martedì 14 maggio 2024

E' importante conoscere il valore di un piatto

 

Ristoranti e food cost: perché è importante conoscere il valore 

di un piatto

Dietro a ogni portata ci sono numeri che chi opera in questo business dovrebbe saper conoscere, come il valore delle materie prime. Il food cost può arrivare a pesare fino al 40% del fatturato complessivo di un ristorante; «ed è per questo che è necessario conoscerlo attentamente», ha spiegato il consulente ed esperto di marketing della ristorazione Giacomo Pini  (foto)

Martino Lorenzini


Ristoranti e food cost: perché è importante conoscere il valore di un piatto

Èun po' come quando si prepara una torta, bisogna conoscerne alla perfezione le dosi degli ingrendienti per calcolarne, se necessario, le variazioni di quantità in base al numero di commensali. È la procedura di calcolo del food cost, termine anglofono che sta a indicare il rapporto tra il valore delle materie prime utilizzate per preparare una portata e il suo relativo prezzo di vendita. Un numero che un imprenditore che opera nel mondo della ristorazione dovrebbe saper conoscere alla perfezione e che invece per molti è ancora totalmente oscuro.

Ristoranti e food cost: perché è importante conoscere il valore di un piatto

Solo il food cost pesa tra il 30% e il 40% sul fatturato di un ristorante

Giacomo Piniconsulente, esperto di marketing della ristorazione e fondatore di GpStudios prova a fare luce su questo importante aspetto del business. L'autore dei fortunati volumi "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale""L'Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali", segnala che il food cost di norma oscilla tra il 30% e il 40% del fatturato complessivo di un ristorante.

Food cost e ristorazione: perché ha senso parlarne

Il food cost per Pini è uno dei tanti parametri che possono aiutare il ristoratore a navigare in un mercato sempre più agitato senza affondare.

«In qualità di consulenti e formatori in GpStudios abbiamo la missione di trasformare i ristoratori in imprenditori consapevoli, in "artisti della cucina" capaci di leggere i numeri e sfruttare tutto il loro potenziale per trasformare la propria passione in un’idea di business concreta e profittevole - ha spiegato l'esperto di marketing della ristorazione - In questo senso, la conoscenza dei numeri è basilare e non ci stancheremo mai di dirlo, proprio perché è solo conoscendo il dato reale per quello che oggettivamente è che diventa possibile gestire meglio la propria attività. E il food cost è uno degli indicatori principali che non possono davvero mancare nel cruscotto gestionale di un locale che si occupa di ristorazione. Ma, nonostante siano anni che se ne parla, molte attività ancora non lo utilizzano come dovrebbero, fermandosi al dato numerico senza riuscire a implementare la strategia più efficace rispetto all’attività, ai suoi obiettivi, allo stato di fatto e al potenziale implementabile. È bene inoltre considerare che in media solo il food cost pesa tra un 30% e un 40% sul fatturato complessivo, il che lo rende uno dei valori economici a cui prestare maggiore attenzione per evitare di bruciare completamente il margine di un'attività ristorativa. Ma come è possibile farlo? Semplicemente avendo alcune accortezze e imparando tecniche specifiche per gestire al meglio la preparazione di ogni referenza in menu».

 

Food cost, come si calcola e a cosa serve

Pini spiega che il food cost di un piatto «è numericamente il rapporto tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita della ricetta, al netto dello scarto e tenendo in considerazione condimenti, guarnizioni e resa dei prodotti. Calcolando questo valore numerico per ogni referenza del menu sarà possibile avere una prima idea di quanto performante a livello economico e in termini di redditività sia la proposta del nostro locale. Da questo è poi possibile iniziare a capire quale strategia applicare per raggiungere i propri obiettivi aziendali e migliorare i risultati servizio dopo servizio. In sostanza, se il costo di acquisto dell’hamburger che ho in menu è pari a 8 euro e io quell’hamburger lo vendo a 10, è evidente che c’è qualcosa che non va. Il problema sta nelle politiche di approvvigionamento e nella scelta delle materie prime o nelle strategie di pricing? Quanto spesso viene ordinato questo hamburger dalla mia clientela? Ha senso che rimanga in lista? Se sì come posso ottimizzare il costo per massimizzare la redditività del piatto? Il food cost in questo senso è un ottimo alleato per ingegnerizzare il menu e proporre un’offerta più funzionale e attrattiva. Se utilizzato per la costruzione delle schede ricette prima e per il monitoraggio delle variazioni in magazzino poi, il food cost diventa anche un ottimo alleato per tagliare tutti gli sprechi che a lungo andare vanno ad aggravare in maniera onerosa il piatto costi della bilancia ristorante».

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Oltre il food cost: gli altri indicatori da tenere in considerazione

In ogni caso, il food cost non è l’unico indicatore da valutare se si vuole migliorare la performance economica del proprio locale.

«È un buon punto di inizio, ma solo se la sua analisi viene successivamente inserita in un percorso di metodo più lungo e articolato, che tenga in considerazione anche altri valori - ha ripreso Giacomo Pini - Come il labor cost o costo del lavoro e della manodopera, ma anche quello legato alle attrezzature e alle spese generali. Torniamo ora all’esempio dell’hamburger. È sbagliato pensare di guadagnare 2 euro per ogni hamburger venduto perché il food cost da solo non può reggere il raggiungimento del break-even (è il punto in cui ricavi e costi si equivalgono, ndr), che invece ha bisogno anche dell’aggiunta di altri costi. Ecco perché solitamente sarebbe più opportuno utilizzare il full cost invece che il food cost per fare le corrette valutazioni rispetto alla redditività di un piatto in particolare e di un menu in generale. Il primo, infatti, concorre a determinare il costo finale di un piatto considerando anche l’energia elettrica utilizzata e la manodopera prestata, mentre il secondo tiene solo in considerazione le materie prime utilizzate in cucina. Considerando solo i costi di produzione, si potrebbe pensare di lavorare sui fattori determinanti, ovverosia sulle grammature, sul costo degli ingredienti e sugli sprechi, per ridurre il loro impatto sulla generazione del margine magari riducendo le porzioni o valutando il monoprodotto, uniformando il menu per ottimizzare le forniture oppure spingendo la vendita delle portate che più profittevoli. Aprendosi invece anche agli altri costi di struttura e ai costi delle risorse umane, si apre un più vasto panorama di soluzioni che possono aiutare un ristoratore a trasformare le sorti del proprio locale e portarlo al successo: dall’ottimizzazione dell’organizzazione all’utilizzo di tecniche e tecnologie all’avanguardia, dalla ricerca di condizioni più vantaggiose alla gestione del personale in ottica di massimizzazione della produttività».

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