Bazzara replica
a Report: «Non siamo
la Repubblica
della ciofeca:
il caffè è cultura»
Il presidente di Bazzara Caffè risponde alla puntata di Report sul caffè italiano, difendendo il valore di un rito quotidiano. Con 50 anni d'esperienza, racconta il contributo della sua azienda al comparto e spiega perché il caffè è molto più di una semplice bevanda: un piacere che coinvolge tutti i sensi, un rito quotidiano e una “piccola tassa sulla felicità” che va riconosciuta
Dopo la puntata di Report andata in onda domenica 15 dicembre su Rai 3, dedicata alla qualità del caffè nei bar italiani, Franco Bazzara, figura storica del settore e presidente di Bazzara Caffè, non ha nascosto la sua amarezza. Con alle spalle quasi mezzo secolo di attività nel mondo del caffè, Bazzara ha espresso il suo punto di vista partendo dalle criticità evidenziate dal servizio televisivo per poi soffermarsi in un appassionato elogio del caffè come simbolo dell'arte e della cultura italiana. Un racconto che unisce storia familiare, cultura imprenditoriale e visioni per il futuro di un settore che, nonostante tutto, continua a essere un fiore all'occhiello del nostro Paese.
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«Non siamo la Repubblica della ciofeca - esordisce Bazzara, riferendosi al titolo scelto dalla trasmissione per descrivere le numerose problematiche riscontrate nei bar napoletani. Se Howard Schultz, il fondatore di Starbucks, si è innamorato del nostro rito del caffè durante un viaggio a Milano decenni fa, e se tutto il mondo ci copia, un motivo ci sarà. L'espresso e il cappuccino sono invenzioni nostre, così come le macchine da caffè, capolavori tecnologici che il mondo ci invidia. Dire che siamo il Paese della ciofeca banalizza lo sforzo di migliaia di persone e imprese che lavorano ogni giorno per produrre un caffè di qualità. Questo tipo di generalizzazioni ferisce chi si dedica con passione a questo mestiere».
La famiglia Bazzara e l'azienda: mezzo secolo di storia
Bazzara, visibilmente amareggiato, racconta di essere rimasto colpito in particolare dal trattamento riservato a Napoli, dove il servizio di Report ha mostrato scene volutamente esasperate per raccontare una realtà fatta di caffè mal preparati e serviti in condizioni discutibili. «Intervistare due vecchietti, mentre ricevono un caffè portato in scooter sotto la pioggia, è un'immagine che fa male. Capisco che il giornalismo debba mettere in luce certi aspetti, ma non si può ridurre tutto a questo. Napoli è una città straordinaria, e il caffè lì è un rito. Non si può giudicare una cultura o una tradizione da episodi marginali».
Franco Bazzara, presidente di Bazzara CaffèLa storia della famiglia Bazzara è un esempio di come il caffè possa essere molto più di una semplice bevanda. Fondata a Trieste, città simbolo del commercio del caffè in Italia, l'azienda si è sempre distinta per la capacità di connettere il mondo del caffè italiano con le realtà internazionali. «Da mezzo secolo tentiamo di fare rete, nonostante l'individualismo che spesso caratterizza noi italiani. Organizziamo eventi come il Trieste Coffee Expert, che riunisce professionisti del settore da tutto il mondo, e i nostri libri sul caffè sono letti ovunque. Questo è il nostro contributo per promuovere una cultura del caffè consapevole e rispettosa».
La complessità del comparto caffè
e la narrazione di Report
Il servizio di Report, secondo Bazzara, ha mancato l'opportunità di raccontare la complessità del comparto, preferendo una narrazione sensazionalistica. «Non si può mai generalizzare. Così facendo, si rischia di penalizzare chi lavora bene e investe nella qualità. Ci sono caffè straordinari e altri meno buoni, ma questo succede ovunque. Dire che il caffè italiano è una ciofeca è come dire che tutto il vino italiano è cattivo solo perché esistono bottiglie mediocri. Il piacere è soggettivo, e non si può imporre un unico standard di qualità. L'importante è spiegare cosa c'è dietro una buona tazzina, perché senza consapevolezza non si potrà mai apprezzare davvero il valore di un caffè ben fatto».
Per Bazzara il servizio di Report ha mancato l'opportunità di raccontare la complessità del compartoLa metafora che utilizza è eloquente: «Se vai a Cortina e ordini un Pinot Grigio, ti chiedono quale vuoi tra quattro opzioni, e sei felice di pagare 100 euro per una bottiglia. Poi vai nel paese vicino, ordini un bicchiere di vino bianco, l'unico che hanno, e lo paghi 12 euro. Questo è il punto: non si può ridurre tutto a una questione di prezzo o standardizzare il piacere». Bazzara ritiene che la narrazione proposta da Report abbia esagerato nei toni, perdendo l'occasione di raccontare la vera bellezza che si cela dietro il caffè italiano. «Ogni barista, ogni torrefattore, ogni azienda che si dedica al caffè affronta sfide enormi. La tostatura, ad esempio, è un'arte complessa: il profilo di tostatura cambia completamente il risultato in tazza. Una tostatura troppo scura, che molti associano al gusto forte, è un rischio enorme se non viene trattata con professionalità. Ma questo non significa che il nostro caffè sia tutto così».
Il prezzo del caffè: una tassa sulla felicità
«Paghiamo un euro per andare in bagno» continua Bazzara, «ma ci vergogniamo di spendere un euro e mezzo per una tazzina di caffè. Questo è assurdo. Sappiamo cosa c'è dietro quella tazza? Cento mani ci lavorano, dalla coltivazione dei chicchi, spesso raccolti con fatica, fino alla tostatura, al barista che lo serve. Parliamo di un prodotto che merita rispetto. È un rito italiano, è cultura. Pagare un euro e mezzo è una piccola tassa sulla felicità». Bazzara difende un approccio più equilibrato e realistico: «Non si può pretendere che tutti i baristi si fermino per sette giorni a fare corsi. Chi paga l'affitto del locale? Chi garantisce il servizio? Bisogna trovare un equilibrio. Generalizzare è sbagliato. Ogni realtà ha la sua sfumatura».
La complessità del comparto e la vera bellezza del caffè
Bazzara spiega che dietro una tazzina di caffè si cela un processo complesso, un mosaico di competenze che richiede tempo, passione e conoscenza. «Prendere sette grammi di caffè, schiacciare un pulsante e pensare che basti non è così. La miscela deve essere di alta qualità, il barista deve saper trattarla, le macchine devono essere pulite e l'acqua deve essere depurata. Una tazzina perfetta è un lavoro di artigianato, e va riconosciuto». La metafora è chiara: «Se compri un paio di scarpe usate, non dureranno come un paio di scarpe nuove. Il caffè è lo stesso: qualità e cura fanno la differenza».
Il caffè come rito multisensoriale
Bazzara crede fermamente che la cultura del caffè debba essere insegnata con equilibrio, senza atteggiamenti professorali. «Non possiamo andare a Napoli e dire alla gente come deve bere il caffè. Se lì piace scuro e zuccherato, è una scelta culturale. Il nostro compito è spiegare che esistono altre opzioni, che un 100% arabica non ha bisogno di zucchero, ma senza imporre nulla. Ognuno ha il diritto di gustare il caffè come preferisce».
A Trieste, patria dell'azienda Bazzara, il caffè è un elemento centrale della cultura cittadina. «Abbiamo la fortuna di vivere in una città dove la tradizione del caffè è radicata e rispettata. Ma anche qui ci sono bar che servono caffè di qualità superiore e altri meno buoni. La differenza la fa la conoscenza: un barista formato, che sa gestire una miscela di alta qualità, è come un orafo. Se non sai trattare il prodotto, è come bruciare qualcosa di prezioso».
Per Bazzara la la cultura del caffè deve essere insegnata con equilibrioIl sorriso del barista, la pulizia della tazzina, il piattino ordinato, il bicchiere d'acqua accanto: secondo Bazzara, questi dettagli fanno la differenza tra un caffè qualsiasi e un'esperienza di puro piacere. «Il caffè abbraccia tutti i sensi. Vista, olfatto, gusto, tatto e persino udito: tutto contribuisce. Il rumore delle tazzine, il suono del vapore che esce dalla macchina, il vociare delle persone al bar. Questo è ciò che ha fatto innamorare Schultz e che il mondo ci invidia. Dobbiamo smetterla con i caffè al volo e prenderci il tempo per goderci ogni sorso».
Fare rete: un impegno per il futuro
In chiusura, Bazzara torna sul tema dell'unità nel comparto. «Come famiglia, ci battiamo da sempre per fare rete. Con i nostri eventi, i libri, gli articoli, cerchiamo di restituire al mondo del caffè quello che ci ha dato. Il caffè non tradisce mai. Se impariamo a rispettarlo e a valorizzarlo, possiamo continuare a essere un punto di riferimento per il mondo intero». «Se impariamo a guardare al caffè come qualcosa di più di un semplice prodotto, possiamo scoprire che dietro ogni tazza c'è un gesto quotidiano che ci regala un momento di riflessione, un'opportunità per rallentare e apprezzare le piccole cose. Questo, per me, è il vero valore del caffè».
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