Saline di Sicciole
il clima nemico
Quantità e qualità sono in simbiosi con l’andamento della situazione meteo e dei cambiamenti
climatici, mentre un altro problema serio è l’innalzamento del livello del mare... La troppa
pioggia caduta a giugno ha provocato ritardi nella raccolta del sale
Con un mese di ritardo, diverse incognite e il timore di assistere a una delle annate più magre dei tempi recenti. Non possono essere soddisfatti gli addetti alla raccolta dell’“oro bianco” nei bacini di Lera nelle Saline di Sicciole. Oltre a una serie di cause contingenti, hanno inciso sui risultati i cambiamenti climatici che si sono evidenziati nel corso di giugno, un mese più freddo e piovoso rispetto a quanto si era abituati negli ultimi anni, con caldi anche a livelli estremi, vanificando le buone aspettative di inizio stagione, quando tra aprile e maggio le condizioni meteo lasciavano ben sperare. Poi, invece di tanto sole e vento, è arrivata
abbondante pioggia. Klavdij Godnič, responsabile della struttura piranese, ha dichiarato
all’agenzia di stampa slovena Sta che la raccolta ha dovuto attendere, accorciando, di
conseguenza, la stagione. Per quanto riguarda la quantità di sale prodotto “molto dipenderà
dal meteo di fine di luglio e agosto”. Godnič ha puntualizzato che anche in passato la
produzione non era stata sufficiente, e a coprire i danni ci aveva pensato non lo Stato – che
non ha fornito gli aiuti attesi –, ma o fondi europei, sui quali le Saline di Sicciole hanno
potuto contare e che hanno permesso di costruire delle protezioni contro l’acqua alta,
responsabile della devastazione dei campi nel 2010.
Godnič ha messo in risalto l’importanza dei cambiamenti climatici, fattore da non
sottovalutare e da tenere sembre in considerazione per gli effetti che possono avere sulla
produzione. Ma non è l’unico problema a cui devono far fronte. C’è da considerare, infatti,
che il livello del mare è in costante aumento per effetto dello scioglimento dei ghiacci, che
incide anche sulla salinità delle acque. In quanto al livello del mare, questo è particolarmente
evidente negli ultimi sessant’anni, quando le maree sono diventate sempre più alte. D’altra
parte, i fenomeni meteo come le precipitazioni aumentano d’intensità e frequenza, con una
quantità di precipitazioni superiore alla media dei decenni precedenti. Poiché le saline sono un
sistema chiuso, entrambe i fenomeni contribuiscono al flusso al loro interno di una quantità
sempre più importante di acqua dolce, che danneggia la flora e la fauna locali e accorcia la
stagione di produzione del sale.
E a giugno il tempo instabile e le precipitazioni hanno portato fino a 22 centimetri di acqua
dolce nei singoli bacini saliferi, precisa Dario Sau, responsabile della produzione. Finora sono
state prodotte da 350 a 400 tonnellate di sale, un decimo della resa media. Una stagione
considerata mediamente buona porta alla raccolta di 2.500 a 2.700 tonnellate di sale. Lo
scorso anno i salinai sono riusciti a raccogliere solo 1300 tonnellate di sale e 15 tonnellate di
fior di sale.
Nelle Saline di Sicciole e in quelle di Strugnano producono diversi tipi di sale: il “primo sale”,
quello tradizionale e quello di Pirano, che si differenziano tra loro per il periodo di raccolta,
per la concentrazione della salamoia all’atto della cristallizzazione e con ciò per il contenuto
di cloruro di sodio e di altri minerali. Il “fior di sale”, o “afioreto”, affiora sulla superficie
dell’acqua madre, o salamoia, ed è formato da cristalli che compongono la caratteristica
struttura piramidale volta verso il basso che crea una sottile e fragile crosta. Il fior di sale può
cristallizzarsi in tutta l’area di cristallizzazione, ma quello di qualità superiore si forma nelle
zone in cui l’acqua madre presenta una maggiore concentrazione di sale. La colorazione
dell’afioreto va dal bianco al rosa pallido. Minori sono le dimensioni dei cristalli che lo
formano, maggiore è la sua qualità. Si differenzia dagli altri tipi di sale per la sua sofficità e
finezza. Il fior di sale può essere sminuzzato tra le dita.
Oggi il ruolo economico delle saline è subordinato a quello della tutela dell’ambiente e a
quello culturale, poiché il sale raccolto rappresenta una leccornia per palati esigenti, e inoltre
la conservazione delle consuetudini dei salinai sostiene la consapevolezza dell’esistenza del
patrimonio culturale. Le saline forniscono asilo a rare o particolari specie animali e vegetali e
costituiscono al contempo per l’uomo una riserva ambientale preziosa e il ricordo di un ricco
patrimonio culturale ambientale mediterraneo, che purtroppo si sta lentamente estinguendo.
Il sale viene prodotto nei campi saliferi, che comprendono le vasche d’evaporazione e quelle
di cristallizzazione. L’acqua di mare convoglia dalle vasche d’evaporazione a quelle di
cristallizzazione in caduta libera o con l’ausilio di pompe, che a Fontanigge venivano azionate
dal vento, mentre a Lera gli austriaci introdussero un secolo fa il procedimento di
convogliamento supportato da pompe a motore. I bacini di cristallizzazione rappresentano
circa un quinto di tutte le vasche esistenti, e in essi si forma definitivamente il sale, dopo che
l’acqua di mare vi viene convogliata attraverso le vasche d’evaporazione. I salinai coltivano
nei fondi di cristallizzazione la “petola”, che è uno strato di alcuni millimetri, composto da
alghe, sadra e minerali, che impedisce il contatto tra il sale ed il fango. A Sicciole si utilizzano
metodi e attrezzi tradizionali, come i “gaveri”, rastrelli di legno utilizzati per ammucchiare il
sale, per poi immagazzinato in appositi magazzini. Carriole di legno con la ruota a rullo, ai
piedi zoccoli a pianta larga (“tanperini” o “taperini”), per non sprofondare nel sale, i “gaveri”
e i cucchiaioni, che servivano per la pulitura e lo spurgo delle vasche, erano gli strumenti dei
circa duemila braccianti che le Saline vedevano impegnati nei mesi estivi durante la raccolta.
Situate nella valle del fiume Dragogna, la prima citazione delle Saline di Sicciole – che erano
note fin dai tempi degli antichi romani – risale al 1139. Da allora e fino alla fine degli anni
’60 del XX secolo sono state sempre attive, fornendo il sale ai monopoli della Serenissima,
dell’Impero austro-ungarico e poi anche dell’Italia e della Jugoslavia. La superficie totale
ammonta a circa 850 ettari, compresi fra i canali di San Bortolo (Lera) e Sant’Odorico
(Libadore), detto anche “Fontanigge”. Il Fiume Grande, che in realtà è il Dragogna, e il
Canale di Mezzo completano le canalizzazioni, ora in parte interrate. La denominazione di
“Fontanigge” designava tutto il comprensorio delle saline (Valle Salifera), accanto alle quali
esisteva, anche una miniera, dalla quale si estraeva carbone.
La zona di Lera è caratterizzata da habitat animali e vegetali delimitati dalla diversa salinità
dei campi saliferi, dai canali e dagli argini delle saline. La zona di Fontanigge, invece, si
distingue per una maggiore varietà di habitat, quali canneti, praterie salate, vasche asciutte
brulle o parzialmente ricoperte da vegetazione, isolette nelle vasche allagate, zone paludose e
tipologie diverse di habitat lungo le sponde. Anche i ruderi delle case dei salinai sono invitanti
per alcune specie. La zona di Fontanigge è delimitata da schiere di arbusti e da prati secchi e
umidi di origine carsica, mentre gli argini marini ad ovest sono lambiti dal mare, la cui
profondita è esigua. Sul terreno salato delle saline crescono numerose piante alofite, che
sopportano o addirittura necessitano di una marcata concentrazione salina. Queste piante si
trovano sovente alla foce dei fiumi e dei torrenti e nelle saline.
Nella zona di Lera le alofite sono presenti soprattutto lungo i margini dei campi saliferi e nei
canali, mentre di rado i campi saliferi vengono ricoperti da agglomerati di salicornia. Nella
zona di Lera, botanicamente più interessante, crescono invece vere e proprie praterie di
alofite, tra le quali prevale la salicornia fruticosa, con presenze importanti di atriplice
portulacoide e di limonio. I margini delle vecchie vasche e i canali sono ricoperti dal
santonego, varietà di assenzio. Accanto ai canali, si trovano singoli cespugli di salicornia
fruticosa e suaeda marittima, mentre le sponde dei canali sono ricoperte dall’inula marina. Le
alofite dispongono di regola di foglie e fusto legnosi, poiché soffrono la siccità essendo
l’acqua dolce non raggiungibile. La pianta alofita più attraente è il limonio, dai minuscoli fiori
viola e dalle ghiandole simili a lacrime sulle foglie. Si tratta di una pianta erbacea perenne
della famiglia delle Plumbaginaceae ed è volgarmente conosciuta anche come statice, limonio
o fiore di carta e comprende molteplici varietà.
Nelle Saline di Sicciole è stata registrata la presenza di 272 specie avicole. L’area rappresenta
una distesa acquea di cospicua entità, che gli uccelli migratori utilizzano come area di sosta o
come luogo per svernare. Quando in Istria, e anche nel resto del Mediterraneo, s’iniziarono a
restringere le superfici di questo genere a causa dell’urbanizzazione, le saline acquisirono
l’importanza odierna quali siti ornitologici. Un ruolo preponderante in questo processo lo ha
ricoperto l’abbandono della produzione del sale nel settore meridionale delle saline, senza
però rinunciare alla manutenzione degli argini e alla regolazione del livello dell’acqua, che ha
permesso di instaurare habitat diversi. Un apporto è stato fornito anche dalla forza della
natura, che ha formato un insieme di ambienti simili, ma sufficientemente diversi tra loro, nei
quali si sono insediati uccelli dalle differenti abitudini alimentari e di nidificazione. L’acqua
marina, che s’insinua profondamente nella terraferma lungo i canali, apporta molto
nutrimento, che può essere consumato dagli uccelli nell’acqua bassa delle vasche salifere
abbandonate.
Nonostante la loro importanza, gli uccelli non sono gli unici abitanti delle saline, nei cui
habitat vivono numerosi animali minori, sulla terraferma e nell’acqua, molti dei quali sono
presenti in Slovenia unicamente in questo sito. Passeggiando nel Parco naturale osserviamo
cigni reali, esemplari di oca lombardella e oca selvatica, germano reale, mestolone, gli
smerghi minori e la volpoca. È ricca anche la presenza sulla terraferma tra ape nana,
dimorphopterus, volpe, topo selvatico, acrida ungarica mediterranea, vespa scavatrice, vespa
vasaio, cicala aracnidiforme, lucertola campestre, lepri, salda, ape minatrice, caprioli e biacco
(un serpente non velenoso frequente nelle campagne e nei giardini, sia in terreni rocciosi,
secchi e soleggiati, sia in luoghi più umidi come le praterie e le rive dei fiumi o zone
paludose).
Le Saline di Sicciole oggi fanno parte di un affascinante Parco Naturale, che comprende il
Museo delle Saline, un comprensorio, di rara bellezza: consta di due antiche case di salinari,
restaurate e contenenti una collezione di attrezzi ed arredi di uso quotidiano. Negli adiacenti
bacini di evaporazione e di cristallizzazione del sale, durante i mesi estivi i visitatori possono
assistere alla produzione e alla raccolta del sale. Nell’ambito della Convenzione di Ramsar
(ufficialmente Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale), dal 1971 sono
protette dall’Unesco, perché le specie che ospitano sono a rischio estinzione, lo stesso
ambiente è esposto al degrado ecologico e meritevole di attenta conservazione. L’obiettivo è
ora riuscire a inserire le Saline di Sicciole e il parco naturale nella lista dei siti a tutela
Unesco. Attualmente a Sicciole si lavora in 26 bacini saliferi, dei 55 totali presenti. Gli altri
sono inattivi perché non ci sono i mezzi necessari per procedere con gli interventi di
ripristino. PANORAMA EDIT
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