Formaggi, vino e olio
in Usa: l'impatto reale dei dazi di Trump
Con i dazi fino al 40% su formaggi, il +20% su olio e conserve, e un possibile crollo dell'export vinicolo (due miliardi di euro solo verso gli Usa), le nuove tariffe volute da Trump colpiscono prodotti simbolo del made in Italy. A rischio circa otto miliardi di export agroalimentare italiano e decenni di riconoscibilità in tutto il mondo
C'è qualcosa di profondamente simbolico nei dazi che colpiscono il made in Italy. Non sono solo percentuali, imposte, barriere. Sono uno schiaffo - economico, certo - ma anche culturale. Perché l'Italia, che da decenni costruisce la sua immagine nel mondo attraverso cibo, vino e olio d'oliva, si ritrova ora a dover fare i conti con una realtà che rischia di incrinare proprio quel racconto di qualità, origine, storia e gusto che l'ha resa unica nel panorama globale. I dazi voluti da Donald Trump, ricordiamo, sono già entrati in vigore (alle ore 6 italiane di mercoledì 3 aprile) e stanno già producendo i primi effetti. Non si parla di un'ipotesi futura o di una minaccia all'orizzonte: è tutto nero su bianco, operativo, attuale.
E le cifre sono eloquenti: nel 2024 l'export agroalimentare italiano verso gli Usa ha sfiorato quota otto miliardi di euro, un quarto del totale europeo (sì, avete capito bene, un quarto!). Ogni dieci prodotti italiani venduti nel mondo, uno infatti finisce nel carrello di un consumatore americano. Non è un dettaglio: gli Stati Uniti rappresentano il terzo partner commerciale dell'Italia, dopo Germania e Francia, con 73 miliardi di euro complessivi di export. Ed è facile immaginare come una manovra daziaria colossale - pari al 20% in più su una vasta gamma di beni europei - possa diventare una frana per molti comparti.
I dazi Usa sui formaggi arrivano fino al 40%
A soffrire di più, come spesso accade, sono le eccellenze. Formaggi, olio, vino, conserve, salumi: le icone della tavola italiana che all'estero sono molto più di un prodotto. Sono un simbolo. Il comparto lattiero-caseario, ad esempio, è già sotto pressione. L'Italia è oggi il primo esportatore mondiale di formaggi verso gli Usa, con oltre 40mila tonnellate l'anno e 486 milioni di euro di fatturato. Ma le nuove tariffe colpiscono pesante: pecorino, finora esente, passa al 20% di dazio, mentre mozzarella, burrata, ricotta e mascarpone arrivano al 30%, il provolone al 35%, il gorgonzola al 40%. Una crescita che si somma ai rincari già registrati negli ultimi cinque anni, con i prezzi di mercato praticamente raddoppiati. E quando il costo schizza, il prodotto rischia di uscire dagli scaffali.
Il caso più emblematico, come vi abbiamo già raccontato nelle scorse ore, resta il Parmigiano Reggiano. Negli Usa rappresenta il 22,5% del totale export, con oltre 16mila tonnellate vendute solo nel 2024, in crescita del 13% rispetto all'anno precedente. Un formaggio Dop di 24 mesi che in Italia costa circa 15 euro al chilo, oltre oceano arrivava a 50 dollari. Ora, con le nuove tariffe, salirà a 59 dollari al chilo. E a quel punto il rischio è che venga sostituito da surrogati americani molto più economici - e molto meno autentici.
Discorso simile anche per il Grana Padano: con 215mila forme esportate e una crescita del 10,53% rispetto al 2023, gli Stati Uniti hanno rappresentato nel 2024 il terzo mercato per il Grana Padano Dop. I dazi, come denuncia il Consorzio, mettono seriamente a rischio il consolidamento di questo mercato e le prospettive future dell'export negli Usa. Entrambi, ricordiamo, passano dal 15% di qualche giorno fa all'attuale 35%.
Anche olio, conserve di pomodoro, vino e salumi nel mirino dei dazi
Anche l'olio extravergine d'oliva - spesso al centro del racconto salutista che piace tanto ai consumatori americani - è coinvolto. Su un totale di 3 miliardi di euro di export, 1,1 miliardi provengono proprio dagli Stati Uniti. E se è vero che i prodotti Dop e Igp rappresentano solo una piccola fetta del mercato nazionale, sono però quelli in più rapida espansione. Il problema è che l'aumento dei costi potrebbe cambiare le abitudini d'acquisto. E spingere molti a optare per alternative locali, come gli oli di semi, prodotti in grandi quantità proprio negli Usa.
Ma la lista non finisce qui. C'è, infatti, anche il segmento delle conserve di pomodoro, con i suoi pelati, passate, polpe pronte e sughi, che oggi coprono il 15% dell'export extra-europeo, generando un fatturato da 3 miliardi di euro su 5,5 complessivi. E anche qui i dazi crescono: dal 12% al 32%, con un +20% che rischia di far saltare l'intero equilibrio competitivo. Le aziende italiane, che negli anni hanno resistito all'assalto dell'Italian sounding californiano, potrebbero ora vedersi sorpassare dai concorrenti interni, più economici e più accessibili sugli scaffali.
E poi c'è il vino, il grande ambasciatore dell'Italia nel mondo. Solo verso gli Usa il comparto vale circa due miliardi di euro. Il settore degli alcolici sostiene, tra Europa e America, oltre due milioni di posti di lavoro, e solo in Italia impiega 450mila addetti, tra produzione, logistica e confezionamento. Ma tra il 2018 e il 2021, con i dazi sugli spirits, le esportazioni italiane crollarono del 41%. Ora lo spettro di un nuovo calo si fa concreto. Il problema non è solo il rincaro, ma anche il momento: il cambio d'annata è alle porte, e molti importatori americani stanno valutando se acquistare meno - o disdire del tutto - gli ordini per paura delle ripercussioni sui costi.
Infine, anche i salumi. Il caso del prosciutto di Parma è chiaro: nel 2024, sono stati spediti negli Stati Uniti 800mila pezzi, pari a un terzo dell'export totale, per un giro d'affari da 100 milioni di euro. Ma un prodotto Dop non è delocalizzabile: non può essere prodotto altrove, né replicato. Se i dazi ne limitano l'accesso, non c'è alternativa. E la filiera ne esce a pezzi.
Trump: «Tornerà l'età dell'oro per gli Stati Uniti»
Ma se l'Italia trema, non è la sola. La manovra voluta da Donald Trump colpisce anche altri Paesi: 34% di dazio alla Cina, 24% al Giappone, 46% al Vietnam, 32% a Taiwan, 30% al Sudafrica, 31% alla Svizzera, 49% alla Cambogia, 32% all'Indonesia e 26% all'India. Senza risparmiare nemmeno la Gran Bretagna, colpita con un 10%. Ma è l'Europa, e soprattutto l'Italia, a subire i danni peggiori. Perché il nostro sistema agroalimentare è basato sull'export, sul valore aggiunto, sull'unicità del prodotto. Non può competere sul prezzo, ma solo sulla qualità.
Trump, del resto, non ha fatto mistero della strategia: «Il nostro Paese è stato saccheggiato per anni, ma non accadrà più. Ora è il nostro turno di prosperare. Tornerà l'età dell'oro per noi», ha detto con tono trionfalistico, davanti ai giornalisti. E ancora: «Reciproche, significa che loro lo fanno a noi e noi lo facciamo a loro. Molto semplice», concludendo con un affondo all'Unione europea: «Ci hanno derubati per anni, sono patetici».
La Von der Leyen da Bruxelles: «Pronti a reagire»
A Bruxelles, per ora, si predica calma. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha assicurato che «la Ue è pronta a reagire», ma ha anche aperto la porta ai negoziati: «Non è troppo tardi. Finalizzeremo un primo pacchetto di contromisure sull'acciaio e prepareremo altri contro-dazi se i colloqui dovessero fallire. Difenderemo sempre i nostri interessi e valori. Ma c'è una strada alternativa: passiamo dal confronto al negoziato».
Intanto, però, il sistema italiano aspetta. E teme. Perché quello che si gioca oggi non è solo il futuro di un mercato. È il futuro di una narrazione. Quella di un Paese che ha fatto del cibo la sua diplomazia culturale. E che rischia di veder crollare, con un colpo di dazio, decenni di fatica, reputazione e lavoro.
Dazi Usa, Coldiretti e Confagricoltura: «Serve una risposta unitaria»
Uno scenario che, secondo il mondo agricolo italiano, impone ora un cambio di passo sia sul piano commerciale, sia su quello politico e strutturale. Perché se i dazi rischiano di rallentare l'export e indebolire un settore in piena espansione, serve, appunto, che l'Europa sappia reagire con una visione chiara e un piano di rilancio concreto. È il messaggio lanciato dal presidente di Coldiretti, Ettore Prandini: «Questa deve essere anche l'occasione per l'Europa, che deve rimanere unita più che mai in questa fase e dialogare con un'unica voce, di mettere in campo un piano di rilancio dei settori produttivi, a partire dalla sburocratizzazione, ma anche iniettando nuove risorse».
«Burocrazia inutile che ha rallentato tutto e colpito le nostre aziende in maniera significativa. Ci vuole un'iniezione di nuove risorse economiche - ha spiegato Prandini. Investire in digitalizzazione e innovazione e con agricoltura precisione per quanto riguarda il nostro settore. Servono nuove risorse per internazionalizzazione e in questo momento diventa fondamentale diversificare i mercati. Dobbiamo diventare più competitivi abbassando costi imprese».
Gli ha fatto eco Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: «Come Italia usciamo sicuramente penalizzati dall'introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti, in particolar modo per quanto riguarda i prodotti di fascia media. La risposta - ha aggiunto - non può che essere unitaria, europea, convinta, come annunciato dalla presidente Von der Leyen. Fondamentali le misure previste per sostenere i settori più colpiti. Non dimentichiamo, infatti, che rischiamo anche un massiccio riversamento di prodotti da altri Paesi che subiranno le tariffe americane, per esempio la Cina».
La lettera aperta di Italia a Tavola
a Donald Trump (di Vincenzo D'Antonio)
Per l'occasione, ricordiamo, Italia a Tavola ha scritto una lettera aperta al presidente americano Trump. Di seguito, un estratto:«Illustre Potus, good morning. Ella ha denominato il giorno 2 aprile, giorno che a Suo dire passerà alla storia (esse minuscola o esse maiuscola?), come il giorno della liberazione (elle minuscola o elle maiuscola?). A quanto pare, illustre Potus (president of the United States, cioè presidente degli Stati Uniti, ndr), Lei si accontenta di poco. Per noi italiani il Giorno della Liberazione è cosa alquanto differente. Cade tra pochi giorni, il 25 aprile, e quest'anno, pensi, sono proprio 80 anni dalla Liberazione. I nostri nonni (per le giovani generazioni dobbiamo dire “bisnonni”) ci liberarono dalla dittatura fascista e dall'occupazione nazista. Come Lei sa o dovrebbe sapere, il Vostro concorso fu determinante. Da allora si è cementata tra i nostri Paesi una solida e proficua alleanza. Non è che adesso arriva Lei e ce la distrugge quest'alleanza, quest'amicizia tra i due popoli?
Chi sta avendo adesso l’ardire di scriverLe, ha vissuto nel Suo Paese per cinque mesi l’anno per quindici anni consecutivi, dall’anno 2009 all’anno 2023. Nello Stato in cui Lei volentieri dimora: il Sunshine State, la Florida. Pensi, Illustre Potus, che amici e colleghi mi dicevano che oramai, per abitudini acquisite, per modo di parlare utilizzando colorite espressioni idiomatiche e per comportamenti del vivere quotidiano, shopping nei mall incluso, stabilirono che oramai ero diventato half american!»
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