mercoledì 11 marzo 2015

CONVERTÌTI AL BIO: DAI MARCHI STORICI AI GRANDI GRUPPI,

CONVERTÌTI AL BIO: DAI MARCHI STORICI 
AI GRANDI GRUPPI, DALLE PICCOLE REALTÀ 
ALLE GRIFFE PIÙ FAMOSE, CRESCONO IN ITALIA 
I VITICOLTORI CHE PASSANO “DALLA PARTE” 
DEL VINO BIOLOGICO

I numeri del biologico in Italia e case history di grandi marchi e piccole aziende.
A Verona seconda edizione di Vinitalybio, il salone specializzato sui vini certificati, organizzato in collaborazione con Federbio. Quando si parla di vino biologico, sia in Italia che nel resto del mondo, ci si riferisce ad una realtà ormai consolidata. Non a caso, dati e numeri della viticoltura biologica nel Belpaese sono in costante aumento, con sempre più aziende che puntano sul bio, verso cui a crescere è prima di tutto l’attenzione e la richiesta da parte dei consumatori.
Ad analizzare le più importanti case history delle cantine italiane, dai marchi storici ai grandi gruppi, dalle piccole realtà alle griffe più famose che si sono “convertite” al biologico è un’indagine realizzata da Vinitaly. Ai vini certificati, la rassegna internazionale di riferimento del mondo del vino, in programma a Verona dal 22 al 25 marzo (www.vinitaly.com), dedica dal 2014 uno specifico salone, denominato Vinitalybio, ospitato nel padiglione 11 e realizzato in collaborazione con Federbio.
Ma perché le aziende passano “dalla parte” del bio? C’è più di un motivo: dal cercare di attrarre i wine lover, alla volontà di diversificare la produzione, dall’attenzione per l’ambiente, al desiderio di sperimentare. Quale che sia la motivazione, però, è un dato di fatto che l’Italia è il primo Paese europeo per numero di produttori biologici, e tra i dieci maggiori al mondo.
Con oltre 45.000 aziende vitivinicole biologiche(circa il 17% del totale europeo), l’Italia è leader in Europa per il settore, seguita dalla Spagna (12% dell’Ue) e dalla Polonia (10%; fonte: ultimi dati disponibili al 31 dicembre 2013 di “Bio in cifre 2014” del Sinab-Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica su dati Ministero delle Politiche Agricole e Organismi di controllo). Nel mondo la superficie coltivata supera 1,3 milioni di ettari (+12,8% sul 2012), per un giro d’affari attorno ai 3 miliardi di euro, di cui oltre 1 miliardo all’export, con l’Italia che ha conquistato la leadership in Europa (con un peso sul fatturato bio europeo dell’8%, e su quello mondiale del 4%; dati Fibl-Ifoam).



Per quanto riguarda la superficie coltivata a vite in Italia, sono oltre 44.000 gli ettari di superficie vitata biologica in Italia, ma con più di 23.700 ettari di superficie “in conversione”, per un totale che supera i 67.900 ettari, il 18,5% in più sul 2012. La superficie viticola convertita al bio ha dunque una dinamica positiva, in controtendenza con le superfici totali viticole che nel 2013 si sono attestate a 646.000 ettari contro i 655.000 dell’anno prima. Alla luce di questo assume ancor più valore la crescita delle superfici bio del settore, che arrivano a un’incidenza sul totale dell’11%, con in testa la Sicilia per numero di ettari vitati, seguita da Puglia e Toscana. In produzione si è arrivati nel 2013 a sfiorare il valore potenziale di 5 milioni di quintali di uva da vino, equivamente a circa 3,5 milioni di litri, con un peso di oltre il 7% sulla produzione nazionale complessiva.
Sono molte le cantine italiane che rientrano in questo trend, che abbraccia praticamente tutti i territori del vino italiano. Si va dai marchi storici come Marchesi de’ Frescobaldi, con 700 anni di storia alle spalle, che sta adeguando la sua produzione al vino biologico, a partire da Castelgiocondo, la tenuta del Brunello di Montalcino, a grandi e celebri realtà del vino italiano come Tenute Lunelli del Gruppo Lunelli (Ferrari), che ha intrapreso la totale conversione al biologico, a partire dalla Toscana: Tenuta Podernuovo è stata la prima realtà del Gruppo, nel 2012, ad ottenere la certificazione biologica, seguita dalla Tenuta umbra di Castelbuono (2014), mentre i vigneti trentini sono iscritti al registro della certificazione biologica dal febbraio 2014.
Restando in Trentino, se Foradori è la case history di un’azienda di famiglia che, nella sua evoluzione, ha abbracciato anche il biodinamico, La-Vis e Cavit rappresentano la produzione bio dei grandi colossi della cooperazione enoica. In Alto Adige accanto ad esempi conosciuti come Tenute Loacker, a produrre vini bio è anche la celebre Cantina Termeno. In Franciacorta a produrre vino bio da tempi non sospetti è Barone Pizzini e in Piemonte nel terroir del Gavi La Raia ha sposato da tempo la filosofia bio. Tornando tra i vigneti del Brunello, a Montalcino ha investito sul biologico la griffe Allegrini, con la cantina San Polo, mentre Col D’Orcia ha iniziato dal 2010 la sua conversione al biologico. Ma in Toscana ci sono molti esempi, da Tua Rita in Maremma ad importanti realtà del Nobile di Montepulciano, come Salcheto, biologica e biodinamica oltre che completamente off-grid ed energeticamente autosufficiente, e la storica Avignonesi, con i suoi oltre 100 ettari vitati, riconvertita interamente a biodinamico.

Nel Chianti Classico vi sono case history come Badia a Coltibuono e Fontodi, Fèlsina e Lamole di Lamole del Gruppo Santa Margherita che dal 2017 potrà fregiarsi della certificazione biologica. Passando per il Gruppo Collemassari, a regime biologico nelle sue tenute Collemassari (Montecucco), Grattamacco (Bolgheri) e Poggio di Sotto (Brunello).
In Veneto, Speri in Valpolicella applica i dettami dell’agricoltura sostenibile da anni e, a partire dalla vendemmia 2015, dopo la fase di conversione, otterrà la certificazione biologica, così come antesignana del biologico e del biodinamico è la Fasoli Gino. Sempre in Veneto, ci sono molte case history da Gini nel Soave a Viticoltori Ponte, da Paladin che nell’azienda Bosco del Merlo, produce esclusivamente vini biologici, ad Astoria e Cantina Valpolicella Negrar. E ancora, si va dalla linea bio di Cantine Riunite & Civ, tra le più grandi realtà del vino italiano, a San Patrignano, la più importante comunità di recupero dalla tossicodipendenza, che produce vino biologico in Emilia Romagna, così come la Cleto Chiarli. In Umbria agricoltura biologica è oggi la parola d’ordine di un marchio storico come Lungarotti. Nelle Marche, Umani Ronchi ha scelto di differenziare la propria gamma di prodotti puntando sul biologico, mentre Cantine Belisario da anni produce, da due vigneti dedicati, un vino certificato biologico: il “Vigneti Belisario”.
Scendendo in Abruzzo, accanto ad Emidio Pepe, Cantina Tollo è tra i maggiori produttori italiani di vini bio. In Campania da oltre 15 anni, Feudi di San Gregorio ha avviato un iter che ha portato la cantina ad avere quasi 50 ettari a vigneto biologico, così come risale a diversi anni or sono la conversione della Fattoria La Rivolta. In Basilicata, Cantine del Notaio produce vini da agricoltura biologica già dalla fine degli anni ’90. In Puglia, il progetto biologico di Polvanera è improntato alla valorizzazione del Primitivo e di altri vitigni autoctoni allevati in coltivazione biologica, così come la tenuta di Bocca di Lupo di Tormaresca (Antinori), con ben 130 ettari di vigneti condotti tutti in regime biologico. La Sicilia biologica va da piccole ma conosciute realtà come Occhipinti e Graci sull’Etna, passando per Centopassi di Libera Terra che produce vini e prodotti bio nei terreni confiscati alla mafia, ad aziende più grandi come Firriato o Cos, che segue anche i principi della viticoltura biodinamica.

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