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Il pranzo della domenica? Una delle usanze italiane più radicate di sempre, tanto da meritare l'attenzione del New York Times. Attraverso la testimonianza di alcuni personaggi noti - da Ghali a Brunello Cucinelli a Marie-Louise Sciò - il quotidiano statunitense racconta il piacere dello stare a tavola tra ricette della tradizione, storie di famiglia e conversazioni senza fine. Il tutto «in perfetto stile italiano». Naturalmente, ringraziamo il New York Times, ma con falsa modestia e un po' di presunzione, lo sapevamo già: le nostre mamme e le nostre nonne, nella loro infaticabile capacità e storia, ci hanno educato a questo per molti anni. Noi italiani stiamo bene a tavola sempre, non solo la domenica; è la nostra storia, la nostra cultura, è nel nostro dna, e certamente l'adozione della dieta mediterranea ci ha aiutato, non solo per la nostra terra, per il nostro paese.
Il New York Times celebra il pranzo italiano della domenica: «Non c’è nulla di simile»La pasta è il simbolo della tradizione culinaria in Italia
Certo, molti dei nostri prodotti agricoli, riconosciuti come fondamentali per la nostra cucina, sono il risultato della scoperta delle Americhe: il pomodoro, il peperone, il mais, per citarne alcuni, sono ingredienti tipici e ormai tradizionali della nostra cucina. Il New York Times elogia soprattutto uno dei nostri ingredienti più famosi, la pasta, alimento trasversale nei gusti di moltissimi, che si adatta a tutti i gusti e con quasi tutti gli altri ingredienti: carne, pesce e verdure. Questo ultimo abbinamento risponde a nuove richieste e piaceri; vegetariani e vegani accettano di buon grado la pasta con verdure o pomodoro accompagnata da un buon olio extravergine italiano.
L'emblema della tradizione culinaria in Italia? La pastaTradizione è certamente la parola chiave. Chi tra i molti lettori non può non ricordare la sacralità del pranzo della domenica, oggi spesso sostituito dal termine inglese brunch? La famiglia si riuniva intorno al pranzo della domenica, che iniziava solo quando il capofamiglia, il papà, si sedeva al tavolo. Un rito fondamentale, in molti casi, quando la famiglia tornava dalla messa domenicale, accompagnato dal profumo del sugo o del ragù che riempiva fin dall'alba le camere delle case, spesso inebriando i cortili e i vicoli dei paesi. Parmigiana, lasagne, orecchiette con le cime di rapa, casatiello napoletano, panzerotti erano e sono alcuni dei piatti che compongono il menu domenicale.
Per il New York Times il pranzo domenicale in Italia è la memoria del gusto
La memoria del gusto, ecco cos'è il pranzo domenicale che il New York Times elogia e forse ci invidia, testimonianza oggi avvalorata da una timida ma forte comparsa di piatti e ricette della tradizione anche in molti ristoranti gourmet e dalle tante trattorie che stanno riscoprendo le ricette della tradizione. C'è molto romanticismo in tutto questo. Le famiglie non sono più le stesse; nonne che vivono in casa con i nipoti sono sempre più rare, e la domenica tutti i punti vendita sono aperti per soddisfare tutti i desideri di spesa. Però, è anche tutto vero.
«A questo punto - commenta l'autrice di libri di cucina Laura Lazzaroni - il pranzo della domenica cade sotto l'ombrello degli stereotipi in versione ultra-romantica che gli stranieri e molti mezzi di informazione all'estero associano al nostro lifestyle e alla nostra cucina, e lo trovano rassicurante e colorito». Rassicurazione. Certo, il sottoscritto cuoco e ristoratore in centro a Milano non può che confermare che gli stranieri adorano i nostri piatti, che molte volte richiedono tempi lunghi di preparazione e cottura. Ma il risotto giallo, spesso accompagnato dall'ossobuco di vitello, la Costoletta alla milanese cotta nel burro chiarificato, ma anche una fantastica amatriciana o carbonara romana, sono nell'immaginario del turista, e spesso anche del cliente italiano, un vero ricordo del proprio passato, della memoria familiare, di uno stare insieme, allo stesso tavolo, in famiglia condividendo un piacere.
La cucina italiana è anche piacere
Piacere. La nostra cucina ha questo ricordo. Personalmente affermo da tempo che, in fondo, mangiare o ordinare al ristorante un carpaccio, che sia di carne o pesce, è facile: basta acquistare materia prima eccellente e affettarla. Ma un bollito misto, un brasato, e anche un buon risotto, che richiede un po' di maestria, non sono piatti facili per tutti. Se pensiamo a un carciofo alla giudia, romano per storia ed eccellenza, ecco che la nostra cucina assume una storia diversa. Abbiamo e possediamo una biodiversità che il mondo ci invidia, dalla fontina della Val d'Aosta agli arancini della Sicilia, testimoni di un territorio che oggi vede soprattutto nell'agricoltura la difesa del territorio e nelle ricette la memoria di tutto questo. La memoria di una storia, di una cultura: ecco cosa il mondo, tra l'altro, ci chiede di conservare.
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