martedì 3 gennaio 2017

BRINDARE CON L'IPPOCRASSO



BRINDARE CON L'IPPOCRASSO

Dal'antichità al Medioevo fino al modermo vermouth il vino piaceva aromatizzato

Il nome fùosofico non tragga in inganno. La  bevanda era in auge in età medievale e di

quel nome - ma non del liquore - si è persa oggi quasi ogni traccia.

L'ippocrasso è, in fondo, l'anello di congiunzione del lungo itinerario compiuto dagli elisir

a base di vino e spezie, traghettando dall' età romana delle ambrosie e del muslum mielato

al medioevo, precedendo di poco il vermouth oggi anch' esso alla ricerca di rilancio.

L'ippocrasso - che deve probabilmente il proprio nome a Ippocrate e quindi detto

anche "vino ippocratico" - era chiamato nel basso medioevo con i nomi di piment o

claret. La tradizione, che si pone fra realtà e finzione, vuole che sia stato infatti il medico

greco Ippocrate a lasciar macerare nel vino delle sue terre, notoriamente a elevata gradazione e ricco di zuccheri, i fiori dell' artemisia e del dittamo. 


Diffusioni medievali

È però solo nel corso del Trecento che la nomenclatura si fissa definitivamente. Così

come le prime ricette, caratterizzate da infinite varianti e ingredienti. Vi appaiono nel

Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria in diverse composizioni e preparati. Nel 1381 il cuoco di re Carlo VI di Francia, Monsieur Guillaime Tirel, edita il

proprio manuale Le viander. Vi si rinviene una sorta di nomenclatura di ingredienti e

istruzioni per la preparazione, nell'utilizzo di vino rosso nel quale sono infusi chiodi di

garofano, cannella, cardamomo, miele, zenzero, zucchero di canna e - tocco da scaltro

aromataro - la galanga, un'erba della stessa famiglia dello zenzero. 

Come spesso accade, la sua diffusione nel territorio europeo assomma più ragioni.

Questione di gusti più morbidi e aperti alla sensibilità femminile si intrecciano con la

necessità di dare corpo ai non sempre piacevoli vini del Nord Europa, così come mascheramento di qualità stantie e scadenti dei vini rossi mal conservati.

La sua popolarità cresce soprattutto fra i ceti di rango, in grado di procurarsi le preziose

spezie. L'ìppocrasso troneggia sulle tavole di castelli e corti, come rinomato aperitivo o

apprezzato digestivo.

Quel che è certo è che 1'ippocrasso fa la fortuna di molti commercianti veneziani e spagno-

li, che con le spezie sanno trattare e guadagnare. È quindi il mercato delle erbe e spezie a

sostenere la bevanda: facile quindi modificare a piacimento la ricetta (e secondo forniture

in magazzino), aggiungendo e togliendo secondo disponibilità il cardamomo, la mirra, la

cannella, il rabarbaro e altro ancora. 


Nella letteratura dell' Ottocento

L'ippocrasso sfida il tempo e permane a lungo nel corso dei secoli fra i liquori casalinghi.

Ancora nel corso dell'Ottocento ricettari e trattati ne riportano la diffusione e la sempre

diversa ricetta.

Nel proprio Trattato della coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare, del gentiluomo fiorentino Giovanvittorio Soderini, edito nell' anno 1806, l'ennesima preparazione non manca di precise indicazioni: "l'ippocrasso fassi in questa maniera: porsi a macerare in quel vino che tu vuoi fare l'ippocrasso, il quale dee esser vino maturo, dolce, rosso o bianco, e in quella quantità che tu ne vuoi fare, a discrezione, zuccaro, cannella in canna un po' acciaccata, garofani in polvere poca quantità, o sodi acciaccati chi lo vuoi più acuto; e alquanto di museo, chi lo brama, e lascatevelo stare per due o tre dì, si strizza forte colle dita, con una pezza di lina, tutto quel vino con quella materia che incorporato, dentro un altro vaso di vetro, lasciasi un po' riposare e schiarire".

Quel che presto si segnala è però, soprattutto, la modalità dettata da galateo e bonton del

suo sempre più aristocratico consumo. A far da apripista sono soprattutto la narrativa e la

letteratura del secondo Ottocento. Davvero, come si legge nelle pagine del Dizionario delle origini di invenzioni e scoperte, stampato nell'anno 1830, "Yippocrasso è tanto vantato

da scrittori di romanzi".

Gentildonne e cavalieri, militari e borghesi lo offrono agli ospiti, i romanzieri lo inse-

riscono fra le preziosità del passato e del presente. Ernesto Menard, nel suo romanzo

storico Rolando il pirata, tradotto in Italia nel 1837, fa dire ai suoi personaggi come

"Mostro Bastiano e confratelli pagavano a secchie d'ippocrasso il racconto de' fatti e ge-

sta delle Crociate".

Ma la modernità avanza e nel Manuale completo del disrillatore-liquorista, di Pietro Val-

secchi, edito nel l1882, nell'elenco dei preparati alcolici l'ippocrasSo è posto fra il punch

e il vermouth. 


DalI 'ippocrasso al vermuth

Già, il vermouth. L'ippocrasso ne è quindi l'antenato. Anche in questo caso le ragioni

e le certezze si mescolano con l'empirismo indagatore. Vi è chi sostiene che l'ippocras-

so, molto apprezzato. in Francia ancora nel Novecento, sia stato bevanda di corte del Re

Sole, tanto che Luigi XIV pare abbia convocato a Parigi un esperto liquorista piemon-

tese per produzioni di qualità. L'abitudine si diffonde nell'esercito impegnato in continue

campagne militari, distribuito unitamente al tabacco per sostenere gli animi dei com-

battenti. Ne approfittano anche le truppe tedesche e così nello slang militare sco l'ippo-

crasso diviene immediatamente "vermuth", crasi delle parole "wehr" -armata e "mut"

- coraggio ..

Oppure, ma siamo sempre in terra tedesca, è bastato agli estimatori utilizzare il nome

dell'aggiunta, l'artemisia, che il tedesco è appunto "vermut". Quel che è certo è che di

mezzo pare ci fosse ancora un piemontese, un certo Alessio, che nella prima metà del

Settecento prende in mano la situazione. Lo si segnala infatti presente nelle corti francesi

e tedesche a preparare l'ippocrasso, ormai detto semplicemente "vermuth".

È la radice storica di un prodotto che proprio in Piemonte, nel corso dell'Ottocento, tro-

verà sede per le sue produzioni industriali e che in Italia verrà adottato soprattutto per i

"brindisi d'onore" durante inaugurazioni o presenze di autorità.

Ma l'ippocrasso sopravvive. La sua ricetta odierna la trovate su .... Wikipedia: si ottiene

"sciogliendo circa 200 grammi di miele in 3 litri di vino e aggiungendo le spezie dett.e "roya-

les". Il preparato viene poi lasciato riposare e filtrato prima di essere imbottigliato. L'ippo-

crasso si conserva perciò per molti anni". Assaggiare per credere.

Marcello Zane

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