È ormai tempo
del Cuoco
“professionista” 3.0
Gli Ordini professionali hanno ancora un senso?
E se lo hanno, non è ora di mettere mano ad una riforma che tenga conto che professionisti non sono solo i medici, gli avvocati, i commercialisti o gli ingegneri e i giornalisti (questi ultimi due fra l’altro bella forma maggioritaria di dipendenti)? La questione è sul tavolo da anni, ed è fra le più controverse per tutto il sistema Italia. Ma anche se può essere fonte di discussioni o polemiche deve essere affrontata. Le trasformazioni del mondo del lavoro hanno fatto progressivamente emergere “professioni” che oggi non sono riconosciute attraverso un Ordine che ne regola la formazione e le modalità di svolgimento, comprese sanzioni e deontologia.
Eppure il tema di norme capaci di dare garanzie a tutti, a chi lavora in un settore e agli utenti, è fondamentale. E lo è tanto più se si tratta di lavori che hanno a che fare con la nostra salute e la nostra sicurezza.
E da questo punto di vista un faro particolare deve essere oggi acceso attorno alla professione del cuoco. A maggior ragione considerando i cambiamenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato il lavoro in cucina. Il cuoco italiano è ormai uscito da un ambito quasi esclusivamente alberghiero-turistico (quasi sempre come dipendente) per trasformarsi da un lato in gestore di locali (patron) e dall’altro in consulente dell’industria. Da un 95% di cuochi inquadrati come dipendenti subordinati neanche venti anni fa, oggi si registra un 32% di lavoratori autonomi.
Un motivo più che sufficiente per sollecitare un adeguamento delle leggi che regolano l’accesso alla professione, tanto che non a caso la Fic (Federazione italiana cuochi) ne ha fatto uno degli obiettivi principali della sua strategia del “Cuoco 3.0”. Occorre in pratica dare più tutela ad una professione che è priva di un Ordine. Un qualche cambiamento è fra l’altro imposto dal Jobs Act, nonché dalla necessità di fissare con più precisione le politiche di formazione professionale e i criteri di accesso ad un lavoro che sempre più ha impatti diretti con la nostra salute.
E se lo hanno, non è ora di mettere mano ad una riforma che tenga conto che professionisti non sono solo i medici, gli avvocati, i commercialisti o gli ingegneri e i giornalisti (questi ultimi due fra l’altro bella forma maggioritaria di dipendenti)? La questione è sul tavolo da anni, ed è fra le più controverse per tutto il sistema Italia. Ma anche se può essere fonte di discussioni o polemiche deve essere affrontata. Le trasformazioni del mondo del lavoro hanno fatto progressivamente emergere “professioni” che oggi non sono riconosciute attraverso un Ordine che ne regola la formazione e le modalità di svolgimento, comprese sanzioni e deontologia.
Eppure il tema di norme capaci di dare garanzie a tutti, a chi lavora in un settore e agli utenti, è fondamentale. E lo è tanto più se si tratta di lavori che hanno a che fare con la nostra salute e la nostra sicurezza.
E da questo punto di vista un faro particolare deve essere oggi acceso attorno alla professione del cuoco. A maggior ragione considerando i cambiamenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato il lavoro in cucina. Il cuoco italiano è ormai uscito da un ambito quasi esclusivamente alberghiero-turistico (quasi sempre come dipendente) per trasformarsi da un lato in gestore di locali (patron) e dall’altro in consulente dell’industria. Da un 95% di cuochi inquadrati come dipendenti subordinati neanche venti anni fa, oggi si registra un 32% di lavoratori autonomi.
Un motivo più che sufficiente per sollecitare un adeguamento delle leggi che regolano l’accesso alla professione, tanto che non a caso la Fic (Federazione italiana cuochi) ne ha fatto uno degli obiettivi principali della sua strategia del “Cuoco 3.0”. Occorre in pratica dare più tutela ad una professione che è priva di un Ordine. Un qualche cambiamento è fra l’altro imposto dal Jobs Act, nonché dalla necessità di fissare con più precisione le politiche di formazione professionale e i criteri di accesso ad un lavoro che sempre più ha impatti diretti con la nostra salute.
Ci sono competenze e livelli di certificazione che devono assolutamente essere introdotti per tutti coloro che hanno a che fare con la trasformazione del cibo. Cuoco è un termine ampio e forse fin troppo generico, ma indica con precisione un ruolo, anche sociale, nel quale ricomprendere pasticceri, pizzaioli, gelatieri, ecc. Ognuno ha un ruolo e competenze che devono essere però accertate e valide verso tutti. Non è più tempo del fai da te. E il riconoscimento di uno status professionale preciso è più che mai fondamentale.
ALBERTO LUPINI
DIRETTORE ITALIAATAVOLA
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