martedì 24 marzo 2020

Dall’Europa aiuto e unità Ma l’Italia si frantuma in polemiche

Dall’Europa aiuto e unità
Ma l’Italia 

si frantuma 

in polemiche

Ci vuole coesione per fronteggiare la pandemia

Ora più che mai è tempo di unità. È tempo di superare i conflitti tra gli Stati, così come le divisioni interne tra le istituzioni, per garantire una reazione unitaria e definitiva alla pandemia in atto. Tutti devono davvero deporre le armi. Basta con la gara a chi è più bravo. Prendiamo esempio in questo da alcuni europei

L’Europa, o meglio, i due Paesi più importanti dell’Unione, Francia e Germania, forse hanno capito che solo uniti si può vincere questa guerra, e che la si può vincere “solo” sostenendo l’Italia, oggi prima linea del fronte e test di sopravvivenza per tutti. E questa svolta, per molti inattesa, fa nascere la speranza che alla fine, quando dovremo pensare alla ricostruzione, potrebbe esserci davvero anche una nuova Europa, magari più piccola di oggi, ma certamente più unita. Magari anche senza i polacchi o i romeni che ci bloccano alle frontiere le mascherine regolarmente pagate dall’Italia, o senza gli ungheresi che ora si blindano dietro le loro frontiere quasi che il virus non è un migrante e supera ogni ostacolo. Il dopo coronavirus non potrà più ammettere questo vile chiamarsi fuori dalle responsabilità di abitare una casa comune. Persino i falchi olandesi o del nord si sono arresi all’evidenza. Per i cugini dell’Europa orientale è tempo di dimostrare di che pasta sono fatti, prima che la pandemia li colpisca magari più che da noi.

Il nuovo clima di collaborazione fra alcuni Paesi europei si scontra però col peggioramento di quello che si vive in Italia dove, sull’orlo del baratro, si aprono ogni giorno conflitti fra Governo, Regioni e partiti. C’è una sorta di gioco al massacro a chi vuole dimostrare di essere più bravo (incurante magari di essere passato dal minimizzare inizialmente i rischi, come un po’ tutti noi, al voler dimostrare di essere il più preoccupato). C’è chi vuole essere più avanti degli altri nel chiedere di sperimentare farmaci non abilitati dalle autorità scientifiche. C’è chi è pronto a chiudere più attività economiche, ma senza precisare cosa deve restare aperto. E così via. In mezzo c’è un Paese bloccato, spaventano e annichilito, con alcune aree, dalla Bergamasca al Bresciano, dove il conto dei morti e dei contagiati è in sequenza esponenziale e l’unica speranza è riposta nell’eroica resistenza del personale sanitario che paga con la vita questa guerra a cui siamo arrivati in parte impreparati per colpa proprio di quelle istituzioni e di quei partiti che oggi polemizzano come i capponi di Renzo.
Ma non è questo il tempo delle polemiche o di valutare col bilancino chi ha torto o ragione. C’è una Nazione che ha bisogno di certezze e queste non le può purtroppo dare solo il Presidente della Repubblica. Occorre che tutti depongano le armi perché tanto, alla fine, gli attuali equilibri politici non conteranno più nulla. Una cosa è certa, quando il coronavirus sarà stato debellato, non ci sarà più un’Italia come l’abbiamo vissuta in questi ultimi anni. Anzi. Nell’emergenza del dramma più terribile degli ultimi 70 anni il nostro Paese sta mostrando tutte le contraddizioni e i limiti di un sistema politico-istituzionale assolutamente inadeguato e, questa è la cosa più grave, che a molti livelli non è in grado di fare squadra. E per fortuna che le decisioni strategiche le prendono oggi gli scienziati che affiancano la Protezione civile, perché se dovessimo dipendere solo dai politici o dai loro burocrati ci troveremmo con la gara delle conferenze stampa a reti unificate ogni sera fra Premier e Governatori, o nella contesa sulla prevalenza fra ordinanze regionali o decreti del Governo. Una follia. Un’indecenza a cui si accompagna solo la querelle incomprensibile sul fatto che il Parlamento stia lavorando o meno. Quasi che non fosse assurdo il solo dubitarne in una Repubblica parlamentare.

Ciò di cui non abbiamo bisogno adesso è di avventurieri, salvatori della Patria, demagoghi o populisti. Hanno già dato e non servono nella lotta contro le epidemie. Per fortuna abbiamo scienziati, medici e volontari a cui affidarci. E meno male che il “soggetto 0” in Lombardia è stato un tedesco. Figuriamoci se fosse stato un asiatico o un extracomunitario…

Tutti devono davvero deporre le armi. Basta con la gara a chi è più bravo. Prendiamo esempio in questo da alcuni europei. L’abolizione delle rigide regole di bilancio sui rapporti deficit/pil e del patto di stabilità, nonché l’impegno della Bce di sostenere in maniera decisa e senza più equivoci i piani di finanziamento dei singoli Paesi e i loro titoli di Stato, a partire proprio da quello italiano, rappresentano oggi la nostra rete di protezione. E al tempo stesso segnano la sconfitta dell’idea più retriva e nazionalista di un certo tipo di Europa. Di chi pensava cioè di dominare un continente con concetti da ragioniere prussiano, ma coprendo irregolarità e abusi come i vantaggi fiscali garantiti a chi abbandonava magari l’Italia per pagare meno tasse da altre parti. E in questa svolta va detto che la Lagarde, che pure abbiamo duramente contestato nei giorni scorsi, ha svolto un ruolo non secondario per mettere in minoranza i falchi della Bce (alcuni politici conservatori della Merkel e gli olandesi, per intenderci).

Se questa spinta europea ad una forte reazione unitaria contro la pandemia durerà, sappiamo che l’Italia potrà avviare con più serenità una ricostruzione per rilanciare la nostra economia e la nostra società, puntando su competenze, rigore, ambiente ed “onestà”. Ma per fare questo dobbiamo arrivare a quell’appuntamento uniti e senza più assurde e devastanti polemiche interne. In caso contrario la guerra contro il coronavirus sarà ancora più lunga e difficile. di Alberto Lupini
direttore
Alberto Lupini
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