice ancora Martelli - e un’esperienza che può tornare molto utile anche in Italia».
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