Un futuro
più «leggero»
con la pillola
dell’esercizio
Uno studio americano indica che un farmaco in grado di
inibire la miostatina,
una proteina che limita la crescita muscolare, potrebbe
migliorare la salute cardiovascolare di chi soffre di obesità e non può perdere
peso con dieta e attività fisica
Per una persona obesa dimagrire è una
questione di salute. Ma questo non lo rende più facile. Anzi, spesso proprio i
pazienti che ne avrebbero più bisogno non possono utilizzare la migliore
terapia disponibile: l’esercizio fisico. Un’attività controindicata in presenza
di disturbi cardiovascolari, problemi articolari e altre patologie che possono
accompagnare l’obesità.
Come uscire dall’impasse? Un gruppo di ricercatori del
Vascular Biology Center della Augusta University sta lavorando a una soluzione:
una terapia che garantisca i benefici di salute dell’attività fisica anche a
chi non può farne. Una “pillola dell’esercizio” quindi, per cui hanno già
identificato un possibile bersaglio: la miostatina, una proteina che ha la
funzione di limitare la crescita dei muscoli scheletrici. Il loro lavoro è
ancora nelle fasi iniziali di sviluppo, ma ha già dato i primi risultati
incoraggianti, che sono stati presentati a Chicago durante il congresso
Exprerimental Biology 2017.
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La
miostatina
La scelta di questa sostanza non è casuale. La miostatina
infatti non è solamente un potente inibitore della crescita muscolare, ma è
anche prodotta in quantità anomala nell’organismo delle persone obese. E per
questo, gli obesi hanno maggiori difficoltà a mettere su massa muscolare e
trarre giovamento dall’esercizio fisico. “Considerando che l’esercizio è una
delle terapie più efficaci contro l’obesità – sottolinea il coordinatore dello
studio Joshua Butcher – questo produce un circolo vizioso, che intrappola i
pazienti nella loro obesità”. Cosa succederebbe però se fosse possibile
“spegnere” la produzione di miostatina?
Lo
studio
Per scoprirlo i ricercatori hanno ideato un esperimento,
sfruttando un ceppo di topi predisposti a diventare obesi da un
malfunzionamento dei recettori per la leptina, il cosiddetto ormone della
sazietà. In alcuni degli animali hanno disattivato a livello genetico la
produzione di miostatina, per poi monitorare, una volta cresciuti fino all’età
adulta, il loro peso e una serie di parametri collegati a rischio
cardiovascolare e disturbi renali. I risultati sono quindi stati messi a
confronto con quelli di topi obesi con livelli normali di miostatina
nell’organismo, e con quelli di roditori magri. Ed è a questo punto che
l’esperimento si è fatto interessante: i topi privi di miostatina sono infatti
diventati obesi, ma sul piano della salute (renale e cardiovascolare) i loro
esami sono risultati uguali a quelli dei topi normopeso. In quelli che
presentavano livelli normali della proteina, invece, sono emersi i tipici segni
di rischio cardiovascolare e renale che accompagnano l’obesità.
I risultati sono senz’altro interessanti, anche se il
possibile ruolo terapeutico degli inibitori della miostatina si studia ormai da
tempo. La vera novità è che l’assenza di questa sostanza nello studio ha mostrato
degli effetti benefici anche prima di indurre il dimagrimento: se pur obesi i
topi privi di miostatina hanno meno rischi cardiovascolari e renali. E questo
apre le porte a un possibile utilizzo su pazienti che non possono praticare
attività fisica a causa di problemi articolari o altre patologie concomitanti.
Il
farmaco del futuro
Un utilizzo, però, che appare ancora estremamente
lontano: oggi non esistono farmaci in commercio in grado di inibire la
produzione di miostatina e i risultati su topi, se pur interessanti, si possono
trasferire solo fino a un certo punto sull’uomo. La ricerca di una pillola
contro l’obesità comunque è in pieno svolgimento: con oltre due miliardi tra
obesi e sovrappeso nel mondo, d’altronde, una cura realmente efficace e priva
di effetti collaterali si rivelerebbe un’autentica miniera d’oro. In attesa
della sua scoperta però, a parte dieta, esercizio e chirurgia, di terapie ce ne
sono ben poche. I farmaci disponibili sono cinque in America e solamente due in
Europa, e sulla loro efficacia non c’è grande ottimismo tra gli esperti. Per
ora l’unica vera terapia è la chirurgia, non a caso molte linee di ricerca di
farmaci contro l’obesità puntano proprio a riprodurre gli effetti ormonali
della chirurgia bariatrica.
L’efficacia degli interventi chirurgici non è legata
infatti solamente alla riduzione di volume dello stomaco. Quello che si è
scoperto, quasi per caso, è che l’intervento modifica l’azione degli ormoni che
segnalano al cervello quando è il momento di mangiare, e quello che si prova a
fare oggi è riprodurre questo effetto utilizzando dei farmaci. Si tratta di
ricerche in corso e che potrebbero dare risultati già nei prossimi 5-10 anni.
D’altronde il vero problema è che oggi per chi non può sottoporsi
all’intervento chirurgico non ci sono terapie realmente efficaci. In questo
senso l’approccio suggerito dallo studio sulla miostatina potrebbe rivelarsi
particolarmente interessante: una pillola che diminuisce il rischio
cardiovascolare e aumenta la massa muscolare sarebbe preziosa per gli obesi di
livello intermedio, che potrebbero avere più facilità a praticare attività
fisica, e per gli anziani che insieme all’obesità presentano anche sarcopenia,
cioè una riduzione netta della massa magra.
Speriamo bene, sarebbe un valido aiuto per la salute di
tutte quelle persone che realmente per ulteriori complicanze fisiche non
riescono a perdere peso.
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