giovedì 21 maggio 2015

GLI CHEF RISCOPRONO LA SELVAGGINA

Carne di selvaggina 

riscoperta da chef 

e da nutrizionisti

L’attività di caccia per il controllo faunistico diventa opportunità per la creazione di una filiera
della cacciagione per ristorazione e consumatori. È questo l’obiettivo del progetto di cui è capofila l’Emilia-Romagna, presentato questa mattina a Veronafiere nella giornata conclusiva della 26ª edizione di Eurocarne, il salone internazionale dedicato al comparto delle carni.

Il presupposto è che l’attività venatoria, gestita come strumento di gestione del territorio, oggi è imprescindibile, come spiega Maria Luisa Zanni, responsabile pianificazione faunistica dell’Emilia-Romagna: «Dagli anni ’50 in Italia gli animali selvatici hanno iniziato a ri-colonizzare l’ecosistema e, se da un lato questo è positivo per la ricchezza della biodiversità, dall’altro può causare problemi alle colture agricole. Nel solo 2014, la Regione ha stanziato quasi 300mila euro di risarcimenti agli agricoltori per i danni causati dagli ungulati».

In mancanza di predatori naturali, serve un programma di “prelievo tecnico” per riportare la densità ottimale di animali allo stato brado, compatibile con l’ambito territoriale. Nel 2014, in Emilia-Romagna, ciò si è tradotto in circa 40mila abbattimenti autorizzati su una popolazione di 100mila caprioli, almeno 80mila cinghiali, 7mila cervi e 6mila daini.

Come non sprecare, quindi, e valorizzare la carne di questa selvaggina? La risposta arriva dalla Macelleria Zivieri di Monzuno (Bologna) che ha sviluppato una serie di collaborazioni con la Provincia e la Auls di Bologna e l’Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese per la realizzazione di una filiera dedicata alle carni degli ungulati selvatici. «L’idea – racconta Aldo Zivieriè quella di mettere a disposizione di ristoranti e privati una carne cresciuta, macellata e lavorata esclusivamente sull’Appennino Bolognese, certificata ed autorizzata alla vendita secondo le direttive comunitarie, sia come prodotto fresco, stagionato o insaccato».

Oggi la selvaggina rappresenta un prodotto normalmente estraneo ai gusti e alla cucina moderna e si ritrova principalmente in sughi e insaccati, nonostante sia una carne dagli aspetti nutrizionali eccellenti e completamente naturale. Il cinghiale, ad esempio, ha un perfetto rapporto tra grassi saturi e polinsaturi e tra Omega 3 e Omega 6. Ristoratori e consumatori stanno riscoprendo piatti come carpacci, roast beef e tartare di selvaggina.

Preparazioni a volte molto raffinate quali alcune ricette consigliate da Zivieri: ravioli di ossobuco di cervo, melograno, rosmarino e salsa di cottura, oppure il polpettone di selvaggina in salsa di uva, fichi e cipolla di Medicina, o ancora la battuta di coltello di cervo, sale di Cervia, finocchio selvatico di Badolo e olio di Brisighella.

Il progetto di filiera della selvaggina dell’Appennino Bolognese dedica particolare attenzione alla sicurezza alimentare, trattandosi di un tipo di carne che andrebbe consumata poco cotta, o anche cruda. «Per questo – fa sapere Roberto Barbani, dirigente dell’Auls di Bologna è necessario un preciso controllo sanitario e il rispetto di una serie di buone pratiche che iniziano nei momenti successivi all’abbattimento dell’animale. Per avere carni microbiologicamente sicure servono, infatti, centri di raccolta, conservazione e lavorazione a norma, oltre ad una corretta formazione del personale che parte dal ruolo dei cacciatori autorizzati».

Fonte: Servizio Stampa Eurocarne-Veronafiere

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