venerdì 2 ottobre 2020

Si dice «la» Covid-19 e confinamento

 Si dice «la» 

Covid-19 

e confinamento 


Epidemia di anglicismi. Le «sentenze» dell'Accademia della Crusca sulle «sfide» linguistiche e i neologismi più utilizzati durante la pandemia



Covid va fatto precedere dall’articolo “la” e non “il” perché è una malattia, quindi femminile, per cui stando alla “moda” linguistica del momento la dizione “coronavairus” adottata dal ministro italiano degli Esteri, Luigi Di Maio, è in realtà corretta dato che il sostantivo virus (di origine latina) preceduto dalla sua specificazione (Corona) ne fa, appunto, “una parola anglosassone”. Ma, a parte questo, c’è generalmente un’imbarazzante invasione di parole inglesi che va frenata e quindi basta con “lockdown”, meglio dire confinamento; il “recovery fund” è una buona base dalla quale far ripartire il nostro Paese. Così almeno sentenzia l’autorevole professor Claudio Marazzini, 71 anni, presidente dell’Accademia della Crusca dal 2014, appena rieletto per il suo terzo e ultimo mandato che avrà termine nella primavera 2023.
“In Francia, ad esempio, con una precisa pronuncia dell’Accademia francese è stato detto esplicitamente che il sostantivo Covid è di genere femminile. In Italia – spiega Marazzini all’agenzia Adnkronos – la Crusca non si è pronunciata ufficialmente anche se tra noi accademici ne abbiamo discusso e il dibattito continua. Non c’è dubbio, tuttavia, che quando ci si riferisce alla Covid in quanto tale, quindi,ì alla malattia, si debba declinare al femminile. Alcuni accademici fanno, però, osservare che se si intende il morbo può essere corretto usare l’articolo al maschile”.
“L’uso degli anglismi in questo periodo è uno dei danni secondari del coronavirus”, fa presente Marazzini, “rischia, per un popolo portato ai contatti ravvicinati e a una prossemica molto marcata come l’italiano, di alterare i suoi atti comunicativi, allontanarlo dalle sue radici antropologiche e culturali e di avvicinarlo ancora una volta ai popoli nordici”. Difatti, scorrendo l’elenco delle parole con cui in questi mesi si è tentato di descrivere i vari aspetti dell’inedita situazione (globale), l’uso massiccio di termini non italiani nel linguaggio pubblico italiano salta agli occhi: da “lockdown” (utilizzato al posto dei termini italiani serrata, blocco, isolamento forzato), a “smart working” (o lavoro agile, o da casa, o a distanza), da “droplet” (che sta per goccioline di saliva che si emettono parlando o respirando), a “recovery fund” (fondo di recupero, provvedimento a sostegno dell’economia dell’eurozona), non c’è quasi settore immune da anglismi. 

Un’“epidemia” che ha suscitato la riprovazione dell’Accademia della Crusca, che con il Gruppo di esperti Incipit monitora i neologismi e forestierismi “incipienti” nella fase in cui si affacciano nell’italiano, per evitare che si impongano a sproposito. Ma com’è che, in Italia, l’inglese suscita tanto appeal? “La lingua dell’alta cultura, da noi, non è mai stata padroneggiata allo stesso modo in tutte le regioni e da tutte le classi sociali, e tuttora non è un fattore unificante”, spiega il presidente della Crusca, “per questo si abbracciano i forestierismi più che in altri Paesi mediterranei”.
Il Gruppo Incipit aveva già discusso per tempo anche su come scongiurare un termine “carcerario” come lockdown, il termine più utilizzato durante la pandemia e, nello specifico, durante il periodo di “isolamento sociale”. Si tratta di un prestito integrale dall’angloamericano – spiega Marazzini – e, nel lessico non specialistico, contempla due possibili variazioni di significato: l’isolamento dei detenuti nella propria cella come misura temporanea di sicurezza (per alcuni aspetti paragonabile al cosiddetto carcere duro); si tratta dell’accezione originale che deriva dal verbo americano “lock somebody down” (confinare un detenuto in cella), da non confondere con lock somebody up(o “away”) che sta per “rinchiudere in prigione”; le misure di emergenza in una situazione di pericolo in cui, per questioni di sicurezza, viene impedito temporaneamente di entrare o uscire da un’area o un edificio. La parola è da anni ricorrente nelle cronache delle sparatorie di massa negli Stati Uniti, dove ogni scuola ed edificio pubblico ha un lockdown protocol o lockdown procedures da seguire in caso di active shooter situation (sparatoria in corso). In piena pandemia da coronavirus, il termine è stato impiegato specificamente per indicare le misure di contenimento messe in atto prima nella provincia cinese di Hubei, poi in Italia, in Europa e negli altri paesi colpiti dalla pandemia. “E la sua diffusione è apparsa difficile da frenare anche da noi”, rileva il linguista. E quando un forestierismo prende piede non è quasi più sradicabile. Il termine, che ha ricevuto eco attraverso i media, è stato introdotto ufficialmente nella sezione Neologismi del Vocabolario di lingua italiana Treccani al maggio 2020.
Ma esiste ed eventualmente qual è l’alternativa? Gli esperti concordando sul fatto che si sarebbe potuta trovare una bella unità con altri Pesi neolatini come Spagna e Francia, che hanno subito optato per “confinemente” e “confinamiento”, appunto di derivazione dalla lingua romanza (latine), adottando confinamento. 

“In Italia nessuno è stato pronto a fornire alternative valide a questo termine angloamericano, neanche l’Accademia della Crusca”, ammette Marazzini all’Adnkronos. L’unica speranza, adesso, è “che cada in disuso insieme al rischio di ammalarci di coronavirus, visto che è una parola strettamente connessa all’esperienza di questi mesi tragici”. 

I. R.

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