Il caffè
(al singolare)
non esiste!
Noi italiani siamo proprio strani. Sappiamo di avere in casa il più ricco e sbalorditivo catalogo di vini e piatti tipici di tutta la galassia, ma su alcune cose arriviamo molto in ritardo rispetto agli altri.
Ci abbiamo messo secoli a valorizzare una bevanda straordinaria come la birra, iniziando a produrla artigianalmente in decine di microbirrifici italiani oggi apprezzati in tutto il mondo: quando riusciremo a farlo anche con il caffè? Sulla Terra ne esistono molteplici varietà, ma sembra che gli unici criteri che sappiamo utilizzare per scegliere un caffè siano lungo/ristretto, espresso/americano e, per i più estroversi, macchiato/corretto!Diciamo di adorare tutti il caffè (e le cifre lo confermano), ma ne conosciamo solamente una percentuale minuscola: di fatto, siamo troppo pigri e disinformati come consumatori e, in veste di ristoratori, timorosi o inconcepibilmente abitudinari. La complessità chimica del vero Arabica ha saputo donare al caffè un numero sorprendente di caratteristiche organolettiche influenzabili dal clima, dal terreno, dall’acqua, dall’altitudine, dal sole e dal tempo.
Il Jamaica Blue Mountain, ad esempio, deve il suo nome alla catena montuosa più lunga della Giamaica, l’isola dove viene coltivato rigorosamente ad un’altitudine compresa tra i mille e i 2mila metri. Il suo straordinario periodo di maturazione di 10 mesi gli permette di essere un caffè delicatissimo e privo di amarezza, particolarmente apprezzato dai giapponesi. L’Hacienda La Esmeralda, invece, si coltiva a Panama ed è tanto raro (viene venduto all’asta) quanto meravigliosamente complesso, con note di gelsomino e di frutti come albicocca o pesca. L’Etiopia Sidamo, un’eccellenza dell’Africa, è quasi imbarazzante per la sua fantastica ricchezza aromatica, che porta al palato note di miele, fiori, spezie, frutta secca e cacao.
Questi sono solo tre esempi di monorigini di alto livello che possono cambiare totalmente il ruolo e il valore di un caffè espresso: la lista è ben più lunga e in Italia c’è già chi sta lottando per emergere qualitativamente in un mercato ancora troppo standardizzato, conservatore e saturo di mediocrità. E attenzione: “qualità” non è un mero sinonimo di “sfarzo alimentare”, ma va a braccetto con un’idea di commercio equo e solidale (fair trade) che consente ai produttori locali di caffè dei Paesi in via di sviluppo di ricevere un compenso giusto e rispettoso, ben lontano dalle politiche di sfruttamento praticate dai grandi marchi industriali.
di Cristiano Canali
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