Prima della pandemia il turismo islamico valeva circa 220 miliardi di dollari a livello globale grazie a una massa di 158 milioni di turisti che si sono messi in viaggio (nel 2000 erano "solo" 25 milioni). Numeri che potrebbero crescere seguendo la curva demografica e il reddito in aumento per le popolazioni dei Paesi islamici. Tanto che nel 2026 si prevede che il valore dei loro spostamenti toccherà quota 300 miliardi di dollari. Purtroppo, però, la fetta italiana di questa torta rischia di essere davvero esigua. A certificarlo, una ricerca del team di lavoro del dipartimento di Management dell'Università di Torino che ha messo a confronto 120 imprese italiane del food&beverage, 60 con certificazioni Halal e 60 senza per capire quale sia il potenziale della connessione fra cibo, spiritualità e turismo.
La certificazione Halal fa la differenza
Ma cosa significa Halal? In arabo la parola significa letteralmente “lecito” e indica qualsiasi cosa sia permessa in materie di comportamento, linguaggio, abbigliamento e ovviamente alimentazione (settore che ha fatto registrare, nel 2019, un valore pari a 1,4 miliardi di dollari nei soli Paesi del Golfo). Non di rado, infatti, capita di vedere sulle insegne di molti ristoranti islamici questa scritta. Il riferimento è, sostanzialmente, al tipo di carne utilizzata nelle preparazioni e alla metodologia di macellazione. Nonostante le differenze a livello regionale, la generale certificazione Halal - spesso rilasciata da un soggetto terzo specializzato nei controlli - rappresenta uno standard di qualità per la popolazione mussulmana. La ricerca, guidata da Paolo Biancone e Silvana Secinaro, ha fatto emergere che, in un contesto in cui l'offerta gastronomica è sempre più una leva che spinge le persone a viaggiare e raggiungere il Belpaese, le aziende in possesso della certificazione Halal sono riuscite a conquistarsi un vantaggio sui potenziali clienti islamici grazie a una maggiore attenzione ambientale e sociale che ha stimolato l'adozione di policy più trasparenti sulla gestione dei dati economici.
Adeguarsi ai canoni Halal per il turismo rappresenta una sfida culturale per l'accoglienza italianaItalia ancora indietro sull'offerta gastronomica: «È una sfida culturale»
Peccato che in questa nicchia di mercato la capacità competitiva dell'Italia sia al di sotto delle sue possibilità al punto che il nostro Paese non compare nemmeno fra le prime dieci destinazioni internazionali del Global Muslim Travel Index: «Per l’Italia l’accoglienza Halal è prima di tutto una sfida culturale e di comprensione delle sue grandi opportunità, soprattutto nel periodo di rilancio post-Covid», ha spiegato Biancone.
Come fare quindi a intercettare questo trend? Il dipartimento di Management ha messo a punto un decalogo che tutti i ristoranti possono adottare per i propri menu. Ciò non significa servire «cibo “etnico”, non solo perché i Paesi di provenienza dei turisti musulmani sono i più disparati e con tradizioni culinarie diverse, ma soprattutto perché il turista viene in Italia per vivere un’esperienza con il cibo italiano, rinomato nel mondo. Dunque, bisogna proporre una cucina italiana adeguata ai canoni islamici».Paolo Biancone
Un passo in avanti per tutta l'accoglienza
Dal piatto all'accoglienza Halal il passo è breve. «Un Paese come il nostro, ricco di luoghi e monumenti che raccontano secoli di incontro e fusione fra la cultura occidentale e quella musulmana, dovrebbe essere tra le prime mete del turismo Halal. Invece manca un approccio complessivo in grado di creare una estesa rete di accoglienza che tenga conto delle peculiarità di un turismo che ha sì esigenze particolari, ma che è di norma alto spendente e qualificato», ha spiegato Biancone. Su questi temi si concentrerà il Tief - Turin Islamic Economic Forum, unico forum di finanza islamica nel mondo organizzato da un ente locale che, in partnership con Camera di commercio, Università e un ente di ricerca ha l'obiettivo di favorire iniziative ed eventi legati a questo settore. Prossimo evento il 13-15 ottobre. «Per l’occasione abbiamo messo a punto un decalogo che può essere d’aiuto per guidare il cambiamento che include anche: assenza di alcolici nei minibar, Corano nelle camere, indicazione delle sale preghiera più vicine, presenza di linee di cosmesi senza alcol o derivati, personale che parla arabo. Ma tutto ciò deve essere fatto in maniera sistemica, attivando reti ricettive che comprendano tour operator, hotel, ristoranti e anche le linee aeree che servono l’Italia», hanno commentato gli estensori dello studio.
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