venerdì 26 luglio 2019

un Family tree di 13 milioni di individui


un Family tree

di 13 milioni 
di individui
Ricostruito il più grande albero genealogico digitale dell’umanità. Europei e americani imparentati tra loro, distribuiti su 11 generazioni dai nostri giorni fino a 500 anni fa. La mappa è stata realizzata sfruttando i dati dei social media disponibili: 86 milioni di profili pubblicati dal sito Geni.com. Fotografa tutte le migrazioni e i matrimoni, nonché il legame fra genetica e longevità, che non è così forte


 La vita di milioni di persone tracciata in un mega albero genealogico che racconta interi pezzi di storia dell’umanità. È stato realizzato da un gruppo di ricercatori statunitensi, che ha analizzato i profili pubblici di milioni di utenti registrati su una piattaforma dedicata, ricostruendone le linee familiari attraverso varie generazioni. Il set di dati ottenuto dagli scienziati fornisce informazioni su matrimoni, migrazioni, rapporto fra legame genetico e longevità delle famiglie dell’America settentrionale per un periodo che va dai nostri giorni fino a ben 500 anni fa.

I ricercatori hanno scaricato i dati dei profili di 86 milioni di persone, per l’85% cittadini europei e dell’America del Nord, registrati su Geni.com, uno dei più vasti network online al mondo sulla genealogia, ed hanno applicato algoritmi basati sulla teoria dei grafi, oggetti matematici formati da un insieme di punti, proprio come avviene nell’albero genealogico. Lo studio è stato possibile grazie ai dati pubblici condivisi da appassionati di genealogia, come sottolineano i ricercatori.

   Power to the people

I ricercatori hanno delineato così il singolo albero familiare più esteso al mondo, che conta ben 13 milioni di persone – un numero leggermente maggiore della popolazione di Cuba o del Belgio – distribuite su 11 generazioni. Ma è ancora poco, secondo i ricercatori, dato che per arrivare al primo antenato si dovrebbe andare indietro di altre 65 generazioni. Insomma, ancora non siamo risaliti all’uomo preistorico, anche se questo studio fornisce un primo pilastro digitale per la genealogia: infatti, per la prima volta non ci si è basati sui dati provenienti dagli archivi ecclesiastici o dei registri dei decessi.

Per dissolvere i timori che gli utenti di Geni.com non riflettano alla perfezione la realtà, i ricercatori hanno ottenuto ogni certificato di morte rilasciato dal 1985 al 2000 nello stato del Vermont, che ha una politica aperta al riguardo, per un totale di quasi 80 mila. Documenti che sono stati poi utilizzati per un confronto con i dati ricavati da Geni.com relativi alle principali caratteristiche socio-economiche degli abitanti dello Stato in questione: la concordanza era quasi perfetta.

Per gli scienziati il set di dati costruito rappresenta una pietra miliare che trasporta le ricerche sulla storia familiare dai necrologi dei giornali e gli archivi delle chiese all’era digitale, rendendo possibili indagini a livello di popolazione. “È emozionante – commenta la demografa Melinda Mills (Oxford University), non coinvolta nello studio –. Questo dimostra come milioni di persone normali e appassionate di genealogia possono fare la differenza per la scienza. E allora, ‘power to the people’”.

Siamo tutti collegati


“La ricostruzione della genealogia mostra che siamo tutti collegati gli uni agli altri”, ha detto Peter Visscher, un genetista alla University of Queensland, che non ha preso parte allo studio. “Questo elemento è noto a partire dai principi storici delle popolazioni primordiali, ma ciò che gli autori hanno ottenuto è davvero notevole”. E la tecnologia non ha sbagliato, riproducendo dati conformi a quelli analogici: se i risultati sono stati poi validati confrontando un ampio sotto-campione con alcuni registri dello stato del Vermont.

I dati più interessanti riguardano l’andamento delle migrazioni e i matrimoni durante le generazioni, negli scorsi secoli. Ad esempio, a migrare e cambiare paese sono più spesso le donne rispetto agli uomini, anche se gli spostamenti avvengono a distanza ridotta e i paesi di destinazione sono spesso vicini, a differenza di quelli che riguardano il sesso maschile. Anche i matrimoni sono cambiati: prima del 1750, la sposa veniva scelta in media entro i 10 chilometri di distanza dal luogo di nascita, mentre 200 anni dopo, nel 1950, i chilometri sono diventati 100. Prima del 1850, inoltre, prima di sposarsi non si faceva tanto caso al grado di parentela, ad esempio era molto frequente che il matrimonio avvenisse fra cugini di quarto grado, mentre oggi – sempre tenendo conto del fatto che siamo tutti imparentati – avviene fra cugini di settimo grado. Evitare di sposarsi fra parenti è un elemento degli ultimi secoli, dovuto probabilmente al cambiamento delle regole sociali.

Genetica e longevità

A partire dalla vasta quantità di dati disponibili, i ricercatori hanno potuto anche approfondire il legame fra genetica e la longevità. A partire da un sotto-campione di 3 milioni di individui, tramite algoritmi, gli autori hanno comparato la durata della loro vita col loro grado di parentela, gli autori dello studio hanno sviluppato un modello che ha consentito di capire qual è l’impatto dei geni sulla durata della vita. In base ai risultati, i geni sembrano contribuire per il 16% alla variazione della longevità, almeno stando ai dati analizzati. Inoltre, i geni in questione si esprimono in maniera indipendente l’uno dall’altro, senza interagire fra loro: ciò significa che, invece che unirsi, ciascun gene può modificare l’azione di un altro situato in un locus diverso dello stesso cromosoma.

Questo fenomeno, chiamato epistasi, viene confermato anche dallo studio odierno basato su dati genealogici. Ma nonostante questa possibile interferenza, i ricercatori hanno individuato un collegamento lineare – seppure soltanto con un peso del 16% – fra la genetica e la longevità. In pratica, chi ha questi geni favorevoli, cioè associati a una maggiore longevità, potrebbe vivere in media circa cinque anni in più. “Non è tanto”, sottolinea Yaniv Elrich, co-autore dello studio, computer scientist alla Columbia University, “considerando che studi precedenti avevano dimostrato che il fumo toglie 10 anni di vita. Ciò significa che alcune scelte relative alle nostre abitudini potrebbero pesare molto di più della genetica”.


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