mercoledì 1 ottobre 2025

Il mito dello chef è finito

Il mito dello chef è finito: turni infiniti 

e stipendi da fame svuotano le cucine

Turni massacranti, stipendi bassi e zero prospettive: i giovani abbandonano la cucina mentre i ristoratori restano fermi a modelli del passato. Rocco Pozzulo (Fic): «Senza turni unici e dignità il settore non avrà ricambio». Tra le questioni in sospeso anche il costo del lavoro e il riconoscimento come professione usurante. Per Pozzulo, la sfida è garantire qualità della vita oltre alla qualità dei piatti

di Mauro Taino
Redattore

Il mito dello chef è finito: turni infiniti e stipendi da fame svuotano le cucine

Il primo segnale è arrivato con la testimonianza di una chef italiana che ha definito il lavoro in cucina «una schiavitù sottopagata», sottolineando come non consiglierebbe a nessuno di intraprendere questa professione. A distanza di pochi giorni, un ulteriore approfondimento ha evidenziato come la cucina italiana rischi di perdere intere generazioni di cuochi, scoraggiati da turni massacrantiretribuzioni basse e assenza di prospettive di crescita. Questi elementi, messi in evidenza dall’inchiesta di Italia a Tavola, descrivono un settore che fatica a garantire attrattiva e stabilità. A queste riflessioni si aggiunge ora il punto di vista della Federazione Italiana Cuochi, attraverso le dichiarazioni del presidente Rocco Pozzulo.

Il mito dello chef è finito: turni infiniti e stipendi da fame svuotano le cucine

Le cucina italiane rischiano di svuotarsi sempre di più

Il nodo, più che economico, è culturale: le vecchie generazioni di cuochi hanno interiorizzato l’idea che il mestiere fosse dedizione assoluta, quasi una missione che giustifica turni infiniti e vita privata sacrificata. I giovani, invece, non accettano più di annullarsi per la cucina: chiedono orari sostenibili, possibilità di carriera e condizioni dignitose. Non è disinteresse, ma un diverso modo di intendere il lavoro. È qui che il conflitto si fa evidente: ristoratori ancorati a modelli superati e ragazzi che scelgono altre strade, dalle gastronomie alla Gdo.

La questione del tempo

Secondo Pozzulo, il nodo principale riguarda l’organizzazione del lavoro e la possibilità di conciliare la professione con la vita privata. «Con il Covid molti hanno scoperto la bellezza di stare a casa durante le feste, a Natale, a Capodanno, le domeniche in famiglia. Non è solo una questione di stipendio: hanno compreso il valore della vita privata. Per questo tanti hanno cambiato attività, alcuni sono passati alle gastronomie o ai supermercati».

Il mito dello chef è finito: turni infiniti e stipendi da fame svuotano le cucine

Rocco Pozzulo, presidente Fic

La difficoltà sta nella gestione dei turni, ancora troppo legata a un modello tradizionale: «Oggi la vera ricchezza è il tempo libero. I ragazzi dicono: “Il lavoro è bello, ma perché devo stare dalla mattina alla notte in cucina?”. Non è più pensabile che io dedichi vita completa… non ce l’hai, viene annientato il tempo libero. La vita sociale si annienta: un cameriere, un cuoco o persino un ristoratore spesso non hanno la possibilità di uscire quando gli altri sono liberi. Un amico di Arezzo mi raccontava: “Io chiudo il lunedì, ma i miei amici lavorano. La domenica sera, quando loro escono, io lavoro”».

Turni unici e costo del lavoro

Per superare questa criticità, la Federazione propone l’introduzione dei turni unici, che richiedono tuttavia la possibilità per i ristoratori di assumere più personale. «Contrattuali è quello, ripeto, abbassare il costo del lavoro, così da assumere più persone e consentire la rotazione… e quindi di poter fare turni unici». Alcuni locali hanno già adottato questo modello, garantendo ai dipendenti due o tre giorni liberi a settimana, ma la riduzione del costo del lavoro rimane condizione necessaria per una sua diffusione.

Prospettive di crescita e formazione

Il problema non riguarda esclusivamente le retribuzioni. Pozzulo richiama l’attenzione anche sulla mancanza di percorsi professionali definiti: «Ai ragazzi bisogna dare una prospettiva: non solo economica, ma anche professionale. Un ristoratore non può pensare di tenere una persona con lo stesso stipendio basso per anni. Dopo tre mesi di prova, dopo un anno, dopo tre anni: quali sono gli step? Se diventi capopartita, devi saperlo dall’inizio. Oggi spesso non c’è questa chiarezza».

Il mito dello chef è finito: turni infiniti e stipendi da fame svuotano le cucine

Secondo Pozzulo ai ragazzi bisogna dare una prospettiva

Sul piano formativo, il presidente FIC sottolinea le contraddizioni delle scuole alberghiere: «Abbiamo cucine attrezzatissime ma mancano le materie prime, perché le famiglie non pagano le quote facoltative. Così gli studenti cucinano due mesi all’anno. Abbiamo chiesto al ministro Valditara di rendere obbligatoria la quota, così da garantire le esercitazioni. Con una formazione migliore e una prospettiva più chiara, quel 15% di ragazzi che oggi resta nella professione può diventare 30-35%». Per garantire una preparazione adeguata, è stato chiesto al Ministero dell’Istruzione di rendere obbligatorie tali quote.

Condizioni dignitose e professione usurante

Alla necessità di un percorso di crescita professionale si affianca quella di condizioni di lavoro dignitose: «C’è anche un problema di dignità nei luoghi di lavoro. Può sembrare banale, ma molti locali non hanno spogliatoi adeguati: non c’è un armadietto, una doccia. In passato i ragazzi venivano sistemati in condizioni poco dignitose, anche nei sottoscala. Oggi non è più accettabile. E infatti molti ristoranti non riescono ad aprire perché non trovano personale».

La Federazione spinge inoltre per il riconoscimento della cucina come professione usurante, sulla base di studi condotti con le università: «Abbiamo fatto studi con le università sulla postura, lo stress, i problemi vascolari, il calore in cucina, persino sulla fertilità. Io stesso ho subito quattro operazioni alle varici». A ciò si aggiunge il progetto di certificazione delle competenze, finalizzato a garantire il rispetto di processi e norme igieniche: «La certificazione serve a garantire che i processi siano corretti, che i prodotti vengano trattati secondo norme igieniche e professionali».

«Noi - dice ancora Pozzulo - non siamo un sindacato, non possiamo controllare orari o stipendi. Possiamo però sensibilizzare e proporre soluzioni come i turni unici, la formazione, il miglioramento delle condizioni di lavoro. Alcuni grandi chef già offrono camere per il personale, spogliatoi adeguati, benefit. Tutto questo rende il lavoro più attrattivo. Oggi la professione è più visibile, anche grazie alla televisione, ma rischia di non avere più ricambio. Perché i giovani non rifiutano il lavoro in sé: rifiutano un modello di sacrificio totale, senza vita sociale».

Ristorazione italiana a rischio

L’inchiesta in corso evidenzia un quadro critico: la ristorazione italiana, pur rappresentando un patrimonio riconosciuto a livello mondiale, rischia di compromettere la propria sostenibilità a causa di condizioni lavorative non più accettabili per i professionisti. Le proposte avanzate dalla Federazione Italiana Cuochi puntano a un cambio di paradigma: turni riorganizzati, riduzione del costo del lavoro, percorsi formativi concreti, riconoscimento della professionalità e dignità degli spazi di lavoro. Come afferma Pozzulo, «non è solo questione di bei piatti: la ristorazione oggi deve garantire anche qualità della vita ai suoi lavoratori». Senza un intervento strutturale, il rischio è che l’etichetta di «schiavitù sottopagata» finisca per definire stabilmente una delle professioni simbolo del made in Italy.

Se la cucina italiana vuole sopravvivere come simbolo del made in Italy, non può più affidarsi solo alla passione o al mito televisivo dello chef. Servono condizioni di lavoro moderne, riconoscimenti concreti e prospettive di crescita. Altrimenti la parola “schiavitù sottopagata” non sarà più una provocazione, ma la lapide di un mestiere che rischia di scomparire, trascinando con sé uno dei pilastri dell’identità e del turismo del nostro Paese. 

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