sabato 16 agosto 2014

SULL’ABUSO DELL’ALCOL: EDUCARE O REPRIMERE?



SULL’ABUSO DELL’ALCOL
EDUCARE O REPRIMERE?

Sull’argomento “Vino, benessere e salute” e abuso delle bevande alcoliche sono corsi ultimamente
fiumi di inchiostro; ecco qui anche l’intervento del presidente del Censis, sullo stesso tema realizzato durante  una tavola rotonda svoltasi sul tema.
Le norme di recente assunte anche in Italia con la cosiddetta patente a punti in materia di consumo di bevande alcoliche e controllo della circolazione stradale, sembrano orientare anche da noi le scelte pubbliche verso politiche più severe e dirigiste dei comportamenti privati.  Ma i dati e le analisi disponibili in materia, propongono la necessità di valutazioni (e perciò di strategie) meglio fondate e perciò più mirate. In primo luogo il consumo totale di alcool continua da oltre trent’anni a scendere in Italia ormai sotto ai livelli di guardia. Più in particolare, nei vent’anni, tra il 1981 e il 2002, i consumi pro capite, hanno avuto questo andamento: Vino -42%,  birra + 60%,  superalcolici -61% , alcool equivalente -40%.

In valori assoluti il consumo pro-capite di vino è ormai sotto i 50 litri anno e l’alcool equivalente totale intorno ai 6 litri, cioè al livello di guardia secondo gli indici della OMS.
Questa tendenza differenzia Italia, Francia, e Spagna paesi da molti altri  paesi d’Europa e del Nuovo Mondo (Regno Unito, Irlanda, Benelux, Danimarca, Stati Uniti, Canada, Australia) dove i consumi pro-capite di vino sono cresciuti, solo negli ultimi anni, tra il 10% e il 100%!
La spiegazione sta in due opposti modelli di consumo: da una parte le cosiddette “società bagnate” (quelle cioè con stili di comportamento di tipo mediterraneo), dove alcool significa prevalentemente vino, come pratica quasi quotidiana, durante i pasti, o fuori casa durante “riti” di socializzazione allegra e collettiva; dall’altro le cosiddette “società asciutte”, quelle cioè del centro e nord Europa e del Nuovo Mondo, dove alcool significa prevalentemente birra e superalcolici e la pratica non è quotidiana e durante il pasto, ma del fine settimana, in solitaria ricerca di “spinte evasive”. Il paradosso non sta tanto in questi due diversi modelli, quanto piuttosto nel fatto che, mentre nelle società “bagnate”, a fronte di una legislazione repressiva pressoché assente i consumi di alcolici diminuiscono rapidamente, nelle società “asciutte”, a fronte di legislazioni anche molto severe, i consumi continuano a crescere. 
Sembra dunque necessario spostare il fuoco dell’attenzione dall’apparenza dei consumi ai fondamentali dei comportamenti. Le stragi del sabato sera, che sono state molto imputate all’alcool come droga d’accesso (binge drinking), sembrano da attribuire piuttosto alla categoria della crescente voglia di trasgressione oltre il limite dello sballo, che ha ben altre cause sociali nella nostra contemporaneità, e ben altre “chimiche” di condotta.
A riguardo dei consumi del vino, dovrebbero semmai preoccupare, non tanto i danni da abuso del consumo, quanto piuttosto quelli da eccesso di concessioni alle tendenze di moda (citazioni, rappresentazioni di sé, imitazioni, ecc.), cioè sempre più banale edonismo e sempre meno ricerca di significato in una buona cultura del salutismo e del leisure di qualità. 

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